Peter Zumthor siede a 550 metri sul livello del mare
nel silenzio della stube più bella che ho mai visto –
sotto la pioggia di Haldenstein, quasi a fine giugno.
Non è vera la leggenda del suo stare come uno
stilita in cima a una montagna svizzera, emettendo
sensuali oracoli di pietra e cemento sulla
condizione dell'architettura. Tra lo studio e la
casa/studio, sorride, ascolta ed esegue musica,
riceve amici: si prepara a progetti, a edifici più
grandi, se non più importanti, delle concentrate,
distillate, architetture di materia prodotte nei tempi
lunghissimi del lavoro come arte.
La scusa per incontrarlo è la cappella votiva
dedicata a St. Niklaus von Flüe (più conosciuto
come Bruder Klaus) da poco finita a Mechernich, in
Germania: un edificio ex-voto per un agricoltore,
diagnosticato con un mal di cuore che lo lascia,
dopo tanti anni, ancora in vita. Marcel Duchamp
diceva che l'unica differenza tra scultura e
architettura è l'idraulica: e in questa torre/cappella
votiva l'idraulica praticamente non c'è. La cima
della torre è aperta, così ci piove dentro, e l'acqua –
dopo aver stagnato un po' sul pavimento –
defluisce lentamente, naturalmente: un'altra
ragione per definirla una scultura.
Una scultura molto grande, dove si può stare
addirittura dentro, a pregare, o semplicemente a
meditare, sull'esistenza propria o di Bruder Klaus:
ovvero San Nicolao, santo patrono della Svizzera,
contadino e soldato, che combatte da ufficiale nelle
guerre vittoriose dei Confederati contro gli Asburgo,
più o meno seicento anni fa. Si sposa, fa dieci figli.
Convinto dal sacerdote Heimo am Grund (un nome
che in tedesco e in schwiizerduutsch ha che fare
con casa e terra), chiede alla moglie Dorotea il
permesso di ritirarsi in solitudine: l'ottiene e va a
vivere, a morire, in una gola, un crepaccio. L'unico
di quei crepacci svizzeri che ricordo è il turistico
Viamala Schlucht: che però, anche per quel nome
inquietante, mette una certa paura a guardarlo
dall'alto, senza riuscire a vedere il fondo. Spaventa,
a morte, come l'ignoto: quello che verrà e non
conosciamo. Eppure Zumthor non ha pensato a
tutte queste cose.
"Dopo che abbiamo costruito la Cappella, qualche
svizzero è venuto a dirmi: 'Certo, questo vuoto
oscuro, illuminato a tratti, è perché Bruder Klaus finì
i suoi giorni in una cella scavata nella roccia!'. 'No,
non è per quello'. 'Ah, ma allora sembra una torre,
perché Bruder Klaus è stato anche un
combattente...'. 'No, non per quello: non ci ho
pensato'. Mi sembrava importante che tra campi
estesi e pianeggianti, con poche ondulazioni, la
cappella si alzasse in verticale, si stagliasse da
lontano, segnasse il territorio". "E questa pianta
circolare dell'interno, l'esterno a cuspide... Non
ricorda la ruota di San Nicolao, il simbolo su cui
meditava tutti i giorni?". "No, quel simbolo è
diventato una piccola scultura dentro la cappella".
Sorride, Zumthor. Certo, può succedere che un
autore scriva, dipinga o costruisca cose che non sa,
che non ha mai visto o sentito eppure valgono una,
tre, dieci diverse interpretazioni: ma non perché
abbia passato giorni e settimane a ragionare su
simboli e simbologie. È meglio, è più interessante: a
meno di non voler credere alle premonizioni, alle
visioni, il poeta come vate... L'unica visione alla
quale Zumthor crede è quella dell'architettura,
l'unico linguaggio che parlano le sue opere è quello
della costruzione, dei materiali. Non c'entrano con le
ore del giorno, e delle notti insonni di Bruder Klaus, i
ventiquattro, visibili, strati di cemento applicato e
compresso a mano, sulla struttura di rami e tronchi
d'albero che poi verrà carbonizzata: lasciando la sua
impronta oscura e l'intenso odore bruciato
all'interno, per sempre. Sono ventiquattro gli strati di
cemento, perché realizzati in altrettanti giorni, dal
committente e dai suoi aiuti.
Certo, quale 'esperto' non rivedrebbe Gaudí in
questo verticalismo scabroso, nel convergere delle
pareti verso l'altissimo, nei piccoli segni di luce nel
cemento? Eppure Zumthor non è – come il suo
collega catalano che qualcuno vorrebbe
canonizzato, come Bruder Klaus – un mistico. Ride
storto, quando gli chiedo se non gli dà fastidio
essere considerato tale. "Sono cose che ai media
piacerebbe scrivere": anche se per questo progetto
non ha voluto essere ricompensato, anche se sta
per inaugurare il Museo Kolumba a Colonia (castello
di cemento per l'arte contemporanea costruito
sopra rovine religiose), anche se Norman Foster
vorrebbe fargli costruire a Milano la chiesa del
quartiere Santa Giulia. Sorride Zumthor, santo laico
dell'architettura assoluta.
Il Santo e l'Architetto
Due svizzeri (il santo Bruder Klaus, l'architetto Peter Zumthor) e un tedesco (l'agricoltore committente) insieme per costruire un'architettura universale per la meditazione. Progetto Peter Zumthor. Testo Stefano Casciani. Foto Pietro Savorelli.
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- 19 settembre 2007