Pubblicato in origine su Domus 708, settembre 1989
Nel 1953, [Carlo Scarpa] giunge a Palermo, preceduto dalla fama che gli aveva procurato l’anno precedente il raffinato allestimento della mostra di Antonello a Messina. Scarpa, novello maestro “bizantino”, resta inebriato dagli effluvi degli aromi e delle spezie che rendono greve e densa di sapori l’atmosfera, dallo schiamazzo aguzzo dei bambini e delle musicali cantilene cadenzate, dall’orgia del sole e dei colori resi intensi dalla luce violentissima del Mediterraneo. Chiamato ad allestire le sale della nuova Galleria della Sicilia a Palazzo Abatellis Scarpa ritrova, tra i possenti conci a squadro, gli archetipi ideali della volumetria materica, del suo gusto sensitivo per la forma e la geometrizzazione; ritrova lo spazio favoloso del suo immaginario personale, ricostruisce la malia dell’affabulazione che quei luoghi gli rammemorano e sull’impressum inventa il suo itinerario dialettico. […]
Domus - n° 388
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Domus - n° 708
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Il “ritocco” architettonico di Scarpa al consistente restauro eseguito nel dopoguerra dai soprintendenti Mario Guiotto e Armando Dillon si limita a pochi ma significativi interventi circoscritti. Il maestro veneziano non resiste al fascino della calda pietra d’Aspra e riprende in stile le parti mancanti di alcuni ornamenti originari, in special modo dei riporti esterni degli scalini a maglie ortogonali intrecciate. […] Nel disegno degli arredi dei supporti espositivi, Carlo Scarpa si rivela raffinato epigono di una lunga tradizione mittel-europea di arti applicate, di una studiatissima produzione di piccola serie, e mai destinata ab origine all’industria o all’iterazione in genere. […]
Sul microscopico dettaglio si addensano le attenzioni tattili dell’esperto architetto-artigiano, nelle gocce delle saldature dei ferri giustapposti, fresate e sagomate con un semplice raccordo, nelle viti che tengono serrate le doghe dei carabottini. La materia si piega al disegno non per il diletto di un semplice ornamento, bensì quale ri-presentazione di una legge necessaria. In un anacronistico confronto con il tempo, Scarpa si dibatte tra la sapiente manualità tecnica e l’elucubrazione astratta intorno alla forma, disponendo ciò che è perfettamente in suo possesso secondo le icone di una idea pre-vista.