L’architettura, creata dall’umana razionalità, è sostanzialmente un’entità concettuale. Tuttavia, dato che viene realizzata e costruita nello spazio, diventa inevitabilmente fisica. Al di là del rigore logico esercitato nello studio della progettazione e della lucidità delle intenzioni, quando le idee escono dalla mente dell’architetto si incarnano nella concretezza della polvere e della ghiaia. Qui diventano soggette a a una miriade di vincoli: tecnologici, economici, normativi e temporali. All’interno di questa dura realtà l’architetto, invece di continuare a cercare il compromesso, deve sforzarsi di affrontare le sfide a testa alta e di negoziare ostinatamente in ogni singolo conflitto pur di conservare l’integrità complessiva del progetto. Questo processo, questa lotta, sono l’essenza dell’architettura.
Ecco perché credo che costruire case stia alla radice stessa della creazione architettonica.
La casa è all’origine dell’architettura: un’espressione di umana immaginazione che oscilla tra l’astratto e il concreto. È un microcosmo che viene alla luce nella sfera privata, un “baluardo di difesa” in grado di rivendicare un habitat libero dai valori arbitrari e commerciali del capitalismo.
Valgono decisamente il prezzo di un conflitto creativo aspro e intenso, considerato il loro profondo e diretto coinvolgimento con la vita umana. Non penso comunque che esaminare il progetto residenziale contemporaneo porterà a maturare visioni miracolose e futuristiche sull’architettura. Sono trascorsi più di 100 anni dall’inizio del XX secolo, quando la casa unifamiliare era la base della cultura costruttiva dell’epoca. Oggi, con i valori del Modernismo giunti – nel bene e nel male – a piena maturazione, il progetto naviga tra disomogeneità e caos. Ogni architetto affronta conflitti differenti, specialmente in periodi di turbolenza sociale che pervadono ogni aspetto, dalle convinzioni ideologiche all’espressione estetica. Il futuro, visto attraverso la progettazione della sfera privata per l’edilizia residenziale su commissione, appare quanto mai incerto.
L’abitazione creata da un progettista non può incidere sulle tendenze capitalistiche globali a fabbricare e mercificare gli spazi di vita, non può risolvere la carenza di alloggi per i più deboli. Al di là del rispetto per gli edifici regionali e vernacolari, la casa progettata non può aver maggior peso di una “architettura senza architetti”. Tuttavia, resta il fatto che la casa è all’origine dell’architettura: un’espressione di umana immaginazione che oscilla tra l’astratto e il concreto.
È un microcosmo che viene alla luce nella sfera privata, un “baluardo di difesa” in grado di rivendicare un habitat libero dai valori arbitrari e commerciali del capitalismo. Vedo una luce di speranza negli architetti che affrontano la sfida della creazione. Mettono in discussione il luogo in cui dovrebbe aver dimora lo spirito umano, rispondendo da iconoclasti alla diversificazione delle strutture familiari e degli stili di vita dei committenti, usando lo spazio per infrangere gli stereotipi domestici. Si spingono verso l’eternità progettando tenendo in mente il passare del tempo. Credo che, nell’ardore della loro lotta, troveranno le soluzioni progettuali migliori, usciranno dai confini professionali, progetteranno le abitazioni più adatte al contesto, al sito e al budget, e affronteranno i problemi sociali realizzando spazi radicali.
Immagine di apertura: veduta aerea di Casa Moriyama di Ryue Nishizawa a Tokyo, composta da sette abitazioni, una per il cliente e sei indipendenti, 2005. Ila Bêka & Louise Lemoine, Moriyama-San, 2017