“Sebbene il lusso non sia un buon modo di sostenere e promuovere un’economia, è un modo di conservare e affascinare una società. A questo punto vanno chiamate in causa anche le strane collezioni di oggetti, simboli, illusioni, fantasmi e schemi intellettuali che chiamiamo culture. In breve, alle radici più profonde della vita materiale c’è l’attività di un ordine complesso, cui contribuiscono le convinzioni, le tendenze e le inconsapevoli pressioni delle economie, delle società e delle culture”.
Fernand Braudel, Le strutture del quotidiano, Einaudi, Torino 1982
Viviamo in un mondo fisico. Lo studio dei materiali è fondamentale per chi li usa a fini creativi: artisti, designer e architetti. Ogni giorno si chiedono quali materiali usare, come usarli, da dove provengono e dove vanno a finire. Come si mettono insieme certi progetti incredibili e chi lo fa? I materiali abbracciano la storia della civiltà umana e l’ecologia, mettono in risalto il rapporto essenziale tra risorse naturali e artefatti. Il loro sviluppo si evolve rapidamente mentre si cercano rapporti più accessibili, equi ed ecologici con queste risorse. Anche i processi di fabbricazione cambiano e mettono insieme manualità, lavorazione meccanica e componenti prodotti digitalmente per realizzare al meglio un complesso programma connesso con la gestione delle risorse.
La globalizzazione ha creato accessibilità illimitata e una rete internazionale di flussi di materiali che aumenta le impronte di carbonio. Questo modello globale di estrazione delle risorse è stato radicalmente messo in discussione, particolarmente in rapporto all’enorme peso assunto dal settore edile nel cambiamento climatico. Anche dal punto di vista estetico, la globalizzazione ha avuto un effetto omologante sulla cultura dei materiali. L’immagine è diventata generica. “Materiali e creatori” è un tema che tocca differenti contesti e punti di vista.
Le pratiche relative ai materiali che si stanno delineando hanno una forte impronta teorica e guardano con sospetto l’omologazione.
I casi riguardano economie, competenze, modi d’uso e tradizioni culturali differenti. Storia e cultura dei materiali stanno scritte nella loro origine, nelle risorse che usano, nelle competenze della loro fabbricazione artigianale e nelle loro prestazioni. Nelle discipline creative i materiali cambiano secondo le funzioni, la disponibilità e i significati che comportano. Si può parlare di uso dei materiali in termini degli effetti che producono, per esempio sul contesto, l’immagine e l’atmosfera. Oppure li si può considerare in base alla presenza o all’assenza di caratteri tattili, con conseguenti profonde connotazioni culturali e la creazione di un linguaggio individuando associazioni come grezzo/primitivo oppure levigato/raffinato. Sono connotazioni che risiedono nello schema visivo e nel colore.
I materiali hanno però anche una carica simbolica: sono insiti nella cultura. Le opere di Anthony Olubunmi Akinbola presentate in questo numero usano il copricapo tipico degli afroamericani, come tecnica pittorica. Il durag è un simbolo d’orgoglio della capigliatura naturale dei neri e un’affermazione di identità. Cai Guo-Qiang, altro artista presentato qui, usa la polvere da sparo come materiale pittorico, per promuovere l’unità tra gli umani. I materiali e coloro che attraverso di essi realizzano contributi significativi incidono sull’esperienza umana a varie scale: da quella individuale e personale a quella locale e comunitaria, fino alla macroscala globale. L’impostazione di questo numero su materiali e creatori ha un taglio pragmatico – entrambi i termini sono collegati dalla funzione – e fornisce anche una disamina degli strumenti e dei metodi implicati nel processo della loro combinazione.
Per lavorare, certi creativi usano le loro mani, mentre altri contano su una lunga lista di persone per arrivare a disporre di un’ampia gamma di competenze. Le pratiche relative ai materiali che si stanno delineando hanno una forte impronta teorica e guardano con sospetto l’omologazione. Alcuni sviluppi contemporanei mettono insieme qualità altrove contrapposte, come leggerezza e pesantezza, effimero e permanente. Questa cultura dei materiali complessa e sfumata viene per esempio analizzata dallo studio Ensamble con il progetto Tent, che materializza in un unico momento queste qualità contrastanti.
Il tessuto è, tra i materiali disponibili, uno dei più versatili e tecnologicamente progrediti. […] L’essere pieghevole è la chiave della sua forza e delle sue prestazioni: genera forze invece che resistervi.
Questo numero di Domus è un punto di partenza per arrivare a un quadro condiviso. La disponibilità di tecnologie e materiali è limitata e differente, per cui presentiamo una gamma di soluzioni di metodi costruttivi e di scale diverse, come i Margo Leavin Graduate Art Studios di Johnston Marklee per l’UCLA o gli interni e le installazioni dicroiche di Milliøns. Consideriamo anche i materiali edili vernacolari e i metodi che traggono il proprio sapere alla tradizione senza essere storicisti.
Più di recente, spesso ispirato a interessi ecologici, c’è un rinnovato interesse per le competenze vernacolari in fatto di tecniche di fabbricazione e materiali. Ryue Nishizawa usa un’impostazione tradizionale della costruzione in legno per aumentare gli effetti esperienziali del suo Shishi-Iwa House No. 3. In questo numero, ogni progetto esplora nuovi confini e nuove basi. L’etica dell’uso dei materiali e del cambiamento climatico è espressa in modo chiaro nell’intervista ad Anna Heringer. Le sue opere esprimono una chiara posizione etica connessa al bisogno di affrontare la crisi climatica.
Ci sono però anche altre dimensioni sociopolitiche della creatività e quindi dei materiali, che spesso sono associati al lusso e a segmenti sociali privilegiati. Per di più, l’economia della creatività è integrata in un sistema di classi in cui la mobilità sociale è limitata. Come dare uguaglianza e accessibilità alla cultura del progetto? Come entrare in rapporto con comunità che storicamente non avevano strumenti per accedervi? I progetti coordinati da Stephen Burks al Berea College sono usati per formare gli studenti alla tradizionale produzione artigianale e sperano di rispondere a queste domande. Impegnandosi nella formazione, Burks cerca di innalzare la competenza manuale degli studenti dal livello utilitario a quello artistico, aumentando il valore del loro lavoro nella società.
I materiali e coloro che attraverso di essi realizzano contributi significativi incidono sull’esperienza umana a varie scale: da quella individuale e personale a quella locale e comunitaria, fino alla macroscala globale.
Come Burks, praticamente tutti coloro che intervengono in questo numero si occupano di iniziative di formazione dei progettisti. Il loro pensiero sull’evoluzione dell’etica del progetto e della relativa formazione è implicito nelle loro opere. I miei interessi personali e il tema della mia ricerca sui materiali sono rivolti ai tessuti. In origine realizzati come indumenti per proteggere il corpo umano, comprendono anche una gamma di antichi materiali che un tempo fornivano riparo alle tribù nomadi. Oggi si possono realizzare a mano, a macchina o digitalmente.
Il saggio di Anni Albers Il piano pieghevole mostra quanto profetico fosse il suo pensiero oggi che il tessuto è, tra i materiali disponibili, uno dei più versatili e tecnologicamente progrediti. È in grado di distribuire i carichi e offre un modo più dinamico di affrontare peso e gravità, a differenza di altri materiali statici la cui resistenza dipende dalla densità e dalle dimensioni. L’essere pieghevole è la chiave della sua forza e delle sue prestazioni: genera forze invece che resistervi. La tessitura è un procedimento binario: si struttura per trama e ordito. L’originario linguaggio di programmazione Fortran era modellato sui processi del telaio Jacquard. Su questa linea i progetti di A-POC Able sperimentano le possibilità digitali della produzione tessile ispirandosi alla rivoluzionaria concezione del fondatore Issey Miyake. Questo numero di Domus racconta le motivazioni che spingono alcuni creativi a passare dall’avere come priorità la disponibilità di materiali e lo spreco a mettere al centro l’impatto sull’ecologia della Terra, la tutela delle tradizioni e il ripensamento dei materiali nel nostro tempo.
Immagine di apertura: Anni Albers, Variations on a Theme, 1958. Cotone, lino e plastica. 87,6 x 77,5 cm. Photo Tim Nighswander/Imaging4Art © 2023 The Josef and Anni Albers Foundation/SIAE, Rome