Il 22 gennaio, a Madrid, è stato inaugurato il Norman Foster Institute, un’iniziativa della Norman Foster Foundation, e presentato il suo programma sulle Città sostenibili, un master che combina esperienza di campo e ricerca accademica. Nell’editoriale di questo mese proponiamo il discorso inaugurale tenuto da Norman Foster che, oltre a raccontare il programma e la struttura di questa nuova scuola, sostiene un approccio olistico nella progettazione e nella gestione delle città, che crediamo debba informare le generazioni future di architetti e leader civici.
Perché creare un istituto e perché inaugurarlo con un master annuale a tempo pieno su città e sostenibilità? Soprattutto alla luce del fatto che la Norman Foster Foundation, negli ultimi sei anni, ha portato avanti un programma educativo di workshop, conferenze pubbliche e altre iniziative. Le ragioni sono diverse. In primo luogo perché è proprio grazie al successo del programma scolastico della Fondazione che l’Istituto si sviluppa, a partire da quel programma che può beneficiare della rete di esperti internazionali con cui collaboriamo sui temi che riguardano l’urbanizzazione e le città. Siamo loro grati per la generosità con cui offrono tempo ed esperienza. Le città sono il nostro futuro. Le statistiche parlano chiaro: alle città sono legate la nostra ricchezza, la crescita, il cambiamento climatico, la qualità della vita. L’elenco potrebbe continuare ma, ed è un grosso ma – parafrasando Winston Churchill – siamo noi a plasmare le nostre città e loro a plasmare noi. Affinché esse crescano, si evolvano e rispondano alle sfide del cambiamento, è necessario che coloro che le guidano e le governano prendano delle decisioni. Si tratterà di decisioni razionali o emotive? Si baseranno su dati o su mode e pregiudizi? Sui fatti o sulla disinformazione? L’approccio sarà dal basso verso l’alto, coinvolgendo la comunità, o un’imposizione dall’alto? Si terrà conto delle lezioni della storia?
L’istituto è al centro di tali domande: il suo primo corso post-laurea, aperto a una trentina di ricercatori, sarà incentrato sulla formazione dei leader civici del futuro e li preparerà a usare la forza della conoscenza e dell’esperienza. Altri corsi, ancora da organizzare, potrebbero essere più brevi e intensivi, rivolti a coloro che stanno già plasmando il nostro ambiente, commissionando o realizzando opere infrastrutturali e architettoniche. Tali offerte formative potrebbero essere realizzate su misura per un ente pubblico o un’impresa. Questo nostro primo corso sarà diverso da quelli offerti da altre istituzioni, soprattutto dalle università. Siamo tutti grati alle università e al patrimonio di talenti che generano, ma anche il mondo accademico ha le sue carenze. Al di là della mia esperienza personale di urbanista e architetto, quando ascolto, come spesso mi capita, giovani studenti e neolaureati, osservo un indubbio scollamento tra il mondo accademico e la vita reale. Per questo mi chiedo cosa succederebbe se unissimo il meglio di questi due mondi, quello accademico e quello della professione, in un corso annuale completo.
Quando ascolto giovani studenti e neolaureati, osservo un indubbio scollamento tra il mondo accademico e la vita reale. Per questo mi chiedo cosa succederebbe se unissimo il meglio di questi due mondi.
Ecco, quindi, che a pochi passi dalla sede della fondazione abbiamo creato un nuovo laboratorio urbano in un edificio separato, dotato di attrezzature digitali all’avanguardia che consentono di creare gemelli virtuali delle città selezionate. Questi strumenti possono essere utilizzati in modo interattivo come per esplorare gli effetti delle proposte progettuali, che si tratti di iniziative a livello cittadino, di un quartiere o di uno spazio pubblico. Combiniamo questi studi di laboratorio con seminari condotti in aula dalla nostra rete di esperti e, quindi, il corso si sposta in una delle tre città-pilota per impegnarsi su sfide reali, assieme alle comunità e attraverso le amministrazioni locali. Queste sfide sono la base dei progetti che saranno affrontati dagli studenti e dai loro tutor per essere presentati alle città stesse a fine anno. Questi progetti a breve termine saranno collegati a obiettivi sostenibili a lungo termine.
La capacità di comunicare è legata alla leadership e si tratta di competenze che possono essere insegnate, quindi fanno parte del corso. Nella prima edizione, le città europee sono Atene, Bilbao e San Marino. Tuttavia, l’approccio è universale e i metodi possono essere applicati a molti tipi diversi di città formali e informali asiatiche, africane, americane o arabe: città diverse che condividono molte sfide.
Il nostro rettore, Edgar Pieterse, è fondatore e direttore dell’African Centre for Cities dell’Università di Città del Capo. I corsi futuri si concentreranno sull’Africa, soprattutto in considerazione del fatto che, secondo le stime, entro il 2050 più di una persona su quattro della popolazione mondiale sarà africana, e la maggior parte di esse vivrà in città dell’Africa. In qualità di rappresentante delle Nazioni Unite per le città d’Europa, Asia e America, ho visto come i centri urbani possono imparare gli uni dagli altri. La fondazione è stata riconosciuta come centro di eccellenza delle Nazioni Unite e questo corso sarà collegato agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu.
Un altro legame vitale per il corso è quello con il Mit e il suo Media Lab, guidato da Dava Newman, che ha generosamente accettato di essere la preside dell’istituto. Il City Science Group del Media Lab è diretto da Kent Larson e ha aperto la strada alla modellazione digitale degli spazi urbani. Kent e il suo team hanno lavorato con la fondazione su progetti e workshop, e questa collaborazione ha portato a riunire Kent e me come condirettori di questo corso. L’approccio di Kent è basato sull’evidenza di quanto ho precedentemente descritto. In qualità di condirettori, abbiamo ritenuto che questo corso dovesse trovare un equilibrio tra l’apertura a ogni tipo di città e l’utilizzo di tutti gli strumenti e le competenze per migliorare la qualità della vita degli abitanti e ridurre le emissioni di anidride carbonica da un lato e, dall’altro, la capacità di promuovere la nostra visione ideale della città del futuro.
In realtà, l’applicazione dei principi alla base della nostra città ideale migliorerebbe il futuro di qualsiasi tipo di aggregato urbano. Quali sono dunque i principi alla base della visione utopica che promuoveremo – e che ovviamente inviteremo gli studiosi e gli amministratori delle città a mettere in discussione? In sintesi, favoriremo la città compatta, ad alta densità e percorribile a piedi, piuttosto che la città tentacolare, dominata dall’auto. Promuoveremo quartieri a misura di pedone, con una zonizzazione che incoraggi la vicinanza di spazi per la vita, il lavoro (comprese le industrie pulite), l’istruzione e il tempo libero. Vorremmo sostenere l’importanza della cultura e del patrimonio, soprattutto nei nuclei storici, intorno ai quali sono nate molte città. Infine, in questa rapida e incompleta sintesi, vogliamo sottolineare l’importanza della connettività, idealmente attraverso un trasporto pubblico di alta qualità, nonché la promozione della natura, del verde e della biodiversità in tutto il territorio, anche in spazi più ampi, fino all’agricoltura urbana.
Favoriremo la città compatta, ad alta densità e percorribile a piedi, piuttosto che la città tentacolare, dominata dall’auto.
Queste aspirazioni suonano certamente familiari a molti. Tanti degli ingredienti che ho citato sono già presenti nelle città ai primi posti nei sondaggi sui luoghi più desiderati dai turisti e dalle persone che intendono stabilirvisi. Ciò che è positivo per la qualità della vita lo è anche per il pianeta. Al di là del consumo di suolo che divora risorse preziose come le campagne e la natura, il consumo di energia di una città compatta rispetto a quello di una metropoli in espansione è molto diverso. In tutto questo, Kent e io, insieme al corpo accademico e ai direttori dei corsi, promuoveremo i principi del movimento City Beautiful. Se una città è un insieme di molti edifici, allora è tenuta insieme dal collante urbano delle infrastrutture, che comprendono spazi pubblici, viali, strade, piazze, ponti, terminali e metropolitane. Queste infrastrutture determinano l’identità, il Dna di una città.
La città può e deve essere bella: la storia ci offre molti esempi da cui trarre lezione. Anche la storia dell’attivismo è importante: l’appello a rispettare la complessità e la spontaneità delle città, lanciato da Jane Jacobs negli anni Sessanta, non ci sfugge ed è totalmente compatibile con i metodi di progettazione sistematica che sono al centro di questo corso. Gli anni Sessanta videro agire anche attivisti che combinarono la parola con schizzi e fotografie per protestare contro il vandalismo dell’epoca, che stava distruggendo gran parte della bellezza urbana tradizionale. Inoltre, essi sostenevano le qualità dei principi urbanistici tradizionali, la sorpresa e lo spazio delimitato. Questi messaggi delle generazioni precedenti, che risalgono agli anni in cui ero studente a Manchester e, poi, a Yale, sono ancora più importanti e attuali oggi.
Negli anni Ottanta sono venuto a conoscenza di un nuovo modo di guardare alla progettazione delle città e degli spazi urbani. Questo metodo combinava l’osservazione con la progettazione assistita da computer per quantificare la connettività, in particolare il movimento dei pedoni. Il pioniere è stato Bill Hillier della Bartlett School dell’University College di Londra. In quel periodo stavo coordinando un master plan per la rigenerazione di King’s Cross a Londra, che avrebbe trasformato un’area desolata, occupata da raccordi ferroviari, in un nuovo parco, un quartiere e uno snodo ferroviario europeo. Ne approfittai per convincere Bill Hillier e il suo team a lasciare il mondo accademico per fargli creare una società di consulenza che chiamò Space Syntax. Uno dei suoi studenti di allora era Tim Stonor, che ha portato avanti l’ottimo lavoro di Space Syntax e ha continuato ad aiutare la nostra fondazione e ora il suo istituto.
In molti hanno contribuito a rendere possibile questo nuovo Istituto, sponsor e sostenitori che, come l’Istituto e il suo primo gruppo di ricercatori, vengono da tutto il mondo. La nostra base è, però, a Madrid, ed è quindi un motivo di festa che l’Università Autonoma di Madrid si sia unita a noi in una partnership in cui riconoscerà formalmente questo primo corso come master. Quando mi è stato chiesto dal Segretario generale delle Nazioni Unite di parlare all’Assemblea generale dell’importanza della pianificazione, mi sono tornate in mente le parole di Daniel Burnham, quando, nel 1909, parlava del suo piano per Chicago. Esse hanno una forte risonanza anche slegandole dalle città e dalla pianificazione:
- non fate progetti piccoli;
- fate grandi progetti;
- uno schema logico e decoroso non morirà mai;
- che il vostro motto sia creare ordine e il vostro faro la bellezza.
Immagine di apertura: Schizzo di Norman Foster che esemplifica la necessità di applicare i principi che sottendono la città ideale per informare tutte le tipologie di insediamento urbano.