Come architetto e urbanista, penso che progettiamo per le esigenze del presente con la consapevolezza del passato, provando ad anticipare ciò che è sconosciuto. La mia scelta di indagare i Futuri per i dieci numeri di Domus del 2024 si fonda su questo approccio. Abbracciare il futuro nel piano regolatore di una città o nel progetto di un edificio è un gesto di ottimismo anticipatore. Questa fede in un domani migliore risale alla mia infanzia, non mi ha mai abbandonato. Nonostante la consapevolezza che – in un certo momento storico, compreso tra la Seconda guerra mondiale e il presente – l’atmosfera è cambiata, per lo meno nel ricco Occidente dove la prospettiva del futuro si è fatta più povera di speranze, più inquieta e minacciosa.
Leggi il primo editoriale di Norman Foster per Domus
Il guest editor racconta come sarà la sua Domus del 2024 nell'editoriale del numero di gennaio, con cui inaugura la sua indagine sui “Futuri”.
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- Norman Foster
- 05 gennaio 2024
Questo cambiamento, che si rispecchia nella cultura popolare e nei media, è stato forse involontariamente sintetizzato da Yogi Berra, mitica figura del baseball nota anche per i suoi aforismi, quando affermò che “il futuro non è più quello di una volta”. Nei miei ricordi giovanili credevo che sarebbe stato più pulito, brillante e luminoso. L’immaginario della fantascienza degli anni Cinquanta rifletteva questa sensazione e molte di queste cose oggi sono realtà. Guardando indietro, mi sembra che in ogni campo dell’attività umana – e il mio, fatto di città e di edifici, non fa eccezione – si siano fatti progressi straordinari. Ciò non implica sottovalutare o sminuire i problemi che si trovano di fronte a noi oggi. Forse, però, per conservare il senso delle proporzioni, occorre adottare una prospettiva storica in grado di ricollegare il presente al passato. Per questo, ho invitato alcuni dei miei autori preferiti a scrivere su Domus nel 2024. Sono personalità diverse per cultura e disciplina, ma tutti hanno in comune la capacità di metterci di fronte a fatti e dati, invece che a pregiudizi ed emozioni. Così facendo, spero che i loro contributi saranno illuminanti e metteranno in discussione, in positivo o in negativo, alcune delle opinioni oggi correnti, soprattutto sulle questioni ambientali. Il tema dell’ambiente è una costante nel compito di Domus di mettere insieme i mondi dell’architettura, dell’arte e del design. Ciò mi ha suggerito di invitare il fotografo Edward Burtynsky a condividere una selezione delle sue opere sulle copertine dei dieci numeri. Le sue fotografie colgono l’impatto ambientale dell’urbanizzazione e dell’industria sul mondo naturale, spesso con una bellezza inquietantemente astratta.
Con lo stesso spirito, ho chiesto di collaborare ad altri artisti visivi: dall’artista multidisciplinare americano Doug Aitken al pittore irlandese Michael Craig-Martin. I dipinti di quest’ultimo hanno il potere di darci uno sguardo nuovo e di farci ripensare agli oggetti comuni che davamo per scontato. Tra questi artefatti prodotti in serie e la loro raffigurazione, accuratamente realizzata a mano con grande precisione a colori vivaci, si crea un paradosso. L’artista ha generosamente acconsentito a creare una stampa speciale che caratterizzasse l’anno della mia direzione e, con mia sorpresa, ha scelto il nostro grattacielo nella City di Londra soprannominato Gherkin (‘cetriolo’). Grazie alla sua inimitabile maniera, sembra di tornare a visitare l’edificio per la prima volta. Il tema della rivisitazione del passato sarà intessuto quest’anno con la riflessione sul modo in cui alcuni degli schemi più utopici, concepiti mezzo secolo fa o più, funzionano ancora. Magari alla scala di un quartiere creato dopo le distruzioni belliche oppure di una casa unifamiliare nata da un programma di ricerca. Ognuno di questi progetti, visionario alla nascita, ha resistito al tempo e oggi può insegnarci qualcosa. Domus stessa è un esempio significativo di questa continuità tra passato e presente, con i suoi collegamenti tra l’avanguardia degli anni Venti del Novecento e i futuri.
Immagine di apertura: Edvard Munch, Il sole, 1911. Olio su tela. 449 x 786 cm. Photo © Olaf Vaering / Bridgeman Images