Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1047, giugno 2020.
La mia visita a Tatiana Bilbao nel suo studio di Città del Messico si è svolta in forma virtuale. Al momento del nostro incontro, il Messico era in isolamento e la maggior parte dei collaboratori lavorava da casa. Durante la nostra conversazione, Tatiana Bilbao mi ha ‘accompagnato’ attraverso lo studio, quasi del tutto vuoto, raccontando i progetti in lavorazione, la città circostante e come, insieme con i suoi soci David Vaner e Catia Bilbao (la sorella), gestisca un’attività che conta circa 50 persone. Il suo lavoro va dall’edilizia abitativa, sia privata sia sociale, a progetti istituzionali più ampi. Tra questi, un monastero cistercense in Germania, un museo ad Arévalo, in Spagna, un complesso residenziale privato a St. Louis, nel Missouri, e un altro a San Francisco.
Dalle finestre dello studio e dalle sue generose terrazze ci si affaccia sul grande viale urbano del Paseo de la Reforma, uno degli spazi pubblici più rappresentativi di Città del Messico, ma anche sul quartiere finanziario e commerciale. Chiaramente, Bilbao apprezza il sottile paradosso rappresentato dal fatto che il suo studio, uno spazio creativo, si trovi in una posizione così significativa e importante. Da qui esercita il suo duplice ruolo di architetta messicana che opera a livello internazionale e di architetta internazionale radicata nella ricca cultura e nelle particolari condizioni del Paese. Mentre lo studio lavora assiduamente a un consistente portfolio globale di progetti, Bilbao è anche visiting professor a Yale – ha insegnato anche ad Harvard, alla Columbia e alla Rice University; il suo lavoro è stato esposto al Louisiana Museum in Danimarca, in una mostra inaugurata nell’ottobre 2019 e attualmente chiusa al pubblico, mentre un’altra personale al San Francisco Museum of Modern Art è prevista per ottobre 2020. Se il lavoro all’estero può essere in parte una risposta alle pressioni commerciali, va però chiaramente visto anche come parte del più complesso concetto d’interscambio culturale oggi in atto nel panorama dell’architettura. Non c’è dubbio che un consolidato riconoscimento internazionale possa aiutare lo status professionale in Messico, ma è anche vero che la profonda comprensione dell’insieme composito di temi legati al contesto locale e regionale dà a Tatiana Bilbao una forte credibilità sulla scena internazionale.
Nella conversazione emergono l’orgoglio di essere un’architetta messicana e di godere della solidarietà professionale dei connazionali, come Frida Escobedo, Fernando Romero o Michel Rojkind, ma anche il forte legame con la comunità artistica del Paese – il suo primo progetto è stato per l’artista Gabriel Orozco. “Qui c’è una comunità molto unita”, dice, “perché le istituzioni ufficiali non aiutano”. Ho l’impressione che questa comunità autonoma sia rafforzata dal senso di appartenenza a una straordinaria stirpe di professionisti, che conferma il ruolo culturale e lo status degli architetti in Messico, alimentando inoltre un intenso dibattito sullo scopo e sul ruolo dell’architettura nel cambiare il Paese. Poche nazioni possono vantare un’eredità modernista così importante, con nomi come Luis Barragán, Félix Candela, Pedro Ramírez Vázquez, Ricardo Legorreta, Francisco J. Serrano, José Villagrán García, Juan O’Gorman, Mario Pani, Enrique del Moral, Agustín Hernández Navarro, Teodoro González de León e Abraham Zabludovsky, per citarne solo alcuni. Spinti dal mecenatismo di un Governo che negli anni Quaranta e Cinquanta cercava un’immagine di modernità, questi architetti hanno sviluppato un Modernismo locale radicato nelle ambizioni sociali universali del movimento, rispondendo alle realtà del contesto circostante. Tale eredità è continuata fino ai maestri contemporanei, come Alberto Kalach ed Enrique Norten, ed è viva in questa nuova generazione più giovane, nonostante il diverso terreno politico in cui si trova a operare oggi.
Dare risposte alla povertà è il contesto degli architetti messicani
Il mio interesse principale in questa serie d’interviste sulla pratica architettonica è discutere la situazione conflittuale in cui noi architetti ci troviamo mentre cerchiamo di definire le priorità del nostro ruolo professionale. Responsabilità che riguardano non solo l’indagine intellettuale e formale, ma anche le questioni ambientali e sociali, nella concomitante necessità di mantenere una posizione commerciale sostenibile. Parlando con Tatiana Bilbao, m’interessava sapere come il suo studio di architettura affronti questo problema in un Paese con così tante disparità – il 60 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e l’80 per cento è classificato come povero. Naturalmente, il programma di portare quell’80 per cento della popolazione in un sistema di alloggi più formalizzato appare “molto conflittuale”.
Se la scarsa qualità delle abitazioni è un problema universale, in Messico ciò è esplicitamente visibile nella proliferazione di densi insediamenti informali ai margini delle città, mentre le classi privilegiate si proteggono in comunità recintate ‘iperindividualistiche’, creando un ulteriore strato d’isolamento e aggravando la divisione sociale. Bilbao spiega che offrire “alloggi piacevoli e dignitosi” per tutti è un diritto sancito a livello costituzionale dalla legge messicana fin dagli anni Quaranta e che il Governo sente ancora oggi questa responsabilità. Tuttavia, se da un lato questo obiettivo è difficile da realizzare, dall’altro si tende a mescolare le funzioni del settore pubblico, le esigenze abitative e quelle del mercato in una condizione complessa e infruttuosa. Negli ultimi 40 anni, lo Stato si è affidato a costruttori privati per gli alloggi popolari, che vengono acquistati con mutui garantiti dal Governo. Ma anche se questo tipo di politica si è dimostrato economicamente redditizio per gl’investitori e conveniente per l’amministrazione, gli alloggi sono sempre di cattiva qualità costruttiva e sorgono in brutte zone. All’inizio di questo secolo, migliaia di case sono state abbandonate perché la gente preferiva costruirsi abitazioni abusive e informali in luoghi più interessanti. Paradossalmente, questa gestione più organica delle abitazioni permette alle persone d’improvvisare soluzioni più adatte alle proprie esigenze. Questo contrasto tra abitazioni commerciali modulari pianificate in modo sconsiderato e soluzioni più spontanee sottolinea la necessità di una pianificazione intelligente che consideri le infrastrutture da una prospettiva sociale più complessa.
Nel corso della sua carriera, Tatiana Bilbao ha intrapreso privatamente una ricerca su come affrontare le problematiche dei complessi residenziali su larga scala e sugli standard di progettazione. Il suo primo lavoro è stato quello di consulente presso il ministero dello Sviluppo e dell’edilizia abitativa del Governo del Distretto federale di Città del Messico. Durante questo periodo, ha fatto parte della Direzione generale dello sviluppo del Consiglio consultivo per lo sviluppo urbano della città. Anche se in seguito, nel 2004, disillusa dalla politica dell’amministrazione, è passata all’attività indipendente, il suo impegno nel sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore di una buona pianificazione e sul miglioramento della qualità dei processi di consegna degli alloggi e dell’ambiente in cui si vive è rimasto immutato. Rendendosi conto che né il Governo né i costruttori avrebbero sollecitato attivamente l’opinione degli architetti, Bilbao ha chiamato a raccolta i colleghi e ha fatto pressione sulle istituzioni, trovando al contempo opportunità in ogni progetto per dimostrare il valore di un approccio più umano alla progettazione. All’inizio, gli sforzi del suo studio sono stati ignorati: ricorda come le venisse detto che la soluzione era educare i poveri a diventare migliori consumatori nel mercato capitalista. Tuttavia, quando il nuovo Governo ha mostrato interesse nell’affrontare la questione, ha trovato gli architetti pronti a collaborare.
Tatiana Bilbao attinge all’energia culturale contemporanea e all’eredità dell’architettura modernista messicana
Ad Aguascalientes, una città povera ma con una buona pianificazione urbana, è in corso di elaborazione un piano generale per un’area che copre il 15 per cento della superficie cittadina totale, mirato a fornire le infrastrutture e i servizi necessari, oltre che a mediare con le richieste dei diversi quartieri. Allo stesso tempo, nell’area privilegiata di Monterrey, lo studio si sta occupando di un progetto abitativo che riflette l’altra faccia del problema, quella in cui le persone vivono “vite iperindividualiste”. Con una mossa senza precedenti per la zona, il progetto abitativo di 164 unità è poroso e organizzato in cluster attorno a strutture condivise, per favorire l’interazione tra i residenti, oltre che per migliorare quella con l’insieme delle attività e dei servizi locali. Alla fine, l’auspicio è di avere generato un senso di comunità locale e consapevolezza reciproca.
Per Bilbao, la coerenza nell’approccio e una visione chiara sono vitali per sopravvivere in un sistema neoliberale e ripristinare la credibilità della professione. “Non penso che sia un male lavorare con i ricchi. Io esploro sempre questi progetti perché di solito comportano un grande impegno nei confronti dello spazio pubblico. Ci piace spingerci oltre i confini prestabiliti”. A volte, la mancanza di una pianificazione e di un Governo efficaci hanno giocato a suo favore. Nel progetto del giardino botanico di Culiacán, ricorda, “abbiamo fatto quello che volevamo per 15 anni”. Lavorare con la gente del posto in questo lungo periodo di tempo li ha aiutati a comprendere il valore della partecipazione al processo di progettazione e a capire che anche le migliori intenzioni possono avere conseguenze fallimentari.
Bilbao ha poi spiegato come il mese scorso il Governo messicano abbia annunciato un nuovo programma per concedere un sussidio diretto alle persone che vogliono costruire le proprie case, riconoscendo il problema del massiccio abbandono d’insediamenti formali mal pianificati con infrastrutture sociali scarse o assenti. Ma se si tratta di un passo positivo per svincolarsi dalla dipendenza dagl’investitori immobiliari, in che posizione pensa debba stare l’architetto? È cauta riguardo a questa proposta, in quanto comporterà un minore controllo sulle case autocostruite e ricorda come la mancanza di esperienza nella costruzione, unita a un mercato invaso da materiali a basso costo, abbia portato alla distruzione di migliaia di case durante il devastante terremoto del 2017. Esiste chiaramente la necessità di trovare una via di mezzo, con gli architetti che contribuiscono alla pianificazione, al coordinamento della partecipazione alla progettazione e allo sviluppo di prototipi di abitazioni che potrebbero offrire sia indipendenza sia sicurezza e qualità di vita. Questa discussione porta inevitabilmente di nuovo alla questione della definizione della pratica attraverso la selezione dei lavori, la combinazione tra priorità accademiche e pratiche, forma e processo.
Tatiana Bilbao si è impegnata a sensibilizzare l’opinione pubblica sul valore di una buona pianificazione
È chiaro che la professione è onnicomprensiva ed è difficile non essere colpiti dalla chiarezza e dall’agilità di uno studio che s’impegna affinché l’architettura contribuisca alla qualità della nostra vita, alla sua bellezza e al raggiungimento dei propri obiettivi. L’approccio dello studio riconosce il fatto che gli architetti sono sia protagonisti sia strumenti che cercano un posto tra ricerca estetica professionale e intellettuale, oltre all’idea che il loro ruolo non è prestabilito, ma deve essere costruito e definito dall’architetto stesso, ispirandosi a modelli precedenti e basandosi sulle circostanze attuali. In questo senso, lo studio di Tatiana Bilbao attinge chiaramente all’energia culturale contemporanea e all’eredità dell’architettura modernista messicana. In modo pratico e diretto, lo studio vede le sfide della società contemporanea, in particolare quella degli alloggi, come parte della sua responsabilità. “In Messico, gli architetti non stanno facendo lavori sociali”, dice, “stanno solo operando nel loro contesto. Dare risposte alla povertà è il loro contesto”.