David Chipperfield è il nuovo Guest Editor di Domus per l’anno 2020. L’architetto inglese, nato nel ’53, succede a Winy Maas e Michele de Lucchi nel progetto 10x10x10 con cui Domus si avvicina alla celebrazione del suo centenario nel 2028 e firmerà dieci numeri della rivista nel 2020. In attesa del primo numero firmato da Chipperfield il prossimo gennaio, il nuovo Guest Editor ha anticipato le linee guida della sua collaborazione con Domus oggi 4 dicembre, nelle stanze del Grattacielo Pirelli progettato da Gio Ponti, con la presentazione del manifesto “What is our role?”, qual è il nostro ruolo.
Un testo programmatico nel quale Chipperfield parte dall’attualità, dalla crisi climatica e dalle diseguaglianze economiche e sociali, per interrogarsi sul ruolo di responsabilità che devono assumersi architetti e designer, sull’importanza di una visione condivisa in una attività che ha ricadute profonde sul pianeta, senza dimenticare che “architettura e design sono la rappresentazione fisica del nostro desiderio di bellezza e di ideali, con la capacità di ispirare – in silenzio – noi stessi e gli altri”. E queste conclusioni sono l’inizio per il 2020 di Domus.
“Come giovane architetto in Inghilterra negli anni Settanta e soprattutto negli anni Ottanta, Domus era una finestra aperta su un mondo molto vasto”, ricorda David Chipperfield nella sua intervista con Walter Mariotti, Direttore Editoriale di Domus, pubblicata nella monografia da oggi in edicola. È sempre stato molto stretto il rapporto tra Chipperfield e la rivista, che lui ricorda “la leggevamo per sapere cosa stava succedendo in architettura”. A Londra, racconta, in quegli anni si avvertiva una sensazione di grande isolamento. “Cosa che potremmo tornare a provare dopo la Brexit”, sottolinea Chipperfield. Disuguaglianza sociale, sostenibilità ambientale e il problema della comunità sono per lui le grandi sfide del nostro tempo e che intende esplorare per mezzo di Domus. “Oggi è impossibile parlare di architettura senza toccare questi temi”, sottolinea. Il primo numero di Domus, il 1042 che lo vedrà come Guest Editor, sarà in edicola a Gennaio 2020.
“Viviamo in una epoca di cambiamenti”, dichiara Giovanna Mazzocchi, Presidente di Editoriale Domus, durante la presentazione di David Chipperfield all'ultimo piano del grattacielo Pirelli progettato da Gio Ponti. E ricorda la storia che lega Domus e Chipperfield, dalle pubblicazioni sulla rivista negli anni Settanta al primo incontro di persona a Valencia. “David è un architetto molto moderno ma molto sensibile per il genius loci”, sottolinea. Per Walter Mariotti, direttore editoriale di Domus, Chipperfield ha la straordinaria qualità di mettere insieme varie personalità, e una sensibilità speciale per un'architettura vista non come un sapere verticale, ma che dialoga con la realtà e aspetti della vita sociale.
David Chipperfield racconta che Domus è un'ottima occasione, come lo era stata la Biennale di Venezia, per “fare un passo fuori dall'ufficio”, e spiega come intenda riprendere Domus dall'ultimo numero di Gio Ponti, in una sorta di ideale passaggio di testimone. La struttura del nuovo Domus sarà ripartita in 4 grandi sezioni: un'agenda, architettura, che vede la collaborazione con il fotografo Iwan Baan, design e arte, dove sarà sempre presente una riflessione di Jasper Morrison, e infine riflessioni. I temi per il 2020 saranno pianificazione, edilizia popolare, protezione/identità, progetto, rifugio, Olimpiadi, spazio comune, natura, città, tecnologia.
Qual è il nostro ruolo?
«In quanto architetti, designer e urbanisti, come dovremmo reagire alle sfide che ci pongono la crisi climatica e la crescente disuguaglianza economica e sociale? Spesso sosteniamo che la responsabilità è nelle mani di chi controlla il quadro finanziario e politico all’interno del quale ci troviamo a operare, ma è ora che smettiamo di accettare il paradosso di una posizione che mescola resistenza e complicità, e di sviluppare teorie per illustrare il nostro disagio.
Oltre a elaborare obiettivi per il consumo energetico, tecnologie sempre più intelligenti e materiali sostenibili, dobbiamo anche ridiscutere i presupposti sui quali sono basate le nostre posizioni professionali. Non siamo esperti di scienze ambientali né sociologi, tuttavia sappiamo che le nostre professioni hanno risvolti sociali e ambientali, e sappiamo anche che potrebbero contribuire a trovare delle soluzioni.
È solo agendo collettivamente che riusciremo a far valere la nostra voce nelle discussioni cruciali.
La brutale energia degli investimenti e della crescita può essere contrastata solo tramite una visione, quindi dobbiamo offrire una visione. Dobbiamo proporre scenari all’interno dei quali le esigenze della comunità siano meglio rappresentate, nei quali standard di vita qualitativamente alti siano considerati un diritto. Le soluzioni non possono arrivare da un singolo progetto: i percorsi più significativi vengono definiti più a monte nel processo, molto prima del punto in cui assolviamo ai nostri singoli compiti. È solo agendo collettivamente che riusciremo a far valere la nostra voce nelle discussioni cruciali. Dobbiamo essere aperti e imparare dalle generazioni più giovani, che sono veloci e più pronte a sollevare perplessità.
Dobbiamo anche cogliere l’opportunità di agire ora che l’attenzione collettiva si è spostata su temi come l’offerta di edilizia sociale, l’importanza dello spazio pubblico, l’impatto del traffico e la necessità di proteggere le qualità intangibili dello spazio.
Sono certo che per fare tutto ciò non dobbiamo abbandonare il nostro territorio, quanto piuttosto riappropriarcene. Architettura e design hanno connotazioni formali e poetiche che non perdono di validità, lo stesso dicasi per il contributo che possono dare. Qualsiasi cosa facciamo, dobbiamo tenere in considerazione il nostro ambiente fisico e spirituale, pensare a come migliorarlo. Ancora più importante, dobbiamo ricordarci che architettura e design sono la rappresentazione fisica del nostro desiderio di bellezza e di ideali, con la capacità di ispirare – in silenzio – noi stessi e gli altri».