Ebbene sì, è triste constatare come oggi i saperi pratici che avevano plasmato i territori stanno sparendo. È deprimente. Le orgogliose architetture delle città non hanno più modo di perpetuare i piaceri dei materiali, degli spazi, dei paesaggi. L’abdicazione da questo ruolo viene accettata con la scusa che viviamo in un mondo avido, irrefrenabile e senza pietà. Allora gli architetti che oppongono resistenza si affannano a creare emozioni ormai dimenticate, a riaprire la porta a un futuro ormai passato che induca a riflettere.
I ricordi non sono sempre nostalgici, anzi, oggi sono sempre più provocatori. Le scintille della memoria alimentano lo spirito dell’oblio, ma anche dell’ottimismo giocoso, e i ricordi che decidono di rivisitare il futuro. Ricordiamoci che la modernità attiva, quella dell’invenzione permanente, esige di essere collegata alle invenzioni più lontane e ai saperi più antichi. In questo mondo dell’immediatezza conta però molto ciò che risulta facile, le decisioni rapide sono le migliori.
Non abbiamo più il tempo per pensare. Non abbiamo più il tempo per ricordare. Per dubitare o riflettere. È così che le pecore diventano gregge, mentre le questioni che riguardano il passato, il ricordo, l’analisi, ci tediano. Anche identificare il vero e il falso. Allora seguiamo un percorso automatico che si trova tra l’oblio e l’irrefrenabile sicurezza: il percorso degli immobilisti, quello della sottomissione e del minimo sforzo.
La memoria ci abbandona e ci blocca lo spirito; lo spirito critico viene giudicato presuntuoso e antipatico. Ma possiamo consumare senza pericolo? Tutto ciò implica anche non vedere più in là della punta del proprio naso. Si arriva a cancellare, a far scomparire la propositività e l’immaginazione. Oggi si va verso la clonazione generalizzata e l’oblio delle nostre origini. Del passato facciamo tabula rasa. Del passato finiremo per non lasciare tracce, e cancelleremo tutte quelle che ci pesano. A dimenticare la nostra storia, a cancellare il nostro passato con il pretesto che sia sorpassato, ci chiamano le tabulae rasae del XX secolo, sicure di sé, vincitrici, che oggi sono anch’esse in purgatorio.
Allora, nonostante tutto, rispettiamole con benevolenza e ispiriamoci di tanto in tanto al loro ottimismo. Separiamo con costanza il grano dalle erbacce.
Immagine in apertura: Tadao Ando Architect & Associates, Benesse House Oval, Naoshima, Kagawa, Giappone, 1995. Foto © Tadao Ando Architect & Associates