Questa non è una scultura, ma un vero pezzo di design. Elegante e finemente levigata, la chaise longue Curl disegnata da Piero Lissoni per Salvatori si ricava da un unico blocco di pietra naturale, lavorato con la più avanzata tecnologia CAD/CAM. Tecnologia usata, però, solo “per togliere dal marmo solo ciò che era superfluo”, spiega il designer, che per l’azienda toscana fondata nel 1946 ha già disegnato diversi prodotti, come una linea di tavoli che, rastremati a soli 5 mm ai bordi, hanno messo alla prova la capacità ingegneristica del brand. Anche per lo sviluppo di Curl il lavoro ingegneristico si è rivelato fondamentale. “Abbiamo lavorato sulle sezioni, come se fosse la carrozzeria di un’auto o il motore di un aereo”, prosegue Lissoni, “rendendole estreme e spingendo la pietra al limite”. Il trattamento di finitura è invece manuale e, com’è nella tradizione di Salvatori, mira a preservare il più possibile l’aspetto naturale, in questo caso del marmo Bianco Carrara o della Pietra d’Avola. Nonostante il costo importante (siamo sui 20.000 euro), la chaise longue – ugualmente adatta a interni ed esterni – non è un’edizione limitata: è disponibile nel catalogo dell’azienda toscana ed è realizzata su ordinazione.
Piero Lissoni ai futuri designer: “Occorre una buona dose di anarchia e un coraggio da leoni”
Lissoni racconta il suo ultimo progetto per Salvatori, una chaise longue di pietra naturale, e risponde alle nostre domande a proposito di felicità, paura e coraggio: quello che serve per bloccare un progetto, quando capisci che non funziona.
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- Elena Sommariva
- 22 settembre 2020
Curl, perché questo nome?
Corrisponde a un momento della progettazione quando, lavorando al computer sulle tre direzioni XYZ, sul monitor è comparsa una curva con una serie di informazioni impartite dal robot al sistema. Una delle parole, è stata curling; da lì il nome.
Tutte le volte che faccio un progetto, semplice o complicato che sia, devo trovare una scusa, spesso è una matrice tecnologica, che mi permetta di spostare l’asticella un po’ più in alto.
Cosa le è stato più a cuore in questo progetto, l’aspetto tecnologico o quello artigianale?
Tutte le volte che faccio un progetto, semplice o complicato che sia, devo trovare una scusa, spesso è una matrice tecnologica, che mi permetta di spostare l’asticella un po’ più in alto. In questo caso, mi hanno chiesto di lavorare con la pietra, con spessori precisi, in modo da ridurre lo scarto di materiale. La prima cosa è stata scavarla manualmente con le frese. Mi piaceva l’idea che fosse un essere umano a disegnarla, e assemblarla e un processo semiumano per costruirla e lavorarla. Tantissime curve e dettagli di questa chaise longue sono scaturiti proprio ottimizzando questo processo di commistione, che ha unito l’opera dell’artigiano alla qualità della lavorazione di una macchina. Se avessi accentuato le curve sul bordo, la macchina avrebbe dovuto lavorare in altro modo. Ottimizzando il tempo del passaggio degli utensili sulla superficie, alcune curve ci hanno consentito di ottimizzare i tempi di produzione. Si è trattato di un progetto di design tout court. Abbiamo lavorato per ridurre la quantità di pietra impiegata, evitando rischi strutturali, scegliendo i pezzi di pietra migliori. Ogni sedia avrà un aspetto diverso, perché scegliamo la vena. Come un vero progetto industriale, tecnicamente siamo in grado di costruire tutti i pezzi che vogliamo.
Com’è stato lavorare un arredo di pietra?
Abbiamo fatto modelli in altri materiali, usato schiume, la fresa del legno, come succede nel mondo del design. Appartengo alla vecchia scuola: disegno, ma procedo anche per prototipi, anche in numero elevato. In modo da arrivare al manufatto migliore possibile, con la lavorazione più veloce e intelligente. Poi sono riuscito a farla scomoda lo stesso…
Per me il progetto è un processo, un assemblaggio di curiosità, è scoprire che domani ne devo fare un altro e mi devo mettere d’impegno per ricominciare a giocare. È un lavoro di team.
Cosa la rende felice come progettista?
Proprio il percorso che ho appena descritto. Per me il progetto è un processo, un assemblaggio di curiosità, è scoprire che domani ne devo fare un altro e mi devo mettere d’impegno per ricominciare a giocare. È un lavoro di team: ci sono tante persone che lavorano con me, che mi fanno cambiare idea, che si arrabbiano. La bellezza del progetto non è solo congelare il modello estetico, ma entrare in un processo che tocca un sacco di punti: tecnologia, scelta del materiale, in che modo o usarlo, fino ad arrivare a un’idea assolutamente industriale. L’energia che ci mette l’imprinting industriale è fondamentale.
E qual è invece la sua più grande paura?
Sono sempre terrorizzato, la domanda che mi faccio più spesso è: “Sei sicuro?” Il momento più spaventoso è quando passo al secondo gradino, la cosiddetta renderizzazione. Fare i conti e passare alla modellazione elettronica con una serie di maquette mi spiega cosa sto facendo. È a quel punto che posso decidere se andare avanti nel progetto o smettere. Smettere vuole dire ammazzare una creatura.
Sostenibilità significa realizzare edifici che, a fine vita, non resteranno come rovine imperiture; edifici che, tra 40 anni, se qualcuno deciderà che non hanno più valore, potranno essere smantellati.
Quanto spesso capita di doversi fermare?
Ci sono sempre il 50-60 per cento delle possibilità. Potersi fermare è un lusso e un’ignominia al tempo stesso. Dobbiamo avere il coraggio di fermarci, mi è capitato di bloccare un sacco di progetti quando ho capito che avrei dovuto lavorarci anni, senza portare a casa la pelle. Da architetto, ci vuole più coraggio a fermarsi che a proseguire. Il design è più onesto: ci sono tre controparti, il designer, l’azienda e il mercato. Un progetto può andare bene a me e all’azienda, ma poi è sempre il mercato a decidere. Con l’architettura, ci sono invece sempre tante vittime sacrificali. In virtù delle dimensioni e andando a umanizzare uno spazio, il peso dell’architettura è differente. Non a caso, faccio architetture che hanno una durata limitata: se non puoi farne a meno, le restauri oppure le smantelli e le fai diventare altro. Un edificio deve durare un tempo corretto; deve anche avere la capacità e la possibilità di essere trasformato in qualcosa di diverso. Sostenibilità significa realizzare edifici che, a fine vita, non resteranno come rovine imperiture; edifici che, tra 40 anni, se qualcuno deciderà che non hanno più valore, potranno essere smantellati.
Un designer che ammira? E perché?
Ce ne sono talmente tanti. Dovrei fare un elenco a rovescio, quelli cioè che non mi piacciono. Mi piacciono tutti: Eames, Castiglioni, Zanuso, Scarpa, Magistretti. I grandi scandinavi, come Wegener; qualche tedesco, non necessariamente Dieter Rams. Molti designer contemporanei, come Jonathan Ive, Antonio Citterio, Rodolfo Dordoni.
Quale oggetto ha cambiato la sua vita?
Il vero oggetto che mi ha cambiato la vita è stato il computer: il suo significato intrinseco e il suo modello d’intelligenza. E, ancora, la gestione domotica di una casa, il software che ti permette di usare un telefonino, i robot della sala operatoria per un’operazione a cuore aperto. Pensando a un oggetto, per me grande fonte d’ispirazione è sempre stata la Toyo: quando la vedo, mi dico: “Come si fa a essere così bravi?”.
Potendo viaggiare nel tempo, quale epoca (passata o futura) sceglierebbe?
Me ne sto tranquillamente bene nella mia. L’epoca passata, penso al periodo postbellico, è stata una delle più interessanti, con la nascita di un nuovo modello di umanesimo e di un nuovo modello industriale. E poi con nuovi bisogni, reinventai. Il futuro mi interessa poco, lo scoprirò domani. Credo che ognuno sia figlio del proprio tempo.
Ci vuole una buona dose di anarchia e un coraggio da leoni: più per ammazzare i progetti che per farli.
Un consiglio a un designer che comincia?
Cambiare mestiere. No scherzo. Vorrei suggerire di avere un approccio aperto. Non è detto che dovrà fare necessariamente il designer: ci sono altri mondi paralleli, come l’interfaccia aziendale, il tecnologo… Se invece, vuole proprio fare il designer, gli direi (o le direi) che ci vuole grande disciplina, tanto coraggio, voglia di studiare, che non è copiare. E poi la capacità di reinventarsi tutti i giorni, come i bambini, con allegria quotidiana: devi immaginare che domani sarà il giorno migliore del mondo. Infine, ci vuole una buona dose di anarchia e un coraggio da leoni: più per ammazzare i progetti che per farli. Dimenticavo, come hanno già detto in tanti prima di me: bisogna essere curiosi.
- Curl
- Piero Lissoni
- Salvatori
- 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020
Piero Lissoni, chaise longue Curl, Salvatori, 2020