“Le vrai Moleskine n’est plus”, disse lapidaria a Bruce Chatwin la proprietaria di una cartoleria parigina, come riporta lo stesso scrittore/viaggiatore ne Le vie dei canti. Che è vero, ma anche no. Vero, perché i quadernetti con copertina scura prodotti da legatorie indipendenti francesi e utilizzate da artisti e scrittori, da Hemingway a Picasso, a quel punto erano oramai morti. Ma falso, perché nel 1997 Moleskine risorge come marchio. Non a Parigi, ma a Milano. E diventa un culto globale, la cui eco supera l’originale a cui si ispirava. Daniela Riccardi, la nuova Ceo, arriva proprio da Parigi, dove per sette anni lo è stata di Baccarat. Precedentemente prima Ceo di Diesel, alle spalle ha “una storia molto variegata”, come la definisce lei stessa, con esperienze di lavoro dalla Russia alla Cina all’America Latina.
La sfida di Moleskine, italiana e globale, analogica e digitale, “mai di moda e sempre attuale”
Una conversazione con Daniela Riccardi, nuova Ceo dell’azienda nata e cresciuta “con la missione di fare di un oggetto di design un progetto culturale”.
View Article details
- Alessandro Scarano
- 11 dicembre 2020
L’ingresso in Moleskine non è stato dei più tradizionali. “Ho conosciuto la mia organizzazione attraverso Teams e Zoom”, racconta Riccardi, che si è insediata ad aprile, “in pieno lockdown”. Anche la nostra chiacchierata è in videoconferenza, come si addice a questi tempi. E tra lance spezzate a favore dello smart working (“lo supportiamo con estrema flessibilità, non ci vedo nessun problema di efficienza, anzi forse lavoriamo di più”, “questo tipo di flessibilità è essenziale in una compagnia come la nostra”) e affermazioni di ottimismo (“se il mondo esce dal Covid, non vedo perché non dovremmo uscirne a testa alta anche noi”), finiamo subito a parlare della portentosa rinascita della diaristica durante la pandemia, o per dirla all’americana del journaling, “un termine che è molto tornato tra le giovani generazioni, soprattutto negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo”.
I ragazzi hanno ricominciato a scrivere un diario.
Ho una figlia di quell’età le ho chiesto in cosa consista. Lei mi ha spiegato che in un momento così critico, in cui non si sa bene cosa sarà di studi e progetti di lavoro e viaggi, scrivere aiuta molto. E aiuta tornare indietro e vedere cosa pensavi sei mesi fa, un anno fa. Ho trovato questo molto significativo.
Pensate di sviluppare nuovi prodotti in questo senso?
Ci ho molto pensato e vorrei evitare di farlo in maniera patetica.
Ovvero?
Non voglio che sia il diario degli anni del Coronavirus, ma qualcosa su come abbiamo riscritto la nostra storia. Penso che sia un tema. Non so se ne uscirà un prodotto nuovo, o se semplicemente introdurremo qualcosa in quello che abbiamo già, comunicando con le nostre community online.
Com’è la community di Moleskine?
Più grande di quanto noi stessi immaginiamo: una parte è “sponsored”, e questo fa parte del nostro percorso storico, poi abbiamo un archivio di migliaia di pezzi sviluppati da artisti, le Moleskine che ci hanno donato. E poi ci sono delle comunità spontanee.
Sui social?
Per esempio su TikTok, dove decine di milioni di giovani si scambiano la loro arte usando un hashtag, #ourjournal, e la maggior parte lo fa utilizzando le Moleskine. Sto cercando di capire quanto abbia senso sponsorizzare e quanto invece questa cosa debba essere lasciata alla sua spontaneità.
Giusto. Molti brand non capiscono alle volte che insistendo per piazzare il prodotto o il logo, rischiano un effetto boomerang.
Nelle community sponsorizzate su TikTok, lo senti che è presente un brand che spinge per vendere. E così mi sembra che il vero significato del brand ne esca trivializzato. Vorrei amplificare senza arrivare al punto di sponsorizzare.
Gli influencer vanno usati con attenzione.
Tutta questa cosa degli influencer arriva a un punto dove la credibilità è dubbia.
Tutta questa cosa degli influencer arriva a un punto dove la credibilità è dubbia
E l’archivio, invece?
Nell’archivio della Fondazione Moleskine c’è una collezione di migliaia di pezzi. Alcuni vengono da una serie di eventi itineranti che si chiamano Detour (a cui è stato anche dedicato un volume, NdR). A Shanghai una quindicina di anni fa, quando non ci andava ancora nessuno, eravamo tra i primi a fare una cosa del genere; in quel contesto si parlava della bellezza del gesto dello scrivere sulla carta, e vari artisti hanno realizzato opere che poi sono state donate all’archivio. Un tesoro, un valore incredibile ed essenziale. Mi piacerebbe fare tante cose, anche creare delle riedizioni di quei pezzi, per esempio avere una copia di un particolare notebook d’artista, il suo, quello che si dice spesso nel nostro mondo, “my Moleskine”.
Così arriviamo al punto: ovvero il fatto il che valore di Moleskine trascende il prodotto, il quaderno.
È bellissimo ed è il motivo per cui sono qui. Moleskine è una bellissima azienda nata e cresciuta con la missione di fare un prodotto di design per un progetto culturale, e così è ancora oggi.
L’aspetto culturale è cruciale, giusto?
Sì, lo è. Non siamo un quaderno, siamo una storia da scrivere. Una forza che deve aiutare il genio umano, che si esprime attraverso il tratto della mano e della penna sulla carta, per trasmettere la creatività nella maniera più immediata e produttiva. Tutto quello che facciamo ruota in maniera molto organica intorno a questo. Non vendiamo notebook, vendiamo un libro ancora da scrivere.
Anche se non devi essere per forza uno scrittore per usarla. Chi usa i vostri quaderni oggi?
Tra i nostri clienti ci sono moltissimi professionisti: creativi, ma anche avvocati e notai, professionisti del digital. E tutti raccontano una storia di collezioni di Moleskine. Per Maria Segregondi, la fondatrice, la parola “creativo” non è ristretta a chi disegna o fa fumetti o fa pubblicità e come dice lei, questi sono i nuovi Chatwin, i nuovi Picasso, i nuovi Hemingway, che si esprimono in maniera più ampia di quanto fosse in passato. Non posso neanche dire che lavoriamo con i designer, sono i designer che lavorano con noi.
I francesi pensano che Moleskine sia francese, gli americani americana. Dunque, quanto è importante l’italianità?
Il prodotto è stato creato con un’attenzione per il dettaglio e la qualità, nel design, nella tipologia della carta e il suo colore, nella finezza dei dettagli, nella curvatura degli angoli, con quella tensione alla bellezza che fa parte della cultura italiana.
Però è anche un prodotto globale.
Il prodotto è stato disegnato qui, poi in Cina con gli esperti di carta e calligrafia e rilegatura sono stati scelti i giusti elementi per produrla. È globale, in tutti i sensi.
E per me che ho vissuto così tanti anni in culture diverse, l’Italia non è certo al centro del mondo e dobbiamo capire gli altri e avvicinarci. È una cosa a cui tengo molto.
L’eccesso di orgoglio che certe nostre aziende hanno per il Made in Italy rischia di diventare una gabbia, in un mondo in cui il valore spesso si crea con l’interazione tra culture?
Noi italiani abbiamo portato un senso artistico e una attenzione al dettaglio e alla qualità nella moda o nel design del mobile che sono importanti. Le persone all’estero ci tengono a sottolineare che i loro vestiti sono italiani, i loro mobili sono italiani. Penso anche che da un punto di vista imprenditoriale e di espansione del business bisogna confrontarsi con altre realtà. Magari è facile entrare nel mercato perché porti il valore di essere un marchio italiano, ma poi non basta. All’estero ci sono tanti brand che dicono di essere italiani, ma di cui in Italia non abbiamo mai sentito parlare. Un po’ come la lasagna di pollo che mangiano in Colombia, convinti che sia un piatto italiano. L’italianità vende, è “used, abused and misused”.
Moleskine è una bellissima azienda nata e cresciuta con la missione di fare un prodotto di design per un progetto culturale, e così è ancora oggi
C’è qualcosa che si porterà dalla sua esperienza nella moda?
Io ho iniziato a usare le Moleskine come un accessorio da abbinare con questa borsa, quel foulard. O in base ai colori dell’anno. Sicuramente è un oggetto nato come oggetto di design e che ha elementi estetici nel suo dna. Ora c’è una limited edition di Frida Kahlo, che arriva dopo la collezione studio che ha riunito 6 diversi talenti da tutto il mondo. Penso che ci sarà sempre più spazio per colori, materiali e, perché no, partnership. Però quello che è importante è che Moleskine non deve essere mai di moda e non deve mai passare di moda. Questa è un’azienda che non si è lasciata tirare a destra e sinistra dai trend del momento, è molto focalizzata sulla propria missione, ed è estremamente presente nella vita di tutti i giorni.
Come Lego, siete una azienda che nasce analogica, ma fa molto bene anche il digitale.
Una parte importante del nostro business è lo smart writing system, una parte su cui insisterò molto negli anni futuri. È perfettamente Moleskine, perché scrivi sulla carta, ma quello che fai puoi amplificarlo sul mondo digitale.
È la vostra strada verso il futuro?
È un linguaggio che ha senso guardando gli anni a seguire, dove vogliamo che il mondo riscopra l’importanza del gesto del genio umano espresso schizzando qualcosa su un pezzo di carta, che magari poi si traduce in un progetto gigantesco, ma che da lì deve partire. E penso che ci sia molta scienza e molta letteratura che oggi cerca di fare riscoprire alle nuove generazioni l’importanza di non perdere quell’aspetto. Questo parla anche della longevità del progetto Moleskine. Noi non abbiamo visto una flessione nei nostri più o meno 10 milioni di utenti.
Moleskine è anche una serie di app, come il calendario Timepage o Flow, che è stata premiata con un Apple Design Award l’anno scorso.
Nasce da un progetto digitale vero, con un team sparso tra Roma, Australia e gli Stati Uniti che ha fatto un lavoro eccellente. Nel futuro cercheremo di sviluppare app ancora più vicine al dna del brand. La mia sfida, la mia richiesta, è stata quella di pensare applicazioni che siano stimolo di riconoscimenti culturali, artistici e di design, che noi possiamo integrare nell’ecosistema Moleskine. Non sostituiranno mai il notebook, ma serviranno ad amplificare, zigzagando tra digitale e analogico e tirando fuori il meglio del nostro potenziale.
Una Moleskine aumentata.
Bisogna trovare un modo di integrare in continuità analogico e digitale, sì. Senza dovere abbandonare qualcosa da un lato o dall’altro.
Immagine di apertura:Nicholas Hlobo (Cape Town, South Africa 1975) - Untitled 2009. Progetto Detour - Per gentile concessione: Collezione Fondazione Moleskine.