Ripensare le infrastrutture: non un costo, ma un valore

Le expertise di EY spiegano i fattori da considerare quando si immagina e si realizza un’infrastruttura, per far sì che quell’opera sia un investimento sul futuro per la comunità e non un “male necessario”.

La riflessione mainstream sul tema delle infrastrutture, e su quella che è l’infrastruttura per eccellenza - la città - sconta da qualche anno un approccio viziato da un pregiudizio. Le infrastrutture sono considerate una sorta di “male necessario” per far funzionare le città. Sono invasive, sono ferro e cemento, aumentano la spesa pubblica e, come ci ricordano spesso le statistiche rilanciate dai media, sono responsabili del 75% delle emissioni di gas climalteranti nel mondo. Il primo tema da affrontare è quindi quello di “socializzare” un cambio di paradigma necessario che posizioni lo sviluppo infrastrutturale urbano come opportunità di generazione di valore, sociale, ambientale, economico e di sviluppo.

Questo cambio di paradigma è chiaramente e saldamente alla base delle nuove policies di sviluppo globale, europeo e nazionale ma solo in parte applicato e compreso a tutti I livelli dello sviluppo, utilizzo e gestione del “sistema urbano”. Innanzitutto è importante definire cosa si intende per “infrastruttura urbana” partendo da quello che è la città: la sintesi armonica di una rete complessa di infrastrutture, materiali e immateriali.

Il primo tema da affrontare è quello di ‘socializzare’ un cambio di paradigma necessario che posizioni lo sviluppo infrastrutturale urbano come opportunità.

Strade, ponti, stazioni, porti, aeroporti, ma anche abitazioni, parchi, piazze, scuole, ospedali, parcheggi, campi sportivi, musei, luoghi di culto. In questo senso, l’infrastruttura urbana è l’abilitatore di una funzione, o di un bisogno, e come tale è l’elemento dal quale i cittadini estraggono valore economico e significato sociale. Per contestualizzare questo cambio di paradigma tra infrastruttura urbana come “costo” a infrastruttura come “valore”, non va inoltre dimenticato che la città rappresenta la modalità più efficiente per organizzare e far funzionare una realtà sociale, in tutte le sue dimensioni e complessità: è la forma più efficiente dal punto di vista delle relazioni tra persone, dell’organizzazione economica, dell’ottimizzazione dei servizi e della gestione di consumi e delle emissioni.

Basta seguire le statistiche delle emerging economies (utile per studiarne più chiaramente il processo di “urbanizzazione”) per confermare, ad esempio, che non solo il consumo energetico per-capita sia mediamente 15% inferiore in centri urbani rispetto all’equivalente rurale, ma che le fonti di energia utilizzate in centri urbani sono mediamente il 100% più sostenibili di quelle rurali. Inoltre, seguire lo sviluppo delle emerging countries continua a confermare che le città - come centri di human capital - migliorino mediamente la loro produttività del 5% ad ogni doubling della popolazione, trovando anche delle forme non convenzionali, come ad esempio a Dharavi nella megalopoli di Mumbai. 

Le statistiche delle emerging economies confermano che non solo il consumo energetico per-capita sia mediamente 15% inferiore in centri urbani rispetto all’equivalente rurale, ma che le fonti di energia utilizzate in centri urbani sono mediamente il 100% più sostenibili di quelle rurali. Istockphoto

È questa la prospettiva rispetto alla quale dobbiamo imparare a misurare il valore e il significato di un’infrastruttura, non solo - come banalmente si tende a fare - considerare quale sia l’investimento per realizzarla, o quanto lavoro generi la sua realizzazione, ma individuare e quantificare il valore diretto o indiretto che i cittadini potranno estrarre da questi investimenti, con particolare attenzione ai ritorni di investimento di natura sociale.

Quanto lo sviluppo di nuovi asili potrà aumentare le percentuali di lavoratori con figli a carico e quindi aumentare il tenore di vita (e il valore economico) di quelle famiglie? Quanto un investimento in infrastrutture di collegamento farà crescere il turismo o le relazioni di business di un territorio nei prossimi 20-30 anni? E quanto questo potrà abilitare le nuove tendenze di viaggio che vedono sempre di più combinazioni di vacanza e lavoro? Partendo da questi presupposti e dalle expertise che come EY ci contraddistinguono, la domanda che ci siamo posti è quindi capire quali sono i fattori da considerare quando si immagina e si realizza una infrastruttura, per far sì che quell’opera sia un investimento sul futuro, un elemento dal quale i cittadini, le amministrazioni pubbliche e le imprese di oggi e di domani possano estrarre valore.

Il nostro framework per rispondere a questa domanda è stato sviluppato sulla base delle esperienze maturate giornalmente con clienti globali sui temi dell’infrastrutturazione urbana ed è - molto semplicemente - la versione in scala urbana dello stesso processo logico che ciascuno di noi fa, per esempio, quando deve acquistare o costruire la casa in cui vivere, rispondendo in modo strutturato a tre domande: come voglio vivere, cosa mi serve e cosa posso permettermi. Per estensione quindi, il nostro framework porta il concetto della “casa a misura d’uomo” alla città a misura d’uomo o Humanopolis.

Come vogliamo vivere la città?

Questa domanda, che è alla base di ogni sviluppo “ragionato”, è stata storicamente approcciata con modelli teorici più o meno complessi che hanno potuto dimostrare il loro successo (o fallimento) solo ex-post. Oggi invece, grazie alla combinazione di neuroscienze, Artifical intelligence e social media abbiamo la possibilità di disegnare e prevedere in modo analitico quali trend generazionali guideranno il rapporto del cittadino con l’infrastruttura urbana. I social media e i dati provenienti dai sensori ci permettono per la prima volta nella storia di avere un rapporto molto più diretto e data driven con le generazioni future (GENZ e successive), le neuroscienze ci permettono di valutare con precisione quali modelli urbani e di sviluppo vengono (e verranno) percepiti come più di valore dagli utenti e infine i nuovi approcci AI-Driven ci permettono di creare coerenza nell’infinità di dati a cui abbiamo accesso.

Montréal Le neuroscienze ci permettono oggi di valutare con precisione quali modelli urbani e di sviluppo vengono (e verranno) percepiti come più di valore dagli utenti; i nuovi approcci AI-Driven ci permettono di creare coerenza nell’infinità di dati a cui abbiamo accesso. Istockphoto

Cosa serve?

Una volta compreso come le generazioni presenti e future vogliono e vorranno “estrarre valore” dalle infrastrutture urbane, la sintesi su cosa in effetti “serva”, sia necessario e prioritario, avviene sovrapponendo e integrando i trend globali di sviluppo. Ad oggi questi sono chiaramente e saldamente incentrati sulla sostenibilità e sull’abbattimento delle emissioni di gas climalteranti in tutte le loro sfaccettature (fonti sostenibili di energia, trasporto sostenibile, abbattimento delle emissioni urbane, condizioni di vivibilità collegate al green, etc).

Qual è un costo ammissibile?

Infine capire quale possa essere un costo sostenibile per le direttrici di sviluppo indicate è anche questo un processo che solo negli ultimi anni si sta spostando da un approccio qualitativo a uno quantitativo a tutti i livelli. Capire quale possa essere un costo ammissibile è chiaramente possibile solo se si conosce il valore effettivamente sviluppato dall’investimento. Ed è qui che lo sviluppo di nuovi modelli costi benefici diventa uno strumento indispensabile non solo per calcolare il valore futuro di un’opera, ma anche per valutare i benefici presenti, dinamici (i cambiamenti a breve) e futuri da essa sviluppati. Basti pensare, ad esempio, come un investimento che oggi riduca di 1 tonnellata di CO 2 (l’equivalente di 10 ore in aereo per passeggero) comporta un valore 4 volte superiore tra 20 anni.

Ogni giorno, nel nostro lavoro di affiancamento di soggetti pubblici e privati che sono chiamati a queste valutazioni e decisioni, ci accorgiamo di quanto sia complicato trovare una sintesi coerente di queste tre domande, e quanto sia importante affiancare i decisori per consentire di avere una visione integrata, anche grazie a strumenti innovativi come quelli che oggi la tecnologia ci mette a disposizione. Troppo spesso le decisioni vengono prese per aggiustamenti progressivi, senza comprendere che se manca, o non è chiara fin dal principio, un disegno e una visione di insieme che sappia armonizzare le tre dimensioni, si rischia di non poter estrarre da un’infrastruttura tutto il valore aggiunto che potrebbe restituire sul lungo termine, o di vanificarne la portata. A questo punto è però importante sottolineare come il nostro approccio sia stato spinto e plasmato non solo dalle esigenze dei nostri interlocutori ma anche dall’impianto teorico, normativo e di processo che, soprattutto in Europa, è stato sviluppato negli anni dalle università, dal governo e banche centrali e da quelli locali per indirizzare i grandi fondi di sviluppo e - di conseguenza - lo sviluppo infrastrutturale stesso. Questo enorme bagaglio architettonico, culturale, normativo, di processo ed economico rappresenta esso stesso un patrimonio unico al mondo, e al quale il resto dei Paesi guarda con estremo interesse. Perché si tratta di un quadro unico, sviluppato negli anni che riesce a comprendere le esigenze di sviluppo di grandi metropoli come Parigi, Milano, Berlino, fino al piccolo paesino nel cuore della Toscana.

Domus Air n. 12. Copertina

Come Europa, siamo portatori di un corpus normativo che è frutto di duemila anni di storia e di cultura, rappresenta un “prodotto da esportazione” interessantissimo per intere regioni del mondo a rapida urbanizzazione - dai Paesi del Golfo al Far East e all’Africa Subsahariana - che oggi stanno approcciando a una fase di sviluppo per gestire la quale il presupposto di avere buone regole è fondamentale. Lavorando a livello globale ci troviamo giornalmente a “connettere” know-how e prospettive europee a opportunità di sviluppo estere, sia nel mondo pubblico sia in quello privato. Partendo dai fondi di investimento fino ad arrivare agli studi di progettazione, all’industria del turismo, dell’arredamento, alle grandi realtà energy & power generation e le altre realtà europee che nel loro insieme contribuiscono al nostro sviluppo urbano e infrastrutturale.

È vero che l’Europa, come si dice spesso anche con un velo di disfattismo, impone regole e processi molto stringenti rispetto - ad esempio - ai parametri di impatto ambientale e che in ogni caso una riduzione del 50% delle emissioni europee porterebbe solo a un miglioramento globale del 5-7%, ma è anche vero che queste regole e processi sono un patrimonio unico al mondo che ha già oggi un grande mercato e un grande valore. Questo, se innestato e indirizzato in un moltiplicatore dato dai Paesi a più forte sviluppo, può fare davvero la differenza.

Immagine di apertura: Pechino. Le infrastrutture sono considerate spesso una sorta di “male necessario” per far funzionare le città. Sono invece l’abilitatore di una funzione, o di un bisogno, e come tale sono l’elemento dal quale i cittadini estraggono valore economico e significato sociale. Istockphoto

DomusAir

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram