Come tanti concetti, la sostenibilità è anche una questione di parole. E tanti designer hanno parlato di sostenibilità con Domus, in parallelo ai progetti che davano forma alle loro parole. È un dialogo cominciato quando decenni fa si parlava di ecologia, e continua anche oggi. Attraverso il concetto di design sostenibile, la lingua della disciplina si trasforma, intercettando le ricerche impegnate a migliorare la nostra coesistenza col pianeta.
Tutto va nella direzione di una società sempre più responsabile del proprio vicino, delle centinaia di problemi comuni, dalla ecologia all'assistenza sociale. Se l’artista rifiuta di conoscere questa struttura, si ritira in una posizione reazionaria.
Christo, Domus 549, agosto 1975
Uno sguardo totale
La sostenibilità del design oggi è sostenibilità del progetto in senso ampio, davvero un concetto olistico dove diventa difficile separare le discipline e le scale d’azione: più che sull’oggetto, la sostenibilità poggia sul processo e sulla componente di relazione. Se per Francis Kéré, l’architetto premio Pritzker 2022, “Tutti meritano la qualità, tutti meritano il lusso e tutti meritano il comfort. Siamo interconnessi e le preoccupazioni per il clima, la democrazia e la scarsità sono preoccupazioni per tutti noi”, persino le parole di un Pritzker di generazione precedente come Norman Foster arrivano a estendere il campo dell’affermazione alla città: “La nostra connettività in continua crescita attraverso la tecnologia deve essere utilizzata per rendere gli spazi e le città più smart per le persone, e per creare case che offrano una sensazione di comfort e di dignità̀ (…) perché́ non si sentano mai più sole”.
Tutti meritano la qualità, tutti meritano il lusso e tutti meritano il comfort. Siamo interconnessi e le preoccupazioni per il clima, la democrazia e la scarsità sono preoccupazioni per tutti noi.
Francis Kéré
Quando ci si è trovati a parlare pragmaticamente di realizzazione dei progetti, l'associazione principale al concetto di sostenibilità avviene sul piano dei materiali: “Produrre con meno è uno dei fattori più seri e concreti per definire la sostenibilità o l’intelligenza progettuale, come preferisco chiamarla io. L’approccio più corretto è minimizzare la quantità di materiali usati e massimizzare l’uso di moduli”, spiega Piero Lissoni nel 2015 su Domus Green 994, parlando di un’ottimizzazione che si accompagna ad un altro grande pilastro operativo: il riuso. Reuse, reduce, recycle. “Se può sembrare ovvio che sia meglio riutilizzare i materiali che buttarli via, il mercato dice, di fatto, il contrario” sottolinea il gruppo belga Rotor, cintura nera di progettazione per riuso di componenti, anche se “parlare di riuso è il modo più semplice di spiegare un impegno in questa direzione, ma il riuso non è un fine in sé”.
La responsabilità di chi produce
Con John Hoke, Head Designer di Nike, Domus ha discusso di come una grande azienda possa approcciare la sostenibilità per fare la differenza.
“Siamo qui per tutelare lo sport che, dopotutto, viene praticato sulla Terra. Un’azienda con le nostre dimensioni ha l’opportunità di contribuire a dei cambiamenti sistemici. Noi stiamo facendo dei cambiamenti esponenziali nei materiali usati, nel processo manifatturiero e nella progettazione: siamo i critici di noi stessi, dunque stiamo provando a avere un ruolo operando un cambiamento”.
Nike Forward, la più recente tecnologia presentata, nasce proprio dal dialogo con gli atleti e da 5 anni di ricerca che hanno unito design e scienza in un rapporto sinergico per innovare nel rispetto dell’ambiente. Per Hoke, il design è fatto “di forma, funzione, impatto ambientale, bellezza e emozione.”
La sostenibilità è prima di tutto sociale
Uno sviluppo di questo aspetto operativo che sappia però sfilarsi dalle sabbie mobili del greenwashing è possibile solo se alle sue spalle c’è un pensiero più ampio, capace di staccarsi dal solo ricorso alle soluzioni tecniche, e di guardare la big picture: “La parola ‘sostenibilità’ non suona più bene, perché ha finito per diventare tecnologia e tutte queste cose tanto di moda, che in realtà sono realmente sostenibili solo per una piccola parte del mondo”, ha detto la progettista nigerina Mariam Kamara. “Mi piace pensare alla sostenibilità in termini di ‘sostenere le persone’: se si sostengono le persone è probabile che si sostenga anche l’ambiente”.
La sostenibilità come utopia
Il termine “altruismo” può essere esteso a una trasformazione del nostro rapporto non solo con il pianeta e gli esseri umani, ma con l’idea stessa di “natura”. Come ha sostenuto Emilio Ambasz, architetto e a lungo curatore del dipartimento design al MoMA, “costruire cambia inevitabilmente la natura così come la si trova e la trasforma in una natura fatta dall’uomo. L’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre e, se possibile, compensare la nostra intrusione nel Regno Vegetale”.
Bruce Sterling disse che la persona più verde del pianeta era suo nonno perché era morto, sepolto e stava diventando compost.
Martí Guixé
Dalle generazioni successive il rilancio è ancora più alto: il duo Formafantasma ci anticipava la sua mostra “Cambio” del 2020 alle Serpentine Galleries di Londra dicendo che “la sostenibilità è un’utopia forte perché è fuori dalla modernità, lontana dalla cultura novecentesca e pienamente inserita nel nuovo modo di intendere il nostro rapporto con la natura. Si sta consolidando l’idea che l’uomo può continuare a vivere solo se collabora con gli altri esseri viventi. Noi come designer, ma soprattutto come esseri umani, dobbiamo prenderci cura non solo di noi stessi, ma anche di tutte le altre specie del pianeta”.
Praticare la sostenibilità è un atto radicale, a noi di scegliere fino a che punto spingerci in questa radicalità profonda. In quella direzione, a differenza delle altre, un limite non esiste. D’altro canto, come ci faceva notare il designer catalano Martí Guixé: “Bruce Sterling disse che la persona più verde del pianeta era suo nonno perché era morto, sepolto e stava diventando compost”.
Immagine di apertura: Formafantasma. Seeing the Wood for the Trees, Cambio, 2020.