La formula di Design Indaba è insieme semplice e complessa. Istituzione ventennale, si manifesta come una conferenza di tre giorni, aperta al pubblico, in cui si susseguono talk da 20/30 minuti ciascuno. Una sorta di TED del design internazionale. Si svolge tutto all’interno dell’Artscape Theatre, nella zona Waterfront di Cape Town. Sul palco creativi di ogni categoria: design e moda, architettura e cinema, televisione, grafica e pubblicità. Più che impartire lezioni sul mestiere, vengono chiamati a condividere un messaggio di vita con la platea, a partire dalla propria esperienza personale. Alcuni presentano i risultati di progetti avviati negli anni insieme al team di Indaba, attivi su tutto il territorio africano.
Quattro lezioni dal festival creativo più importante d’Africa
Design Indaba è l’evento imperdibile del mondo del design: gli insegnamenti dell’ultima edizione.
View Article details
- Marianna Guernieri
- 07 marzo 2019
Foto Merel Musch
È un tempio che da 24 anni accoglie una comunità creativa affiatata e connessa, una grande famiglia aperta a tutti coloro che sono animati da uno spirito di condivisione. Ciò che accumuna gli speaker è la loro umanità e coraggio. “Al mondo c’è un’infinità di designer di talento, ma Design Indaba non è una di quelle conferenze in cui facciamo il podio dei migliori: è uno scambio di esperienze tra pari.” Racconta a Domus il fondatore di Indaba. Ravi Naidoo. “Qui le persone ci raccontano il dietro le quinte e come siano riuscite a raggiungere il proprio traguardo. Non ci consideriamo organizzatori di un evento, ma attivisti per un mondo migliore”. Ecco quattro lezioni dall’attivismo di quest’anno.
Don’t fucking wait!
“Se avete delle idee, non siate iperprotettivi, non rimuginate troppo. Non siate insicuri sulle vostre idee, non preoccupatevi: se non sono buone, pazienza, passeranno – va bene. Ma non lo saprete mai finché non le metterete sul tavolo e non avrete una conversazione con altre persone. E se c’è qualcosa di veramente bello ritorneranno da voi più grandi, come ci insegna Lucas De Man”. A dircelo è il pupillo di Kanye West e Virgil Abloh, il giovane architetto americano Dong-Ping Wong, fondatore di Food New York e autore di progetti avanguardisti come la piscina +Pool nell’Hudson River a New York, che purifica l’acqua del fiume e offre un’area balenare per i newyorkesi.
Wong cita il discorso del belga Lucas De Man, il presentatore comico e dissacrante della conferenza e instancabile promotore di iniziative ludiche in varie cittadine del Belgio. De Man parla chiaro: nessuno ha una risposta, nessuno sa perché siamo al mondo, quindi non bisogna temere il giudizio degli altri. “Quando vado a cena dai miei la domanda più frequente è: ‘cos’è che fai esattamente?’ Le vostre idee sono come una piccola palla da lanciare agli altri, i quali ve la restituiranno sempre più grande”. Altra ospite d’eccezione, Ane Crabtree da costumista precaria a Los Angeles è arrivata a vincere il Costume Designers Guild Award per i costumi della serie tv distopico-femminista The Handmaid’s Tale. “Bisogna scoprire chi si è, accettarsi e proteggere la propria personalità, il proprio mondo: non estinguetevi per seguire quello che dicono gli altri.”
Foto Lars Norgaard
Foto Lars Norgaard
Fight for your freedom
Tra gli ospiti più attesi, il fashion designer nigeriano Adebayo Oke-Lawal e il duo cyborg Niel Harbisson & Moon Ribas hanno parlato di libertà di espressione, in contesti molto diversi tra loro. Il primo ha testimoniato la difficoltà di trovarsi, come stilista, in un paese come la Nigeria, ancora fortemente ancorata a una mascolinità stereotipata, o “tossica” come la definisce. Lawal è un autodidatta che dopo il lavoro si intrufolava nelle sartorie, imparando il mestiere di notte.
Nella sua prima collezione ha presentato un uomo con un completo di raso rosso: uno scandalo nazionale, che per poco non ha interrotto la sua carriera sul nascere. Ora è uno dei giovani stilisti africani di riferimento, che con il suo brand Orange Culture usa la moda per avviare nuove conversazioni sulla società “che dovrebbe farsi un po’ di più i fatti suoi”. “E poi basta con questi pattern ‘tradizionali’ africani che di africano hanno ben poco!”. A Design Indaba ha lanciato la sua nuova collezione uomo con una sfilata preparata a regola d’arte.
Niel & Moon sono due giovani artisti la cui ricerca si fonda sull’ampliamento dei propri sensi per entrare meglio in contatto con la natura e il mondo che ci circonda. Sono dei cyborg a tutti gli effetti, dotati di strumenti tecnologici in grado di percepire sinestesie impensabili, come il suono dei colori nel caso di Niel, che sente anche le note degli infrarossi e degli ultravioletti e sostiene che – stando al suono emesso dal colore delle nostre facce – non esistano bianchi o neri, ma solo variazioni di arancio. Moon, invece, percepisce in tempo reale tutti i terremoti che avvengono nel mondo, attraverso un sensore che le vibra nel piede: circa 200 volte al giorno, lei lo ha definito il suo “earthbeat”. Insieme lavorano da oltre 15 anni alla Cyborg Foundation per definire con i governi, i legislatori e la comunità scientifica internazionale quali debbano essere i diritti (e i doveri) dei cyborg.
Mindful design
“Ho nascosto un sacchetto di liuta sotto le vostre sedie. Ora vi chiedo chiudere gli occhi e toccare ciò che si trova dentro [un sasso, ndr]. Avete tra le mani un pezzetto di Terra di milioni di anni, pensateci.” L’illustratore brasiliano Kiko Farkas ha dato una lezione sulla “presenza”. Sul trovare il senso delle cose in sé stessi e in ciò che ci circonda, che sia un fiore o una fiamma. Farkas è l’autore di grafiche memorabili come le locandine dell’Orchestra Sinfonica di San Paolo. Insieme a lui diversi designer si sono soffermati sulla necessità di meditare, da Freyja Sewell che osserva come le continue rivoluzioni tecnologiche abbiano spesso portato con sé più stress che benessere alle persone. Il suo Mind Mirror è un dispositivo medico che permette di capire cosa succede al cervello durante la meditazione. Shaina Garfield, il cui lavoro sta a metà tra ambientalismo, disabilità e diritti alimentari, immagina nuovi modi di affrontare la morte – e la sepoltura – attraverso un rituale che usa la tessitura e i funghi per depurare i nostri resti, ormai troppo tossici per venire assorbiti facilmente dalla terra.
Foto Damian Griffiths
Foto Mireia Bosch Roca
Foto Mireia Bosch Roca
Foto Jens Weber
Foto Hisao Suzuki
Foto Richard Davies
Good architecture makes life better
John Pawson, Mariam Kamara, Annabelle Selldorf e Hannah Barry. Quattro nomi che usano l’architettura in senso più tradizionale per migliorare significativamente il benessere psicofisico degli individui e delle comunità. Il re del minimalismo Pawson progetta luoghi “dove la mente e gli occhi possano riposare”. Spazi calmi e semplici, come quelli dello studio americano Selldorf Architects, che progetta edifici sulla base alle esperienze profonde di chi li dovrà abitare. Mariam Kamara – famosa per le sue architetture di terra – sfrutta al meglio le poche risorse disponibili in Niger per realizzare progetti impeccabili che migliorano la vita nelle comunità africane. Hannah Barry, fondatrice di Bold Tendencies, ha dedicato gli ultimi anni a trasformare un grande parcheggio abbandonato di Londra (il Peckham Multi-Storey Car Park) in un polo culturale per l’arte contemporanea, la musica e la danza. A chi non credeva al suo progetto ora mostra il video della stagione concertistica della BBC, tenuto nel parcheggio gremito di spettatori.
Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso – Nelson Mandela