Jeannette Kuo (Indonesia, 1978) e Ünal Karamuk (Zurigo, 1978) aprono il loro studio a Zurigo nel 2010 e in questo breve arco temporale, grazie anche al sistema svizzero dei concorsi di progettazione, consolidano l’attività misurandosi con la progettazione di edifici per lo sport, scuole, teatri, abitazioni unifamiliari e collettive ed edifici polifunzionali. All’attività progettuale si affianca inoltre l’attività didattica e pubblicistica di Jeannette Kuo che, inserendosi all’interno di un dibattito che ha lontane radici teoriche, ruota attorno alla riflessione sull’attuale natura dei luoghi di lavoro.
Karamuk Kuo Architects fa parte di una nuova generazione di studi di architettura i cui membri, formatisi in ambienti accademici dinamici e aperti, nutrono grande fiducia nel ruolo dell’architettura di plasmare un habitat migliore. Ciò si traduce in edifici in cui motivi di natura malinconica cari ad altre generazioni di architetti – quali il frammento o la rovina –, l’utilizzo di materiali allo stato grezzo o il ricorso a soluzioni eccentriche lasciano il posto a costruzioni in sintonia con i paesaggi in cui sono inseriti e a spazi caratterizzati da materiali naturali e finiture levigate pensati per favorire le relazioni umane. A ciò si aggiunge la capacità di Karamuk Kuo Architects di trasformare, caso per caso, i programmi e i limiti progettuali in sfide, proponendo soluzioni inedite.
Inedite eppure sempre pertinenti e appropriate sono la modalità distributiva della scuola materna ad Aadorf (2013), il complesso scolastico a Rapperswil-Jona, Cantone di San Gallo (2017) e l’International Academy of Sports Science and Technology a Losanna (2018) o la conformazione dell’edificio per appartamenti a Cham (2019). Tutte soluzioni, queste, che permettono di inscrivere le architetture di Karamuk Kuo Architects in un filone di pensiero culturalmente sofisticato in cui l’ordinario diventa straordinario.
Non è un caso, del resto, che alla Chicago Architecture Biennale del 2017 lo studio abbia messo a punto Infinitely Intimate, un’installazione che trova le proprie ragioni nell’attuale clima politico americano e si ispira all’American Bar realizzato da Adolf Loos a Vienna nel 1908: uno scrigno esternamente ermetico, muto, che racchiude un ambiente dallo spazio infinito: “Un mondo visibile solo a coloro che si prendono il tempo per guardare dentro e rallentare il loro sguardo”.