Practicable

Il libro curato da Samuel Bianchini e Erik Verhagen fa il punto sulla centralità delle pratiche relazionali nell’arte, le cui radici si trovano negli anni ’60, e sottolinea come le pratiche artistiche più attuali hanno tra le finalità principali la definizione di un rapporto nuovo e diretto con il pubblico.   

Practicable. From Participation to Interaction in Contemporary Art, a cura di Samuel Bianchini ed Erik Verhagen, MIT Press, 2016
Practicable. From Participation to Interaction in Contemporary Art, a cura di Samuel Bianchini ed Erik Verhagen, MIT Press, 2016, pp 930

 

Il merito più evidente della recente pubblicazione Practicable: from partecipation to interaction in contemporary art è quello di tracciare un documentato profilo storico dell’emersione di queste tematiche nell’universo artistico e di arricchirlo con gli sguardi di personalità differenti che fotografano la vitalità della ricerca in un campo allargato e non definibile univocamente.

La storica dell’arte Claire Bishop, già autrice di importanti saggi come Partecipation e Artificial Hells, l’artista Thomas Hirschhorn e il direttore del ZKM di Karlsruhe, Peter Weibel sono solo alcuni degli autorevoli portatori di punti di vista racchiusi nel volume curato da Samuel Bianchini, artista e ricercatore dell’Università di Parigi e da Erik Verhagen, critico d’arte e curatore indipendente. Comune denominatore di tutte le riflessioni racchiuse nella pubblicazione è per gli autori, il concetto filosofico di “essere per gli altri” definito da Jean Paul Sartre in Essere e Nulla.

Practicable. From Participation to Interaction in Contemporary Art, a cura di Samuel Bianchini ed Erik Verhagen, MIT Press, 2016
Practicable. From Participation to Interaction in Contemporary Art, a cura di Samuel Bianchini ed Erik Verhagen, MIT Press, 2016
È nella stretta dialettica tra soggetto/artista e oggetto/opera che il filosofo francese individua il carattere relazionale della partecipazione del pubblico nella definizione del senso dell’opera. L’“essere per gli altri” si definisce, si risolve, nella manifestazione di una serie di strumenti di un progetto esistenziale, artistico. L’opera non ha una funzione propria, specifica, assume su di sé molteplici compiti proprio in relazione con un pubblico.

Questa continua negoziazione del senso dell’arte è ben descritta anche da Umberto Eco, nel seminale Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee del 1962 in cui gli autori di Practicable rivelano, da una parte, una conferma e uno sviluppo del principio sartriano, dall’altra l’apertura di un nuovo fronte, quello cibernetico/tecnologico che influenzerà le successive riflessioni sull’arte partecipata e interattiva.

È in Italia e in particolare nella mostra del 1962 Arte programmata allestita presso il negozio Olivetti di Milano a cura di Bruno Munari e Giorgio Soavi che queste riflessioni trovano concreta espressione nelle opere del Gruppo T (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Gianni Colombo, Grazia Varisco, Gruppo N (Alberto Biasi, Manfredo Massironi, Edoardo Landi, Ennio Chiggio, Toni Costa), di Bruno Munari e Enzo Mari. Si tratta di lavori artistici capaci di modificare costantemente la loro forma a seconda delle sollecitazioni esterne o delle differenti condizioni ambientali.

 

Percorsi fluidi orizzontali di Giovanni Anceschi, Strutturazione fluida di Gianni Colombo fanno affermare ad Eco, nel catalogo che accompagna la mostra, che “queste opere non solo attivano un movimento e una modificazione delle forme ma invitano gli spettatori a intervenire, ad abbandonare l’ombra rassicurante delle loro abitudini per essere coinvolti direttamente”. L’arte si apre dunque ad azioni che nascono come processi non predeterminati che trovano una loro continua ridefinizione nella relazione attiva con lo spettatore. Ecco che entra in gioco la dimensione “pratica/praticabile” di lavori artistici che producono effetti, eventi, relazioni, approcci che hanno bisogno per esistere della presenza dell’altro. L’artista dà vita a un’azione che rompe un isolamento autoreferenziale per aprirsi all’imprevisto del coinvolgimento collettivo.

Nelle pagine di Practicable si documentano con un approfondito apparato iconografico le molteplici declinazioni estetiche che queste pratiche artistiche assumono. Dai cartelloni brechtiani del Critical Art Ensemble alle sculture sociali di Beuys alle sperimentazioni sul web di Superflex e Xchange ci viene restituita una pluralità linguistica che trova nelle quotidiane dinamiche urbane e sociali il naturale ambito di sviluppo e diffusione. Fuori dai musei, dalle gallerie, gli artisti invadono lo spazio pubblico per intercettare, provare a formare nuovi sguardi sul reale con la partecipazione di un pubblico che non frequenta abitualmente le realtà istituzionali del sistema dell’arte.

Le pionieristiche azioni del collettivo Fluxus e dell’artista californiano Tom Marioni che nel 1970 mette in scena nelle strade e nei bar di Los Angeles The act of drinking beer with friends is the highest form of art segnano ulteriormente questa spinta a proporre processi artistici che non cercano una mediazione con il mercato e spesso puntano a una radicale critica al sistema capitalistico.

Vanno in questa direzione l’Open public library del duo Clegg&Guttmann, installata ad Amburgo nel 1991 come processo di scambio e arricchimento per la comunità, un esempio di autogestione della conoscenza da parte degli abitanti coinvolti nella determinazione di un bene comune. Oppure Superchannel del collettivo danese Superflex che nel 1999 vuole estendere le potenzialità espresse dalle radio pirata a Internet richiamando il pubblico alla definizione dei contenuti. Un esperimento, questo, che incoraggia gli spettatori a scambiarsi opinioni e informazioni via chat durante lo svolgimento della programmazione per definire in tempo reale possibili modifiche al palinsesto rendendolo così una piattaforma condivisa e aperta.

Allo stesso modo ma con modalità minimali, Felix Gonzalez Torres nel 1991 realizza una delle sue installazioni più note e amate dal pubblico Untitled (Lover Boys). Un tappeto di caramelle colorate invita gli spettatori a farsi “consumatori” dell’opera aiutando l’artista ad attivare una spiazzante economia del dono che come ci ha insegnato Marcell Mauss è un fatto sociale totale: un aspetto della cultura che è in relazione con tutti gli altri.

Anche il corpo e la musica sono media utilizzati dagli artisti per costruire un recinto relazionale nel quale riflettere sulla condizione di genere come nel caso delle performances di Orlan, di Mona Hatoum o attraverso i concerti di Nico Vascellari con la sua band Lago Morto che attiva una deriva situazionista attraverso un’intensa pratica fisica al ritmo accelerato dell’hardcore.

Non è esclusa da questa dimensione condivisa dell’arte la sfera della convivialità che segna la pratica di artisti come Rirkrit Tiravanija o Douglas Gordon. L’artista thailandese offre all’esterno del Guggenheim di New York un caffè caldo al pubblico mentre lo scozzese coinvolge gli spettatori nelle attività del suo free cinema/espresso bar. Gli autori del volume includono per una completezza di sguardo su questi temi anche il lavoro e le riflessioni del collettivo parigino HeHe che lavora al confine tra arte e design definendo una pratica originale che si esplicita nella definizione di questioni legate allo spazio pubblico. Attraverso l’indagine di tematiche come la qualità del cibo, dell’aria nelle città il lavoro di Helen Evans e Heiko Hansen avvicina il mondo del design verso una dimensione più immateriale che guarda a un profondo rinnovamento dell’ambiente urbano.

Si delinea quindi uno scenario in cui l’arte diventa un fattore sempre più determinante nella definizione dello spazio sociale, pubblico, producendo nella nostra quotidianità una serie di inciampi di riflessione e relazione. È proprio questa la dimensione che sembra emergere come un filo rosso che accompagna le novecento pagine del volume Practicable e ben esplicitata nelle interviste di chiusura a personalità come Bruno Latour, Seiko Mikami, Ernesto Neto e altri. Proprio Latour chiamato a chiarire gli intenti della mostra Making things public: atmospheres of democracy curata con Peter Weibel allo Zkm di Karlsruhe (2005) afferma che il problema centrale dell’arte è il pubblico e il suo sguardo sulle cose.

Occorre che il mondo dell’arte trovi una sua profonda ragione di esistere nella dimensione del politico creando occasioni di confronto e di sviluppo di alternative a un sistema che appare sempre più sganciato dalle reali dinamiche culturali, sociali ed economiche del mondo. Anche Claire Bishop si accorda su questa dimensione dell’arte relazionale affermando che la partecipazione ha la necessità di sganciarsi da una superficialità formale per aprirsi ai tempi di modificazione del quotidiano conquistando sempre più spazi di reale condivisione. Una pluralità di direzioni e letture possibili che ci aiutano a conoscere meglio le dinamiche di molte produzioni artistiche più recenti.

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