Da una parte c’è la resistenza, che non segue mode effimere, non è cool, non è alla moda, né spettacolarizzata. Dall’altra si trova l’architettura, troppo spesso colorata con sfumature dorate e plastiche, finte e vuote, forse da copertina. Nel mezzo – ed è tutt’altra storia – ci sono le architetture resistenti.Architetture resistenti, per una bellezza civile e democratica è il titolo del fumetto pubblicato da Becco Giallo, scritto e ideato da TAM Associati e dal suo fondatore e architetto Raul Pantaleo, disegnato da Marta Gerardi, fumettista e illustratrice, e curato dallo storico di architettura Luca Molinari.
Una storia poco nota, ma familiare, che, attraverso la nona arte, racconta il concetto di resistenza in architettura.
La giovane giornalista Beni Ponti, da sempre impegnata in articoli di denuncia sociale e, quindi, considerata fastidiosa, viene allontanata dalla redazione per cui lavora. Le viene affidato un nuovo incarico, quasi, impossibile: intervistare l’architettura, nell’accezione più nobile del termine, ovvero quella legata alla polis, la città e la sua assemblea. Lo scopo ultimo è la salvaguardia dell’ambiente, un dialogo intelligente con la storia e con la natura, una battaglia contro la speculazione edilizia, contro l’edilizia disordinata e scadente.
Beni, simile a un avatar eco-friendly, decide di scrivere una rubrica sulle architetture resistenti disseminate nel Belpaese, riscoprendo grazie all’aiuto e ai consigli di un professore e del fidanzato designer, schizzi, piani, discorsi pubblici, studi e tecniche, metodologie e prospettive, amore e passione per una materia bellissima e difficile, che fa parte del patrimonio di tutti e che trasforma anche i lettori in militanti, coraggiosi e visionari abitanti.
Il tema non è semplice, ma per la prima volta viene trattato con il mezzo e – per dirla con McLuhan – anche con il messaggio, del fumetto non senza toni ironici. La bibliografia finale dimostra la complessità della questione, annoverando nell’elenco tante fonti e spunti di riflessione, fra cui Azione popolare, cittadini per il bene comune di Salvatore Settis o la Responsabilità dell’architetto di Renzo Piano.
Per capire meglio: le “architetture resistenti” sono quelle che hanno saputo esercitare il loro diritto a contribuire alla nostra vita sociale, all’affermazione di valori e storie condivise. Sono quelle che hanno avuto la capacità di costruire un pensiero e spazi contemporanei senza rinunciare all’ascolto amoroso dei luoghi. Le “architetture resistenti” sono state pensate da tutti, oltre l’edonismo del gesto o il solipsismo autoriale, non solo come opere che lasciano indifferenti.
“Sono beni comuni, come l’acqua e la terra, aiutano a vivere meglio il quotidiano, oggetti che racchiudono un’utopia, oggetti sognatori capaci di parlare di futuro. Sono architetture che hanno voglia di resistere al fascismo, alla speculazione, all’economia selvaggia, all’ingiustizia, alla devastazione dell'ambiente, all'incultura, alla barbarie”.
Così, fra le pagine di un fumetto, denso ma allo stesso tempo di rapida lettura, squadernati quei progetti che hanno fatto non tanto la storia, quanto piuttosto, la coscienza di un paese. Architetture resistenti è una storia rivolta a tutti coloro che si sono dimenticati quanto orgoglio può portare l’essere italiani, e quanta responsabilità c’è nel mestiere dell’architetto.
Si parte da uno dei più noti paesaggisti italiani del Novecento, Pietro Porcinai (Firenze 1910-1986), consulente per la sistemazione esterna del Centre Pompidou a Parigi e per il Parco di Pinocchio a Collodi, che ha progettato il Parco Archeologico di Selinunte. Opera, quest’ultima, che va oltre il segno architettonico e paesaggistico, con una dimensione politica inestimabile che si pone contro la speculazione e l’abusivismo, contro il degrado e l’incultura.
Il progetto architettonico della Risiera di San Sabba a Trieste di Romano Boico rende omaggio a uno dei fumetti che meglio hanno saputo raccontare l’olocausto, Maus di Art Spiegelman. Unico lager nazista con forno crematorio in territorio italiano, monumento inaugurato nel 1975, la Risiera si mostra come sintesi perfetta fra modernità e memoria, fra architettura e senso, e viene descritta come un’opera che parla in un assordante silenzio, capace di suscitare pietà per tutti, vittime e carnefici.
Altra opera, a forte contenuto civile in quanto esemplare di resistenza democratica e culturale del nostro paese, è lo stabilimento Olivetti di Luigi Cosenza a Pozzuoli (1951-1954). Nel libro sono inseriti anche frammenti del discorso di Adriano Olivetti del 23 aprile 1955, attuali ancora oggi. “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Il tentativo sociale della fabbrica risponde a una semplice idea: creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo, giacché i tempi non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna”.
Attraverso questi esempi, si delinea così un’architettura attenta ai protagonisti che la abitano, capaci di rispettare la bellezza dei luoghi.
Non poteva mancare, l’Auditorium di Renzo Piano a L’Aquila: descritto nei suoi materiali, listelli di legno della Val di Fiemme usati per i violini Stradivari e, nel suo contesto, dopo il terremoto e come ripristino di stabilità. Inseriti anche gli schizzi, dove l’edificio viene riportato come cassa di risonanza di uno strumento musicale, proprio perché nel capoluogo abruzzese la musica è parte integrante dell’identità cittadina.
Fra queste tappe italiane, Architetture Resistenti tratteggia le esperienze laterali e periferiche, dove vengono ridefiniti gli spazi pubblici e gli scopi, come per esempio ridurre l’impatto alienante delle metropoli o immaginare una forma diversa di progetto della realtà. Un fumetto di circa 130 pagine, stampate rigorosamente su carta riciclata, mette in discussione la figura dell’architetto e dei suoi saperi, delinea i contorni del ruolo sociale del mestiere, il valore etico e le responsabilità che esercita nella realtà attuale, mettendo in luce il significato politico del fare architettura oggi.
Fra responsabilità e bellezza, una disciplina che accompagna generazioni e che riguarda la collettività. Emerge e si sente la necessità di ritrovare nelle proprie consuetudini progettuali etica e creatività, diritti e innovazione, bellezza e futuro, partecipazione e consapevolezza, da non intendersi come un fine, ma come un mezzo.
Il finale è meta-fumettistico: la giornalista Beni pubblica un libro sulle architetture resistenti che termina, o incomincia, con una frase di Peppino Impastato, il giovane giornalista siciliano ucciso dalla mafia nel 1978 a Cinisi.
“Se s’insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità (...) È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non s’insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Una considerazione necessaria per resistere, abitare e vivere.