Per una strana coincidenza, sul mio tavolo si trovano contemporaneamente il libro di Alessandro Rocca e l'ultimo numero di "Volume" dedicato all'architettura dello spazio, lo spazio delle esplorazioni extraterrestri. Non potrebbero esserci argomenti, a prima vista, più differenti. Da un lato l'idea pauperistica (ma sciccosa) di ottenere il più con il meno che la crisi mondiale lascia alle nostre fantasie progettuali, dall'altro il confronto con requisiti prestazionali strettissimi, tecnologie di punta e investimenti miliardari: la chiave bassa (in termini di costi, tecnologie, definizione...) contro le altezze siderali, in tutti i sensi.
Tuttavia, entrambi gli ambiti di ricerca, spinti verso estremi diametralmente opposti dalla contingenza dei tempi e dalla pulsione all'esplorazione, sfidano l'architettura a motivare la propria necessità e, con essa, il senso del proprio agire. Se, infatti, lo spazio (di manovra) per il progetto dello spazio (architettonico) diminuisce inevitabilmente nello spazio (orbitale), una radicale riduzione dei costi può risultare altrettanto minacciosa per un libero dispiegarsi della ricerca qualitativa: non si può negare che l'architettura più economica è quella che non si fa e che, se proprio si deve fare, un sicuro (e universalmente praticato) espediente per abbattere le spese è risparmiare sull'architetto... Ma è anche vero che le ristrettezze aguzzano l'ingegno e l'economia dei mezzi impiegati tende a tradursi in un ordine necessario e convincente, sia nelle logiche operative che negli esiti visuali.