Maddalena Disch, Skira, Ginevra-Milano 2008 (2 volumi, pp. 1.110, € 350,00)
Sfuggendo alla monotonia di un piatto elenco di dati, il catalogo ragionato dell'opera di Giulio Paolini (Genova, 1940), pubblicato da Skira con il Castello di Rivoli e la Fondazione Giulio e Anna Paolini, porta a termine una ricerca e un percorso di studio iniziati circa nove anni fa dal museo torinese. Ponderoso per dimensioni, per mole e per accuratezza di informazioni, Giulio Paolini. Catalogo Ragionato 1960-1999 è una mostra che non potremo mai vedere, guidata dalla voce dell'artista stesso. In un racconto che include opere disperse, distrutte, smembrate o rielaborate dall'artista in nuove versioni e allestimenti, i due tomi del catalogo sono punteggiati dei commenti di Paolini – il più delle volte inediti – che ci invita a percorrere strade non ancora segnate. La sequenza delle opere, una dopo l'altra, rende ancor più evidenti il flusso del pensiero dell'artista e i richiami continui tra i lavori, nelle forme e nelle scelte dei titoli. La raccolta si apre con Disegno geometrico (1960), la prima opera realizzata da Paolini, appena ventenne, che è il punto di inizio, ma anche la costante, della ricerca dell'artista torinese: fil rouge di tutta l'opera sembra come se lo spirito di questa piccola tela bianca ritorni in ogni pagina. Disegno geometrico è un quadro che contiene tutti i quadri possibili, catalogo virtuale esso stesso di qualsiasi immagine. Un rettangolo di tela bianca su cui Paolini ha disegnato la squadratura geometrica, due linee rosse diagonali che si incrociano al centro con i due assi ortogonali tracciati in nero e intersecati dai segni del compasso, Disegno geometrico è la struttura preliminare per qualsiasi altro disegno e per qualsiasi altra costruzione spaziale. Lo stesso disegno geometrico ritorna più e più volte tra le pagine del catalogo, come in La Doublure (1972-73), 28 tele che riproducono la finzione prospettica di per sé; in Quadrato Immagine Uguale o ancora in Un quadro (1970) – insieme di 14 tele fotografiche che recuperano l'immagine di quella prima opera, qui però di volta in volta firmata con il nome di un autore immaginario e con un nuovo titolo fittizio (ad es. Estelle Masselin / Orto botanico o Arabella Florio Stewart / Interno a Miraneau).
"Con Un quadro – dichiara Paolini – ho voluto attribuire alla mia prima opera una certa universalità, fare affluire cioè a quel momento non solo tutto il mio lavoro successivo, ma anche una sorta di valore inconfutabile della stessa immagine". Sebbene coinvolto fin dagli esordi nelle mostre del gruppo di artisti dell'Arte Povera – tra cui anche la prima alla Galleria La Bertesca di Genova nel 1967 – l'interesse di Giulio Paolini si è sempre rivolto principalmente al processo artistico, analizzando l'arte a partire dalla Storia dell'Arte. Con citazioni e riproduzioni di opere di grandi maestri del passato, da Lorenzo Lotto (Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967) a Giorgio De Chirico, o di temi cari alla classicità, l'opera di Paolini è un'analisi continua dei meccanismi della rappresentazione.
Pur fedele al rigore scientifico, il volume è anche una continua scoperta di brevi ma succose note di colore come l'acquisto di Una poesia(1966) – una delle prime opere di Paolini – da parte di Lucio Fontana, conosciuto in occasione della prima personale alla Galleria L'Ariete di Milano, o altri aneddoti giocosi. In Platea (1977), ad esempio, l'artista dattiloscrive su dodici fogli di carta da lettera la parola platea facendoli poi firmare ai 4 artisti partecipanti alla mostra al Teatro Godetti di Torino (Marco Bagnoli, Mario Merz, Remo Salvadori e se stesso) utilizzando però il nome degli altri partecipanti, così da confondere le loro calligrafie e così le loro l'identità.
Se, come scrive Paolini "un'esposizione è anche, a sua volta un'immagine […] è il nostro punto di vista, non l'oggetto (sempre uguale o destinato a diventarlo), e la traiettoria del nostro sguardo (sempre diversa e comunque irripetibile) che disegna, non si sa dove, lo spazio dell'esposizione", così questo catalogo non è soltanto una semplice presentazione di oggetti e di opere ma piuttosto una nuova e diversa immagine. Forse il catalogo si sarebbe anche potuto chiamare, rubando il titolo a un'opera di Paolini, Ipotesi per una mostra.