Da Fiorucci ai Guerrilla stores. Moda, architettura, marketing e comunicazione
Claudio Marenco Mores, Marsilio, Venezia 2006 (pp. 176, € 16,00)
Jean Baudrillard ne La sociétè de consommation, analizzando il consumo come un processo di comunicazione che trasforma gli oggetti in simboli, afferma: "La società medievale era bilanciata tra Dio e il Diavolo, la nostra è in equilibrio tra il consumo e la sua denuncia". Il bel libro di Claudio Marenco Mores si apre con la considerazione che lo shopping è diventato l'attività che maggiormente definisce la vita pubblica. Questa tendenza dell'economia del mercato globale ha fatto sì che, già da alcuni decenni, lo star system della moda si sia reso conto di quanto sia importante esprimere la propria visione estetica in più di una direzione per mettere a fuoco un'immagine unitaria e riconoscibile. Il testo riguarda il rapporto tra moda e architettura e i modi attraverso cui la seconda ha assunto per la prima un ruolo sempre più importante nella localizzazione di un marchio o di un prodotto nell'immaginario collettivo del consumatore medio. Architetti del calibro di Norman Foster, Rem Koolhaas, Renzo Piano, Frank Gehry e Claudio Silvestrin disegnano i concept dei punti vendita rispettivamente di Esprit, Prada, Hermès, Issey Miyake e Giorgio Armani. In questi casi la dinamica progettista-committente ricorda l'idea della committenza rinascimentale per il fatto che il meccanismo di rappresentazione di un elemento effimero e intangibile viene reso fisico attraverso forme e ambienti tangibili. Un ampio capitolo è dedicato a Fiorucci che è stato tra i primi a comprendere la portata mediatica dell'ibridazione dei linguaggi e l'antesignano di tutti i negozi di cui si parla nel libro. Lo stilista con l'apertura del suo primo punto vendita a Milano nel maggio del 1967 istituzionalizza il concetto di lifestyle, nelle sue parole "contro l'autorità e la noia". Qualche anno dopo apre quello che oggi si definirebbe un negozio postmoderno, in cui sotto lo stesso tetto si trovano un negozio, un mercatino di vintage, un ristorante e un teatro. Nel 1984 invita Keith Haring a trasformare il negozio di Galleria Passarella in un'estemporanea opera d'arte ricoprendo pareti e mobili di graffiti. Senza dimenticare che qualche anno prima Andy Warhol aveva lanciato nello store di New York la nota rivista Interview.
I negozi/galleria di Fiorucci promuovono la cultura della combinazione, della creatività e del gioco, diventando in più occasioni spazi per le performance come l'azione Arredo Vestitivo di Alessandro Mendini e dello Studio Alchimia che ha luogo nelle vetrine del negozio di Milano nel 1982. Una parte molto interessante del libro riguarda Rei Kawakubo, la mente di Comme des Garçons che, in aggiunta ai negozi tradizionali, apre a partire dal 2004 i cosiddetti "guerrilla stores". Si tratta di punti vendita grezzi che sorgono lontani dalle vie dello shopping, restano aperti un anno e poi chiudono, comunque siano andate le vendite. L'unico modo per sapere dove sono è visitare il sito internet, www.guerrillastore.com, dove un'immagine sgranata in bianco e nero di un interno dimesso ha l'elenco dei negozi in tutto il mondo. Nei temporary stores lo shopping diventa un evento, se si ha la fortuna di capitarci, si può acquistare un pezzo di un'edizione limitata, prima che lo store scompaia o si trasformi in qualcos'altro. Lo si potrebbe definire una sorta di shopping dada.
Nonostante l'alto livello dei designer, il grande impiego di capitali e le sperimentazioni formali e materiche – spesso trasferite nei progetti 'seri' –, larga parte del mondo accademico non attribuisce alcun significato culturale agli edifici di architettura contemporanea, tacciandoli di superficialità. La presunta leggerezza del contenuto viene attribuita anche al contenitore e quindi il progetto per la moda viene definito alla moda, con una connotazione del tutto negativa. La questione è complessa ma l'idea classica dell'architettura come riparo non è più sufficiente, oggi l'edificio architettonico si carica di altre funzioni. In un mondo in cui la conoscenza viaggia in modo veloce e reticolare, l'architetto deve essere regista di competenze molteplici per aggiungere valore al progetto e venire incontro ai gusti mutevoli dei fruitori.
