Rem Koolhaas/OMA, Roberto Gargiani, Laterza, Roma-Bari 2006 (pp. 232, € 22,00)
Nonostante Rem Koolhaas sia uno degli architetti più noti e citati, il suo pensiero e l’opera dell’Office for Metropolitan Architecture – lo studio che guida dal 1975 – sono ancora oggi territori poco esplorati dalla storiografia e dalla critica architettonica italiana. In Italia il progettista degli ‘epicentri’ di Prada e del colossale grattacielo circolare della CCTV a Pechino è visto, per lo più, come l’esemplare più evoluto di archistar, una figura complessa e sofisticata, geniale ma apparentemente irriducibile a uno schema critico, che non sia il più banale ed evasivo di tutti: un astuto venditore di se stesso. Koolhaas, dal canto suo, non ha mai fatto nulla per allontanare questa fama. Per questo negli ultimi anni la stampa italiana si è limitata a reclamizzare il personaggio e insieme sospettare della sua teoria, senza però guardare oltre l’insistenza con cui Koolhaas stesso ha, per primo, contribuito al consumo e al ricambio incessante dei suoi slogan. Quindici anni dopo l’unica monografia in lingua italiana che abbia affrontato in modo sistematico il pensiero di Koolhaas e il lavoro dell’OMA (Jacques Lucan, OMA. Rem Koolhaas, Electa, 1991), il volume di Roberto Gargiani si pone per la prima volta l’obiettivo specifico di storicizzare l’opera dell’architetto olandese e tracciarne un bilancio critico, secondo la linea proposta dalla collana dell’editore Laterza in cui il libro è pubblicato. Priva di un vero e proprio regesto delle opere, la monografia di Gargiani è piuttosto un percorso lungo l’intera vicenda architettonica koolhaasiana, tanto più eccezionale quanto più rivela un’analisi minuziosa e puntuale di ogni suo passaggio attraverso un ricco quadro bibliografico e un apparato iconografico asciutto ma sofisticato (secondo il noto stile dell’editore), che sacrifica l’immagine suadente ufficiale per quella ‘critica’ d’archivio. Il risultato è un Koolhaas inedito, svestito dei panni di guru della contemporaneità e descritto come un paziente ideatore della propria architettura: un Koolhaas che affina i propri strumenti soprattutto nell’esercizio della pratica progettuale, dove gli slogan e i neologismi – che pure abbondano – hanno il solo scopo di rafforzarne le strategie. “Sperimentazioni del metodo paranoico-critico”, “New Sobriety contro Post Modern e Contextualism”, “L’epoca della ‘merveilles’”, “Principi per una teoria dell’architettura” e “Generic Volume, solidi poliedrici informi e diagrammi funzionali”, sono i cinque capitoli tematici – ma di fatto in progressione cronologica – che dipanano l’intricata matassa dei dispositivi progettuali attuati dall’OMA nei suoi trent’anni di attività. Dalla fondazione del “Dr. Caligari Cabinet of Metropolitan Architecture” – primo embrione dell’OMA – e dai progetti inclusi in Delirious New York, sino ai recenti edifici di Chicago, Berlino, Porto e Seattle, il libro è una lunga biografia tutta al presente storico, nella quale, con ritmo serrato, si avvicendano le microstorie, i particolari e i riferimenti della composita strategia di Koolhaas e del suo studio. Nel tessere la fitta rete di reciproche relazioni tra i diversi progetti, l’autore pone i suoi indizi tutti sullo stesso piano, sospendendo la formulazione di un giudizio complessivo sull’intera vicenda o su parte di essa: una vicenda, al dunque, che Gargiani sembra aver seguito quasi come uno storico ‘embedded’, che registra minuziosamente dall’interno ogni dettaglio della macchina da guerra dell’OMA, ma si concede poche riflessioni sul contesto in cui la sua azione ha luogo, e soprattutto non azzarda alcuna valutazione sull’efficacia dei suoi dispositivi. Tuttavia, proprio perché si offre come una potente radiografia diacronica del laboratorio OMA, il libro ci consegna un’immagine coerente dell’attività dello studio nella quale, piuttosto che le differenze, vengono esaltate le interdipendenze tra le strategie progettuali, le posizioni teoriche, le metodologie costruttive e persino le tecniche di rappresentazione. Così facendo, Gargiani ci presenta un quadro unitario che attacca implicitamente proprio il cuore del dispositivo tattico di Koolhaas, la discontinuità. Aiutato dalla struttura narrativa del libro, l’autore disattiva, infatti, l’”effetto-novità”, la tecnica tramite la quale da sempre Koolhaas immunizza la sua architettura dalle mode culturali, svincola le scelte stilistiche e formali dal ‘contenuto’ dell’azione progettuale – come recita l’ultima grande retrospettiva del lavoro dell’OMA – ma, soprattutto, ribadisce la sua piena adesione alla logica stessa della modernizzazione: rinnovarsi. Proprio per questo, lungi dall’essere un limite del libro, il quadro che Gargiani ci offre è il punto di partenza più efficace per avvicinare oggi il lavoro di Koolhaas e ricomporre insieme i tanti passaggi di una storia spesso più complessa di quello che appare dalle pur ricchissime monografie ‘interne’ dell’OMA (basti pensare, ad esempio, ai numerosi progetti realizzati da OMA negli anni Ottanta e, di fatto, rimossi da S,M,L,XL). Al tempo stesso questo quadro è la premessa indispensabile per avviare, non solo in Italia, un reale discorso critico sull’architettura e soprattutto sulla teoria koolhaasiana, in modo da liberarne la vera strategia dai meccanismi ormai consumati della propaganda, e riportarla, per una volta, al di qua del bene e del male.
Gabriele Mastrigli Teoria della progettazione architettonica all’Università di Ascoli Piceno