La carriera di Álvaro Siza (Matosinhos, 1933) s’inquadra, almeno nella sua fase iniziale, all’interno di due importanti transizioni. Da un lato le trasformazioni politiche del Portogallo, sua nazione d’origine, la cui dittatura allenta progressivamente le proprie posizioni autarchiche (anche sul piano culturale) fino a dissolversi completamente nel 1974. Dall’altro, in ambito architettonico e alla scala mondiale, il superamento del Movimento Moderno, variamente inteso dai suoi numerosi promotori come un rifiuto, una revisione, o un’attualizzazione.
Nato nei sobborghi di Porto, Álvaro Siza studia alla locale Scuola di Belle Arti, poi diventata la FAUP – Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto, dove si laurea nel 1955. Fino al 1958 lavora presso lo studio di Fernado Tavora (1923-2005), che è impegnato all’epoca nella riflessione su di “un’architettura che sia al tempo stesso portoghese e moderna” (Biraghi). L’opera di Álvaro Siza prosegue il filone di ricerca inaugurato dal suo maestro, concentrandosi in particolare sul significato della modernità, sulle sue declinazioni, e sulla sua pertinenza (culturale e formale) nel contesto del postmodernismo globale. Fernando Tavora, Álvaro Siza e il più giovane Eduardo Souto de Moura (1952) sono i tre protagonisti della così detta “Scuola di Porto”, legati da reciproco affetto e stima, da collaborazioni professionali, e soprattutto da una comunanza di temi ed approcci progettuali.
Nella sua storia dell’architettura, Kenneth Frampton presenta Álvaro Siza come un interprete di quello che definisce come un regionalismo critico. Citando anche il filosofo francese Paul Ricoeur, Frampton sottolinea come, in epoca contemporanea, “è necessario considerare la cultura regionale non come un dato immutabile, ma piuttosto come qualcosa che deve essere coltivato coscientemente”, criticamente. Il Ristorante Boa Nova (1958-1963) e la Piscina das Marés (1961-1966), le prime opere di Siza, allineate sul lungomare di Leça de Palmeira, sono due architetture raffinatissime dove il vernacolo portoghese, depurato dei suoi aspetti ornamentali, incontra il moderno architettonico, privato di ogni dogmatico purismo. Al felice combinarsi dei due poli contribuisce la centralità attribuita ad un terzo fattore: il paesaggio. Il legame reciproco e attivo tra architettura e natura, e più in generale la relazione tra l’oggetto costruito e le sue “circostanze” (il suo contesto, inteso à la Tavora) restano una preoccupazione costante che attraversa tutta la carriera di Álvaro Siza.
Al suo interno si possono riconoscere, tra gli anni ’70 e ’80, almeno due momenti di svolta. Subito dopo l’avvento della democrazia, è coinvolto nel SAAL – Serviço Ambulatorio de Apoio Local, un programma governativo di costruzione di alloggi sociali, che gli permette di confrontarsi con una nuova scala e una nuova funzione. Il complesso di Bouça a Porto (1975-1977) e il successivo quartiere Malagueira a Évora (1977-1997) sono sperimentazioni morfologiche, concentrate sul rapporto tra l’unità abitativa e la grande dimensione dell’infrastruttura urbana (sia essa la ferrovia o un acquedotto). Dal dialogo positivo tra le due scale può derivare, per Álvaro Siza, l’opportunità di una dimensione comunitaria, lontano dai tradizionali luoghi di aggregazione della città consolidata.
Gli anni ’80 e i decenni successivi segnano la definitiva consacrazione di Álvaro Siza sulla scena internazionale, anticipata già nel 1972 dai saggi dedicatigli da Vittorio Gregotti e Nuno Portas su Controspazio. L’edificio residenziale costruito a Kreuzberg, Berlino (1980-1984), che deriva da un’inaspettata quanto berlinese incisione di facciata il soprannome di Bonjour Tristesse, ma anche i più tardi edifici per abitazione a L’Aia (1988) ed a Maastricht (2002), testimoniano dell’esportabilità della proposta siziana e della sua capacità di reagire a contesti altri rispetto a quello portoghese.
Contemporaneamente, si moltiplicano anche i progetti di Álvaro Siza in patria: a Porto, costruisce l’Edificio della facoltà di architettura (1986-1996) e il Museo della Fondazione Serralves (1991-1999), ad Aveiro la Biblioteca dell’Università (1988-1999), a Lisbona il Padiglione del Portogallo per l’Expo ’98, di cui Souto de Moura realizza gli interni (1995-1998). I rimandi al moderno sono continui: Adolf Loos compare nelle asimmetrie dell’Edificio della facoltà di architettura, Alvar Aalto nelle curve organiche della Biblioteca dell’Università, il ricordo dell’epoca eroica dell’ingegneria del calcestruzzo nel velario del Padiglione del Portogallo. La loro rielaborazione è altrettanto profonda: sono tutti frammenti, che partecipano alla formulazione di un discorso architettonico originale. Quest’ultimo, pur dotato di un ordine proprio, si arricchisce di continue eccezioni, contraddizioni, complessità, determinate anche dalle condizioni al contorno di ogni progetto, e materializzate senza compiacimento e senza enfasi.
Pur nella ricorrenza di alcune soluzioni, Álvaro Siza non si cristallizza uno stile: una continuità culturale e metodologica, più che formale, costruisce un filo conduttore tra la moltiplicazione degli accidenti negli interni del Centro gallego di arte contemporanea a Santiago de Compostela (1988-1993), il solido monolite della Chiesa del complesso parrocchiale a Marco di Canavezes (1990-1996), il travagliato volume scultoreo della Fondazione Iberê Camargo a Porto Alegre (completata nel 2008) e ancora la Chiesa dell’Anastasis a Saint-Jacques-de-la-Lande (2018).
Álvaro Siza ha ricevuto quasi tutti principali premi di architettura della nostra epoca: il Pritzker Prize nel 1992, la Royal Gold Medal for Architecture del RIBA britannico nel 2009 e infine il Leone d’oro alla carriera alla 12a Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia nel 2012, tra gli altri. Ha anche realizzato un Serpentine Pavilion, nel 2005, con Souto de Moura e Cecil Balmond di Arup. La sua produzione, però, resta decisamente più contenuta, e qualitativamente più uniforme ed elevata, di quella di molti colleghi di uguale fama.
La sua architettura tettonica, fatta di masse che sono volumi nella luce, memori di Le Corbusier, trova forse la sua espressione più poetica nel progetto di un vuoto. Nell’ambito della riprogettazione del centro storico di Salemi, centro terremotato della Valle del Belice (1982-1998, con Roberto Collovà), Álvaro Siza si occupa anche del consolidamento della distrutta Chiesa Madre, che si trasforma in uno spazio pubblico metafisico quanto democratico.
Nelle parole di Kenneth Frampton:
L’ipersensibilità verso la trasformazione di una realtà fluida, eppure dotata di una propria specificità, rende l’opera di Álvaro Siza stratificata e radicata (…). Assumendo Aalto come suo punto di partenza, ha elevato a fondamenta dei propri edifici la topografia specifica di un luogo, e la grana minuta del suo tessuto urbano