In apertura: Aldo Rossi negli anni 80. Photo © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi.
Aldo Rossi
«Ho sempre visto l’architettura tra queste due grandi componenti o questi due confini: da una parte il suo modo di realizzarsi (nella rappresentazione e nella costruzione), che corrisponde grosso modo a quello che chiamiamo tecnica, e dall’altra il suo riferirsi alla città, come riferimento e fondamento dell’architettura. Per questo considero i disegni d’architettura in modo molto serio, anche e specialmente quando cercano di avvicinarsi o di spiegare meglio il significato di un’opera. […] Il fatto di trasformare, deformare, collocare il progetto in luoghi e situazioni diverse, appartiene piuttosto a una volontà sperimentale, una specie di verifica dell’opera da differenti esempi e immaginabili punti di vista, che a una astrazione» (Aldo Rossi)
Aldo Rossi nasce a Milano il 3 maggio 1931, ma la sua famiglia si trasferisce di lì a dieci anni a Como (per sfuggire all’imminente conflitto bellico), dove il giovane Rossi frequenta le scuole medie inferiori, per poi passare al collegio arcivescovile “Alessandro Volta” di Lecco. Nel 1949 s’iscrive alla facoltà di Architettura del Politenico di Milano, presso cui incontra Ernesto Nathan Rogers che lo avvia alla collaborazione con la rivista “Casabella” (1950-1964). Ottenuto il titolo universitario nel 1959, già dall’anno precedente Rossi ha iniziato il proprio apprendistato negli studi di Ignazio Gardella e Marco Zanuso e partecipa alla redazione della rivista “Società” e“Il Contemporaneo”. Al 1960 risale la sua prima partecipazione alla Triennale di Milano: durante la XII edizione, è membro della commissione di studi sulle periferie urbane (tema che sarà sempre particolarmente caro all’architetto milanese) e presenta un progetto per la ristrutturazione parziale dello Scalo Farini.
Insieme al collega Leonardo Ferrari debutta con la costruzione di una villa razionalista per la famiglia Ronchi e, a partire dal 1963, inaugura la lunga carriera accademica sia come assistente di Ludovico Quaroni, all’università di Arezzo, sia come ricercatore insieme a Carlo Aymonino presso lo IUAV – Istituto Universitario di Venezia.
Al 1966 risale invece la prima, importante pubblicazione di Rossi: “L’architettura della città”, divenuto in breve tempo uno dei libri più studiati e discussi a livello internazionale. Nominato titolare della cattedra di “Caratteri distributivi degli edifici” al Politecnico di Milano, vince il concorso per la sistemazione della piazza municipale di Segrate (1965-1967), per cui disegna il “Monumento alla resistenza”, e inizia a lavorare alla serie dei “Quaderni azzurri”: una raccolta di appunti, memorie di viaggio e pensieri privati, compilata con costanza fino agli anni Novanta e poi donata al Ghetty Research Institute di Los Angeles. A Segrate, scriverà l’architetto:
il progetto chiude la piazza con un muro che la divide dalla campagna. Nel muro sono aperte delle porte. I confini della piazza sono anche segnati da elementi cilindrici, come frammenti di altre costruzioni. L’elemento principale è costituito dal monumento ai partigiani; questo è formato dalla sovrapposizione di diversi elementi e pezzi d’architettura. […] Il monumento è concepito come una fontana da un lato e un podio dall’altro: il podio è rivolto verso la piazza che sale sul fondo con un’ampia gradinata. Il confine della gradinata è costituito dal verde: alberi e prato. La fontana è tutta in cemento armato. […] Il muro che chiudeva la piazza e gli elementi cilindrici non sono mai stati completati
Tra il 1968 e il 1973, Rossi lavora a una delle opere più importanti della sua carriera: l’unità residenziale “Mote Amiata” al quartiere Gallaratese, il cui masteplan è opera di Aymonino. Interviene disegnando un lungo edificio – sviluppato lungo un fronte di centottantadue metri e una profondità di dodici – che è adibito ad alloggi popolari e che nega il rapporto con il contesto periferico in cui s’inserisce, ritenuto privo di qualunque valore. Ponendosi come luogo d’aggregazione sociale, il blocco di Rossi affonda le proprie radici nella tradizione residenziale rurale - a cui rimandano elementi come il ballatoio e il portico del piano terra - ma il disegno dei singoli appartamenti è di matrice prettamente funzionalista.
Al periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo risalgono anche i progetti per la scuola elementare di Broni (1969-1971), per l’ampliamento del cimitero di San Cataldo a Modena (1971-1978) e per la realizzazione a stampa della “Città analoga”: la rappresentazione planimetrica di una metropoli utopica, costituita dalla giustapposizione di svariati elementi architettonici e archetipici, urbanistici e decorativi, che si ritrovano spesso nella produzione dell’epoca.
Attivamente coinvolto in collaborazioni con molte università internazionali (tra cui l’ETH di Zurigo, l’Istitute for Architecture and Urban Studies di New York, la Cooper Union, la Cornell University), Rossi partecipa anche alle Biennali di Venezia e firma, nel 1978, il “Teatrino Scientifico”: un piccolo padiglione galleggiante, in legno e lamiera, che ospita un palco a scena mobile e che viene concepito come una sorta di macchina per esperimenti architettonici.
Gli anni Settanta si chiudono per l’architetto con l’avvio del progetto per la Cappella Molteni al Cimitero di Giussano, costruita solo tra il 1980 e il 1987 e occasione di rincontro con l’amico Luca Meda. Divenuto art director delle aziende di mobili proprietà dei Molteni (Molteni&C e Unifor), Meda coinvolge Rossi in quelli che diventano i suoi primi progetti di design: in pochi anni firma – principalmente insieme allo stesso Meda – il divano “Capitolo” (1981), le sedie “Teatro” (1983) e “Milano” (1987), il secretaire “Carteggio” (1987) e alcuni progetti contract come il prototipo di seduta per il Teatro Carlo Felice di Genova (1988), il cui edificio Rossi sta progettando insieme a Ignazio Gardella e Fabio Reinhart, e gli arredi per il Bonnefantenmuseum di Maastricht (1990-1994). Accanto ai mobili brianzoli, Rossi inizia anche la collaborazione con Alberto Alessi, da cui scaturiscono opere quali la collezione di tazze “Tea & Coffee Piazza” (1983), realizzata in novantanove esemplari in argento lavorato a mano, e la caffettiera “La Conica”.
Grazie ad incarichi didattici ottenuti presso l’istituto MIT di Cambridge, Rossi dà alle stampe, nel 1986, il suo secondo volume, che s’intitola “A scientific autobiography”. E che, nonostante un rapido successo a scala mondiale, verrà stampato in italiano solo negli anni Novanta.
Del resto, la fama di Rossi all’estero sta raggiungendo il proprio apice: ha inaugurato uno studio a New York (in collaborazione con Morris Adjmi), avviato il progetto per l’albergo “Il Palazzo” a Fukoka (1987) e per le case unifamiliari a Mount Pocono (1988), dato il via a quello per il Centre International d’Art et du Paysage di Vassivière (1988). Tanto che nel 1990 è il primo architetto italiano a ricevere il prestigioso Pritzker Architecture Prize, conferitogli al veneziano Palazzo Grassi il 16 giugno di quell’anno.
Nell’ultimo periodo della sua straordinaria carriera, Rossi si dedica principalmente alla progettazione di complessi architettonici costruiti o disegnati da Beirut a Stoccolma, da Berlino a Miami, da Francoforte a Los Angels.
Vittima di un incidente stradale avvenuto il 4 settembre 1997, Rossi scompare prima di veder terminata la sua ultima grande opera: la ricostruzione del Teatro “La Fenice” di Venezia, distrutto da un incendio doloso nel 1996.
Attraverso le parole di Germano Celant:
Sin dal 1959, data della sua tesi di laurea, i disegni di Aldo Rossi dichiarano un’attenzione alla teatralità dell’immagine costruibile in architettura, un processo rappresentativo del progettare che si emancipa da ogni soggezione al tecnicismo e al funzionalismo
- 1931–1997
- architetto, designer