Ai Weiwei nasce a Pechino nel 1957, ma dal 1961 al 1976 la famiglia sarà esiliata in regioni di campagna in seguito alla denuncia nei confronti del padre, il rinomato poeta Ai Qi. Rientrato a Pechino, Ai Weiwei studierà animazione e parteciperà al gruppo di avanguardia artistica delle Stelle (1978-83), ma nel 1981 si trasferirà negli Stati Uniti, passando da Philadelphia e San Francisco per poi stabilirsi a New York. Dopo lo studio dell’inglese in diverse università e l’inizio di un percorso nella Art Students League of New York, Ai si stacca dagli studi e comincia sperimentazioni su readymade e fotografia legata ai luoghi della sua vita cittadina: ne nascerà la famosa serie denominata The New York Photographs (1983-93). Con il 1993, Ai torna a Pechino, e si apre un periodo dove spiccano la realizzazione partecipata del distretto artistico del Beijing East Village, e quella della sua casa-studio a Chaochangdi, dove nel 2003 aprirà poi lo studio FAKE Design.
Nei social media non ci sono confini: con i social media possiamo per la prima volte ridefinire l’essere umano come tale, nella sua identità; un modo per rendere il nostro tempo molto differente dal passato
Negli anni, la sua figura si è affermata come quella di un implacabile e poliedrico attivista politico, che ha espresso questa sua azione nelle forme più diverse, tra arti visive, installazioni, architettura, pubblicazioni, performance, film e comunicazione.
Da molto tempo investe molti sforzi nel valorizzare il potenziale di internet come “strumento per la democrazia” , come più volte lo ha definito. Cominciando dal blog tenuto tra 2005 e 2009, la sua attività di condivisione di denunce sociali (spesso rivolte contro il governo cinese) e riflessioni sul valore dell’espressione artistica è poi passata sui social network, prima Twitter e in seguito Instagram. Ai è solito usare tutti i mezzi a disposizione per raggiungere e sensibilizzare i più ampi pubblici. Nel 2007 col progetto Fairytale porta 1001 cittadini cinesi a Kassel per Documenta 12, dando alla loro presenza valore di denuncia e dichiarazione di esistenza; nel 2008 conduce una Citizens’ investigation sulle vittime dei crolli di scuole nel Sichuan a causa del terremoto e delle deliberate negligenze nella costruzione; nel 2010 indaga le pressioni politiche sul sistema giudiziario cinese nel documentario One Recluse.
Queste attività, e il suo posizionamento, gli hanno spesso causato problemi con la legge del paese d’origine, con cui mantiene sempre un controverso rapporto di legame e denuncia: nel 2011 il suo studio di Shanghai viene demolito dalle autorità locali, e nello stesso anno Ai viene arrestato su ufficiali accuse di evasione fiscale. I tre mesi dell’arresto scatenano una mobilitazione mondiale per il rilascio dell’artista, che avverrà, ma al quale seguirà l’obbligo a lui imposto di non lasciare la Cina, durato fino al 2015.
La costante necessità di comunicazione e denuncia ha preso forma in un vasto e assai diversificato panorama di realizzazioni di Ai Weiwei come artista visuale. Costante è la sua riflessione sul significato delle tradizioni del suo mondo d’origine, espresse nelle teste rituali del Circle of Animals (2011) così come nelle molte realizzazioni di tronchi, alberi e radici in materiali diversi dal legno; la tradizione è vista anche come patrimonio di tecniche antiche cariche di significato, come testimoniano installazioni fatte di oggetti tradizionali (ad esempio gli sgabelli di Bang per il padiglione tedesco della Biennale di Venezia 2013) o di oggetti realizzati in tecnica tradizionale con forte connotazione di metafora sociale, quali i 100 milioni di semi di girasole realizzati a mano in porcellana a testimoniare il potere di un popolo unito contro l’oppressione del Partito Comunista Cinese (Sunflower seeds Tate Modern, Londra, 2010) L’attualità politica si esprime attraverso il lavoro sull’ambiguità del readymade, come gli oggetti di Forever (2014) — objets trouvés appartenenti al confino cinese dell’artista riprodotti però in materiali diversi — come le telecamere di sorveglianza riprodotte in marmo (Surveillance cameras, 2010) o trasformate in oggetto d’oro kitsch e iperdecorativo nel wallpaper The Animal That Looks Like a Llama but Is Really an Alpaca (2015). Ma il tema dell’ambiguo è espresso anche in chiave di potenziale, come nella public art di Good fences make Good Neighbors (New York, 2017), dove la tradizionale recinzione è reinterpretata come luogo di uso, incontro, interazione per i cittadini.
Per me l’architettura ha un forte valore estetico, e include un giudizio morale. Ci possono essere questioni filosofiche a suo riguardo, e in questo senso è connessa all’arte. Non le divido mai per davvero, sono solo due diverse espressioni, (architettura) è arte, applicata. Questo permette di potersi costantemente chiedere: ‘è utile?’ il giudizio è dunque su quanto e quanto bene coinvolgi attraverso l’architettura, su chi la userà.
Ai Weiwei ha infatti sviluppato un attivo interesse verso l’architettura lungo i suoi anni cinesi, articolandolo in diversi progetti e collaborazioni dal forte valore di connessione sociale. Quasi tutti i suoi lavori in questo ambito hanno la forma della collaborazione, o dell’appello a diversi architetti a partecipare a opere collettive: nel 2002 è curatore del progetto Jinhua Architecture Park, dove riunisce 17 padiglioni di diversi architetti lungo il fiume della sua città paterna; nel 2008 invece coordina il masterplan nella città di Ordos (Mongolia) per la realizzazione di 100 nuove residenze. Molte le sue collaborazioni con importanti architetti, tra cui il premio Pritzker Wang Shu — che lo invita come lecturer alla China Academy of Arts — e soprattutto Herzog & De Meuron, con cui realizza lo Stadio Nazionale di Pechino (o Bird’s Nest, 2008) e il Serpentine Pavilion del 2012 per Hyde Park a Londra — caratterizzato dalla creazione di diversi piani di cielo e di suolo attraverso uno specchio d’acqua sotto cui si sviluppa uno spazio pubblico.
Dal 2015, ottenuto nuovamente un passaporto, Ai Weiwei lascia la Cina e si stabilisce prima a Berlino e poi — recentemente — a Cambridge.
A questi ultimi anni appartiene la sua intensa attività di sensibilizzazione sul tema delle migrazioni, i cui aspetti drammatici sono stati denunciati in diverse installazioni tra cui i gommoni appesi alle facciate di Palazzo Strozzi (per Libero, Firenze, 2016), e nel progetto cinematografico-documentaristico Human Flow (2017) — presentato anche in gara al Festival del Cinema di Venezia — concentrato sulla dimensione globale della crisi dei rifugiati.
Tutti potremmo essere dei rifugiati, e molti dei nostri genitori, nonni, lo sono stati. Quindi aiutarci l’un l’altro, capire che anche noi potremmo trovarci dall’altra parte, è un elemento fondamentale per comprendere a fondo la posizione di queste persone