IoT, smart home, smart cities: fino a qualche anno fa erano termini per pochi, mentre oggi sono entrati a far parte quasi dell’uso comune. Lo rivela uno studio condotto dagli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano. Il termine smart home, ad esempio, è noto al 59% delle persone con età compresa fra i 36 e i 45 anni. È un dato che riflette la tendenza di un mercato, quello degli IoT casalinghi, che in Italia vale circa 380 milioni ed è cresciuto del 52% nel corso dell’ultimo anno. Siamo ancora lontani dai numeri di Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, ma di quei paesi condividiamo la tendenza generale. La promessa della casa intelligente e di un futuro connesso, però, non può inverarsi solo in funzione della preparazione del mercato, ma servirà uno sforzo importante per semplificare i nuovi livelli di complessità che si aggiungeranno alla vita di tutti i giorni.
Semplificare la complessità
«La semplificazione della inevitabile complessità, frutto dell’avanzamento tecnologico, è un passaggio fondamentale di cui produttori e fornitori di servizi devono farsi carico», spiega a Domus Antonio Bosio, Head of Product and Solutions di Samsung Italia. «Attivare le funzioni smart della nostra casa deve essere facile come installare un’app sul nostro smartphone, un’operazione digitale che oggi diamo per scontata».
Quello che serve, oltre a prodotti facili da usare, è uno sforzo educativo, non tanto di puro marketing, per illustrare in maniera efficace ai potenziali utenti i vantaggi una lavatrice che parla con lo smartphone, o di un frigorifero che si accorge da solo quando è finito il latte.
Fluidità e apertura
Il punto di forza delle soluzioni contemporanee per la smart home, dice ancora Bosio, è che si adattano all’evoluzione della vita familiare, si possono riorganizzare in maniera rapida, ed è l’utente che può creare i propri servizi multipiattaforma, secondo le proprie esigenze - altrettanto dinamiche e mutevoli nel tempo.
«La domotica intesa in senso tradizionale non si è mai concretizzata perché serviva un team di ingegneri per progettare una soluzione», continua Bosio, «ma anche un team di ingegneri per mantenere in esercizio quella soluzione».
Per abilitare questa natura modulare delle soluzioni per la casa connessa, però, c’è un’altra prerogativa fondamentale, cioè l’apertura a soluzioni di altri produttori. Ogni oggetto smart deve poter dialogare con il resto dei dispositivi senza limitazioni imposte da una piattaforma verticale chiusa, controllata da un’unica azienda. «La casa smart evolve con le necessità di chi la vive. Dobbiamo garantire una plasticità della piattaforma, che deve poter accogliere nuovi prodotti, indipendentemente da chi li commercializza».
Oggi lo scenario è ancora troppo frammentato, ammette Bosio, perché non tutti i produttori hanno accettato di dover aprire i propri prodotti per farli dialogare con la concorrenza, ma hanno preferito chiudersi e favorire soluzioni proprietarie. Questo tipo di scelte, spiega ancora, sono destinate a non avere successo.
Ancora un paio d’anni
Come mostrato anche dai numeri degli Osservatori Digital Innovation, il panorama rimane promettente, in Italia e nel mondo. Secondo Bosio, nel giro dei prossimi due o tre anni, la smart home smetterà di essere solo un concetto e diventerà realtà di tutti i giorni per molte famiglie.
Fra non molto, aggiunge, chi avrà comprato di recente una lavatrice o un frigorifero sulla base delle normali caratteristiche che spingono all'acquisto, si accorgerà di avere portato a casa degli elettrodomestici smart. E non uno solo, ma un'intera squadra: per abilitare la smart home, a quel punto, servirà solo prendere contezza delle potenzialità dei dispositivi che già usiamo tutti i giorni.
«Nel corso dei prossimi mesi, non ci saranno più elettrodomestici Samsung in commercio che non siano smart di base», racconta. «Se iniziassimo oggi con questo processo, direi che per considerare la smart home una realtà di tutti i giorni ci vorrebbero altri dieci anni. Ma abbiamo iniziato già cinque o sei anni fa, pertanto credo che nei prossimi due anni vedremo i frutti di quanto abbiamo seminato».
5G e smart cities
La casa connessa del domani non sarà però un’isola. Si inserirà nel tessuto più ampio di una città a sua volta connessa. Come di smart home, anche di smart cities si parla ormai da anni. E anche in questo caso, l’eterna promessa tecnologica sembra vicina a concretizzarsi. Il fattore accelerante, in questo caso, sarà il 5G, cioè l’insieme delle tecnologie che abiliteranno le reti superveloci di prossima generazione.
«Con il 5G ogni lampione potrà ospitare una piccola scatoletta connessa alla rete. Così un elemento passivo della città diventerà attivo», spiega Bosio. «Ci saranno semafori in grado di avvisare i veicoli connessi di un pericolo imminente, nuove forme di comunicazione interattiva», oltre a un’ampia gamma di applicazioni che finora potevamo solo immaginare.
Colmare il digital divide
Il 5G avrà un ruolo importante anche nell’ambito dell’Internet delle Cose e della casa smart, però. Non tanto per i vantaggi legati alle caratteristiche tecniche del 5G (cioè il basso tempo di risposta e la velocità delle connessioni) quanto per portare la connettività di base laddove ad oggi non è possibile. «Anche soltanto in centro a Milano», conclude Bosio, «ci sono situazioni in cui non si può arrivare con connessioni in fibra. Oppure pensiamo alle seconde case, dove spesso non conviene attivare un abbonamento dedicato. Tutte situazioni in cui il 5G, grazie a soluzioni microinvasive, può abilitare la connessione e rendere possibili tutte le applicazioni per il controllo remoto dell’abitazione».