Ma di Expo, tra poco, resteranno davvero poche tracce. Come in un immenso gioco di mattoncini colorati, le costruzioni che sono state create vengono in questi giorni distrutte o smontate e saranno forse ricostruite altrove, in nuove forme, con altri significati. Ad Astana prima, a Dubai dopo.
A noi resta la memoria di un evento eccezionale. E tante, tantissime fotografie. Matteo Cirenei e Marco Menghi sono preziosi. Erano sul campo quando Expo Milano 2015, non ancora diventato l’Expo che tutti conosciamo, era solo un enorme cantiere pulsante, un progetto da realizzare, una sfida da vincere. Era febbraio del 2015. Scortati dalla sicurezza e guardati a vista, i due fotografi (e architetti) giravano per il cantiere assorbendo l’energia che questo emanava. Intorno, camion e gru, terre smosse, cavi e cumuli di materiali, motori rombanti e mille lingue diverse, l’Expo in fieri.
Il lavoro dell’uomo che domina e guida i macchinari e la polvere del cantiere sollevata dagli operai si depositano sulle immagini come grana fotografica. Gli spazi si fanno molto più ampi. L’uomo quasi si perde in questi ambienti espansi ma, allo stesso tempo, la sua presenza aiuta a darci un’idea delle dimensioni superbe delle architetture che si stanno costruendo. Sono altissime, quasi una vertigine, le tre immagini in alto. E gli uomini dei puntini, formiche operose. La composizione, pur nell’esecuzione a mano libera, senza i rallentamenti che l’uso del cavalletto avrebbe certamente implicato, mantiene un notevole rigore nel contrappunto dei pieni e dei vuoti, uno studio preciso delle linee e dei punti di fuga, un ordine accurato che si distanzia in modo deciso dal caos totale della realtà fotografata. E l’immagine dell’uomo col cavo di Marco Menghi mi riporta alla memoria il mai abbastanza elogiato Franco Pinna e il suo il cavaliere col cavallo impennato di Orgosolo, Barbagia del 1967. Un azzardo, forse, il mio. Ma così è. E in questo vorticare di uomini e cose Menghi riesce a cogliere anche la quiete. Quei pochi secondi di pausa sottratti alla frenesia del cantiere, il riposo in un istante. Due stili, due sguardi, due intenzioni differenti, ma non in contrasto, quelle di Matteo Cirenei e di Marco Menghi. Non c’è gap generazionale tra i due, che pure nascono a vent’anni di distanza: i comuni interessi lo annullano.
Entrambi architetti, appassionati di pellicole e di macchine analogiche, con le quali continuano a lavorare e a fare ricerca, hanno una vera passione per la stampa, intesa come ultima finalità di un lungo processo che inizia con la preparazione mentale dello scatto, la pre-visione della fotografia. L’idea cioè si deve fare, deve trasformarsi in materia, in stampa. Così è stato anche per questa esposizione: i due fotografi hanno curato personalmente la stampa delle fotografie di The stately side of Expo (tranne le più grandi).
Cirenei insegue la forze dei contrasti in un impatto deciso e personale su chi guarda cercando la maggior nitidezza possibile, Menghi vuole invece di restituire con il digitale quelle imprecisioni che solo la fotografia analogica da lui tanto amata può dare. Ora sono al lavoro con la seconda parte del lavoro su Expo: la dismissione dei cantieri. Lo scambio di idee, di conoscenze e di esperienza continua in un arricchimento reciproco. È una storia da proseguire (e forse anche da imitare). Aspettiamo di vedere cosa sapranno farci vedere, di nuovo.