Una storia di abbandono

A Tampico, le fronde degli alberi, che fuoriescono dai tetti o dalle finestre dei vecchi massicci edifici abbandonati da decenni, conferiscono alle fotografie di Kurt Hollander una dimensione in più, svelando un possibile (e distopico) futuro per tutta l’architettura.

Tampico è una bella città tropicale affacciata sul Golfo del Messico, attraversata da canali, disseminata di palme, benedetta da chilometri di spiagge prive di costruzioni.
È stata il primo porto importante del Messico e per decenni anche il primo centro della produzione di gas e petrolio, e insieme queste caratteristiche hanno procurato alla città grandi ricchezze e hanno condotto alla costruzione di un monumentale centro storico dalla grandiosa architettura ottocentesca e novecentesca europeizzante, che rivaleggia con quella di New Orleans.
Kurt Hollander, <i>Tampico</i>, 2013
Kurt Hollander, Tampico, 2013
Quando il petrolio iniziò a scarseggiare, per essere poi nazionalizzato, e vicino furono costruiti porti con bacini più profondi, l’economia di Tampico ebbe un tracollo e il centro storico venne in gran parte abbandonato. I vecchi massicci edifici degli uffici e delle industrie sono ancora in piedi, benché molti siano in abbandono da decenni. Le recenti violenze dei narcotrafficanti, che hanno trasformato Tampico in una delle città più pericolose del Messico, non solo hanno impedito la rinascita della città dal suo passato d’abbandono, ma ne hanno anche causato una ripresa, con migliaia di persone in fuga dalla città senza poter vendere la propria casa. Oggi quasi metà delle attività commerciali del centro storico ha chiuso i battenti e alcune tra le architettura più interessanti ospitano alberi giganteschi che crescono nelle strutture vuote.
Kurt Hollander, <i>Tampico</i>, 2013
Kurt Hollander, Tampico, 2013
Sono stato a Tampico nel 2013 e ho alloggiato all’Hotel Regis, nel centro storico: un vecchio, gigantesco palazzo per uffici riconvertito in albergo soprattutto a uso dei lavoratori temporanei delle raffinerie. Come la maggior parte dei messicani sapevo molto poco di Tampico, dato che, a causa dell’alto tasso di violenza, non si tratta di una meta turistica o di un centro culturale importante. Ed è proprio per questo che ho voluto andarci. Passeggiando per il centro cittadino mi hanno colpito subito la straordinaria architettura del centro storico e il profondo grado di abbandono. Quando uscivo di primo mattino per scattare delle foto in strada non c’era quasi nessuno, e di notte le strade erano altrettanto vuote.
Kurt Hollander, <i>Tampico</i>, 2013
Kurt Hollander, Tampico, 2013

Mi sono concentrato sui palazzi per uffici, sulle fabbriche e sulle vecchie case più maestose, che oggi ospitano gli alberi più alti, a testimonianza di come perfino le città progredite e più ricche possano essere riconquistate dalla natura in soli pochi anni. Benché fotografassi queste strutture come avrei fatto di solito per l’architettura, le fronde degli alberi che uscivano dai tetti o dalle finestre conferivano al lavoro una dimensione in più, svelando un possibile (e distopico) futuro per tutta l’architettura.

 

 

Kurt Hollander è fotografo e scrittore originario di New York. Vive a Città del Messico dal 1989. Suoi articoli e fotografie sono apparsi sul Guardian, sul Vice e su altre testate, ed è autore dell’autobiografia Several Ways to Die in Mexico City (“Alcuni modi di morire a Città del Messico”, 2012).

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