Nelle sue peregrinazioni notturne Nouwens si è infiltrata in un gruppo di giovani adepti di una controcultura: "alternativi dalla faccia d'angelo che ardono per l'antica connessione celeste con la dinamo stellata nella macchina della notte", per parafrasare Howl di Allen Ginsberg. Nouwens immerge il ritrarsi dei suoi soggetti dalla cultura ufficiale in una luce degna di Caravaggio. I corpi brillano e i volti pallidi acquistano una scintilla celeste. Le architetture effimere delle orge nel deserto e delle comuni si insinuano dentro i margini di ogni composizione, in un'oscura alternativa alla strabordante luce solare della metropoli della California meridionale. In galleria le immagini incorniciate sono appese contro pareti a specchio, un'installazione che propizia l'immersione dell'osservatore casuale nel racconto noir di Nouwens.
Nouwens è presente, tra l'altro, su Volume, Blueprint e Icon, e ha esposto in mostre internazionali. In un saggio del 2009 Renske Janssen, già curatore del Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam, ha definito Nouwens come "una persona che assume con facilità ruoli, identità, spazi interni e spazi esterni differenti, come un nomade che non rivendichi alcuno spazio". Domus ha intervistato l'artista sulla sua ispirazione e sul suo lavoro.
Crescere frequentando l'architettura ha decisamente avuto un influsso su di me, più che semplicemente sul mio occhio di fotografa. A tre anni mi trascinarono in giro per l'Europa a vedere tutti i musei e le architetture più importanti. Essere sottoposta all'influsso del Bauhaus e della pittura del Seicento mi ha dato una formazione.
Quando hai iniziato a scattare fotografie?
Ho iniziato a fotografare a quindici anni.
L'energia e la personalità individuale delle persone. Mi sono sempre interessata ai movimenti 'spontanei' e di controcultura del mondo occidentale e al loro percorso parallelo al degrado dei sistemi sociali capitalisti. Tutte le mie opere sono una riflessione visiva sul tessuto sociale americano. Il quale sembra contenere un'ambigua promessa di liberazione che da tempo si è trasformata in incubo. E io personalmente sono partecipe di un altro stile di vita: affascinante, sperimentale, sensuale e alternativo.
Caravaggio, Rembrandt, Van Gogh e de Stijl fanno tutti parte del mio bagaglio culturale
Non c'è un obiettivo. Parto con un'idea, un fenomeno che mi spinge, un movimento che richiama la mia attenzione. Ma il progetto cresce a mano a mano che incontro la gente, i loro comportamenti effimeri che cambiano la società.
E questi chi sono? Le persone, gli spazi dove abitano…
Sono un gruppo di zingari fai-da-te. Vivono in una subcultura underground separata dalla società 'normale'. Molti sono cresciuti con poco o nulla quanto a soldi e istruzione istituzionale, e non hanno mai avuto un lavoro regolare. Il loro atteggiamento è agli antipodi delle comodità della borghesia. È un mondo parallelo, che vive quasi da parassita sul superfluo della società: occupano gli edifici vuoti e frugano nei cassonetti in cerca di cibo, oppure se lo coltivano da sé. Li trovo di notte, quando si riuniscono a far festa e ad ascoltare musica: un modo alternativo di ritrovarsi.
Mi ci faccio coinvolgere. Ho conosciuto Trenton, che si esibisce come attore e come artista, a uno spettacolo intitolato Mudd Duck nel Crenshaw Boulevard, dove la gente si ritrova, suona musica a tutto volume, si esibisce davanti al pubblico: ora è il mio ragazzo… insomma, mi faccio decisamente coinvolgere.
Il genere di luce che ottieni in queste immagini è unico, una specie di luce caravaggesca: trovi ispirazione nei maestri del passato?
Caravaggio, Rembrandt, Van Gogh e de Stijl fanno tutti parte del mio bagaglio culturale.
Sì. Attualmente sto lavorando con una scrittrice di Los Angeles, Claire Phillips. Il nostro progetto, che proporremo al Museo della Fotografia di Amsterdam (FOAM, 2013) allo Stedelijk Museum Bureau Amsterdam (SMBA) e alla galleria Ron Mandos, sempre di Amsterdam, si può definire "un saggio fotografico storico-fantastico sull'America del dopo boom, un punto di convergenza tra la fantasia cibernetica di stampo hollywoodiano e il poetico movimento underground fai-da-te dei bohémien di Los Angeles". Il mio lavoro si snoda in parallelo con il romanzo di fantascienza di Phillips intitolato The Story of Dora. Accostare il mio lavoro a un'opera di fantascienza lo toglie dalla realtà contemporanea, quotidiana, e lo spinge verso il futuro, così come lo vedo realizzarsi a Los Angeles.