Com’è noto, la nostra attività sui social media, se opportunamente analizzata, fornisce dati molto significativi a questo proposito – l’ultima polemica su Facebook, rivelata dai media australiani, fa riferimento a uno studio che la società di Zuckerberg avrebbe fatto su giovani e adolescenti per individuare i momenti di maggiore vulnerabilità emotiva e di propensione verso certi comportamenti, come ad esempio la perdita di peso, per utilizzarli a fini pubblicitari.
Senza scomodare strumenti medici complessi, il servizio propone a campioni piuttosto ampi di utenti sul web un test molto semplice e divertente che chiede di esprimere giudizi a proposito di gruppi d’immagini. L’obiettivo non è però avere una valutazione razionale, ma scandagliare quell’area inconscia in cui, secondo quanto riferiscono i fondatori dell’azienda, si decidono per il 95% i nostri acquisti. Una volta ottenuti i dati, i risultati vengono passati al gruppo di neuromarketing, dove vengono analizzati statisticamente in modo da individuare i diversi gradi di risposta emotiva a una certa immagine, determinando così chiaramente cosa funziona meglio, prima ancora che si concluda la fase di produzione.
Una delle ultime campagne di Honda ha utilizzato i risultati dei test Engagement Insights per proporre una prova di guida virtuale, tenendo presenti numerosi suggerimenti riguardanti ad esempio la posizione dell’auto, l’angolazione più adatta a trasmettere un senso di affidabilità o le caratteristiche migliori per uno showroom virtuale. “Se puoi attingere all’inconscio sai molto di più dei tuoi clienti – spiega Chris Christodoulou, amministratore delegato di Saddington Baynes –, puoi rifinire meglio il tuo modo di comunicare: non si tratta soltanto di creare belle immagini, ma di crearle in modo da essere assolutamente certi che funzionino”. Per arrivare a un simile risultato il percorso è indubbiamente ricco di promesse dal punto di vista pubblicitario, ma non privo di risvolti inquietanti, se solo allarghiamo un po’ lo sguardo.