Florian Beigel e Philip Christou

L’arte di vivere

I progettisti di Architecture Research Unit raccontano le loro idee sull'architettura da cui discendono i loro progetti: dal rapporto con la storia, a quello con la città.

Questo articolo è stato pubblicato in origine, in versione integrale, su Domus 973 / ottobre 2013


Non è facile descrivere il lavoro che portiamo avanti nel nostro studio sul concetto di sostenibilità, nel senso in cui il termine è oggi generalmente usato. Dal nostro punto di vista, l’architetto e/o l’urbanista potrebbero operare in modo più costruttivo, proponendo una loro visione su come costruire il futuro delle nostre città quando lavorano di concerto con i loro contemporanei – specialisti in ambiti diversi come scienze ambientali, ecologia, geologia, botanica e così via.

Non crediamo sia compito dell’architetto progettare nuovi sistemi scientifici o soluzioni per produrre energia, migliorare l’isolamento termico, sviluppare nuovi materiali edili o metodi di coltivazione – per fare solo qualche esempio. L’architetto può fornire idee e linee di condotta fondate sulla propria competenza per contribuire al processo di crescita e cambiamento dell’ambiente urbano. Può anticipare e utilizzare il progresso scientifico, facendolo interagire con le condizioni spurie e asistematiche della vita di edifici e città.

Il nostro obiettivo è uno spazio architettonico capace di far posto allo sviluppo dell’immaginazione umana. L’architetto ha la capacità di aggiungere al progetto il potenziale della gioia. Possiede l’abilità di sintetizzare idee e concetti, pertinenti a una serie di scale diverse, in un’entità unificata – una Gestalt. Queste concezioni hanno origini a volte antiche, a volte attuali.

Crediamo che, quando un architetto costruisce un edificio, oppure conferisce ordine o definizione a un quartiere, alimenta per molti versi un processo più culturale che scientifico. Per tale ragione, insistiamo meno sull’importanza dell’utilità in architettura di quanto non abbiano fatto Cedric Price o Andrea Branzi, secondo i quali tutte le strutture che hanno esaurito il loro ruolo pratico devono essere demolite o rimpiazzate. Noi crediamo che le strutture provenienti dal passato possiedano un significativo valore culturale – una funzione quindi –, anche quando si presentano come ostacoli al cambiamento e all’efficienza. Non si tratta di un appello alla conservazione, quanto di riconoscere che il cambiamento non è di per sé positivo.

Non si tratta di un appello alla conservazione, quanto di riconoscere che il cambiamento non è di per sé positivo

“Finché un progresso deformato dall’utilitarismo arreca violenza alla superficie terrestre, sarà impossibile – nonostante tutte le prove del contrario – negare del tutto la percezione che ciò che precede questa tendenza sia, pur nella sua arretratezza, migliore e più umano. La razionalizzazione non è ancora razionale; l’universalità della mediazione deve ancora essere trasformata in vita vissuta; e ciò attribuisce alle tracce d’immediatezza, per quanto dubbie e antiquate, un elemento di giustizia correttiva…

Se oggi il rapporto estetico con il passato è avvelenato da una tendenza reazionaria con cui questo rapporto fa lega, una coscienza estetica astorica che degrada la dimensione del passato al rango di spazzatura non è migliore. Senza il ricordo della storia, non ci sarebbe bellezza” [1]. L’artista e l’architetto sono capaci di catalizzare la trasformazione del presente quotidiano in forza creativa. Ciò richiede una certa immaginazione e un’inventiva naturale, così come un’abilità nel capire e utilizzare il proprio patrimonio culturale per realizzare un senso di continuità nel progetto contemporaneo. L’uso di riferimenti può aiutare chi progetta ad affrontare un più ampio contesto culturale. Un riferimento può essere preso come generatore o come punto di ancoraggio per un progetto architettonico.

Lasciando da parte programma e uso, si può introdurre nel lavoro il senso del tempo e della continuità. La continuità è Weiterschreiben (continuare a scrivere con le proprie parole). Volgersi indietro verso il passato può anche lasciare maggior spazio alle idee. Togliere di mezzo il concetto di utilizzo libera molto spazio alla continuità di pensiero: si può dire che l’inutilità costituisca un buon punto di partenza per un’impresa creativa.


Progettare partendo dal luogo, non esiste la tabula rasa

È un approccio che richiede un’osservazione distaccata e un’attenta lettura del sito. All’inizio, proviamo a fare un numero limitato di quelli che potremmo definire ritratti fotografici di un luogo impossibile – immagini capaci di catturare la sua natura e il suo carattere su scale differenti. È essenziale visitare il sito il più possibile. Dopo aver riflettuto sulle osservazioni raccolte, nuove ricognizioni sono necessarie per verificarle, chiarirle e magari rivederle, ancora per mezzo di fotografie e schizzi.

Il dibattito critico tra Uvedale Price ed Edmund Burke alla fine del Settecento in Inghilterra, riguardo a quel che i due definivano il ‘pittoresco’, consente un utile confronto tra i diversi orientamenti. Price era più interessato al piano fisico e temporale che non a quello sublime o mistico, oppure all’elemento di grandiosità, capace d’intimorire, che invece affascinava Burke. I dipinti fortemente romantici prodotti in quegli anni in Germania da Caspar David Friedrich rappresentavano da vicino le idee di Burke.

Il land artist americano Robert Smithson – scrivendo nel 1973 su Frederick Law Olmsted, il progettista del Central Park di New York – spiega che “le teorie di Price e Galpin e la risposta di Olmsted a queste ultime contengono intrinsecamente gli inizi di una dialettica del paesaggio… Price e Galpin offrono una sintesi con la loro formulazione di ‘pittoresco’, la quale, a un’attenta osservazione, si rivela legata al caso e al cambiamento nell’ordine materiale della natura.

Le contraddizioni del ‘pittoresco’ partono da una visione statica e formalistica della natura. Il pittoresco, lungi dall’essere un movimento interiore della mente, si basa sul territorio reale; precede la mente nella sua esistenza materiale esterna. All’interno di questa dialettica, non è possibile assumere una prospettiva unilaterale del paesaggio. Un parco non può più esser visto come una ‘cosa a sé’, quanto piuttosto come un processo di rapporti ininterrotti situati in una determinata regione fisica…” [2].

L’infrastruttura del paesaggio è una tela per la vita della città

Architettura come infrastruttura e abitazione
In una situazione di cambiamenti imprevedibili, diversità culturale e sviluppo urbano sempre più sregolato e dispersivo, pensiamo che un approccio infrastrutturale al progetto sia in grado di fornire una cornice nella quale forme differenti di crescita urbana possano aver luogo nel tempo, su scala paesaggistica/urbana, oppure su quella del singolo edificio. Parliamo, spesso, di infrastrutture paesaggistiche e urbane, ma, sul piano della singola costruzione, si può anche pensare alle componenti dell’edificio stesso come a un’infrastruttura, e ad altri elementi – per esempio, gli arredi interni e i servizi – come a strutture abitative. Possiamo tracciare una distinzione tra infrastrutture che tendono ad avere una lunga durata e strutture abitative dalla vita tendenzialmente più breve, capaci di adattarsi più rapidamente ai cambiamenti e a stili di vita diversi.  

Il processo di progettazione descritto in precedenza offre l’adattabilità e la reattività al cambiamento, che non possono essere fornite da approcci alla pianificazione più rigidi e deterministici. Le infrastrutture del paesaggio sono considerate i catalizzatori dello sviluppo architettonico. Un orientamento infrastrutturale può introdurre elementi condivisi, tali da rendere piacevoli diversità e pluralità, offrendo un “terreno comune” nell’attesa di futuri ignoti.

La nostra premessa è che le infrastrutture devono essere generate dalle condizioni esistenti del sito. Quando si progettano interventi di questo tipo, è importante identificare specifici aspetti della storia e della complessità del sito contraddistinti da presenze fisiche, usandoli come base progettuale. Un’infrastruttura del paesaggio è contraddistinta dalla specificità della qualità spaziale del luogo, dal suo rapporto con le aree circostanti e dai materiali; eppure, al tempo stesso, è indeterminata, imprevedibile e capace di far fronte a una gamma preordinata d’impieghi e utilizzi futuri. L’infrastruttura del paesaggio è una tela per la vita della città.

Geografie del tempo
Troviamo utile identificare quelle che chiamiamo “geografie del tempo” come testimonianze del luogo. In architettura, le testimonianze del tempo rendono il tempo visibile. Riconoscere lo status di testimonianza del tempo a un fenomeno legato a un certo sito è frutto di un giudizio soggettivo. Pensiamo sia un bene. Le testimonianze del tempo sono normalmente prive di valore corrente, sono spesso considerate irrilevanti: perciò invisibili e trascurate dagli storici. Si tratta, spesso, di cose banali o confuse. L’idea di testimonianza del tempo è utile anche quando si progetta all’interno o tra edifici esistenti, purché ciò non sia fatto con troppa nostalgia del passato. Ciascun luogo possiede tempi diversi, che per noi sono motivo d’interesse.

Abbiamo lavorato spesso con luoghi alla periferia della città o tra città diverse. Anche in questi spazi, che di solito appaiono privi di carattere o di qualità particolari, possiamo identificare una serie di tempi o di Kulturlandschaften (paesaggi culturali), come li chiamerebbe Adorno: il tempo geologico è solitamente interessante in quanto informa la topografia; il tempo agricolo, in particolare l’ordine delle coltivazioni del terreno, come i terrazzamenti o lo schema secondo cui sono disposti i campi; il tempo industriale e postindustriale, con i suoi terreni inquinati e nuovi spazi di natura allo stato brado; e il nostro tempo di comunicazione istantanea nella città dispersa – un paesaggio urbano apparentemente illimitato.

In un’area a Lichterfelde Süd, Berlino (1998), dove la guerra ha lasciato un’intensa testimonianza, abbiamo condotto una ricerca sull’idea del paesaggio come infrastruttura (geografie architettoniche). Abbiamo valutato vari fenomeni temporali in base al loro potenziale spaziale, per quanto gli investitori non si siano sempre mostrati interessati a dare importanza a tali elementi. Per esempio, le fondazioni di uno stabilimento degli anni Trenta per la produzione di locomotive, mai completato, le strade costruite per i veicoli militari pesanti dall’esercito americano dopo la seconda guerra mondiale o un paesaggio collinare di detriti, risultato dell’addestramento a tecniche di guerriglia urbana, sono alcune delle testimonianze del periodo bellico che abbiamo trovato in questa zona.

Nel caso del progetto Paju Book City nei pressi di Seul (1998), abbiamo identificato un terrapienorealizzato come protezione dalle piene per un terreno sottratto alle rive del fiume Han. La Freedom Highway (la superstrada della libertà) è costruita in cima all’argine e, un giorno, collegherà Seul alla Corea del Nord. In questo luogo, il terrapieno della superstrada si è rivelato la principale testimonianza del tempo. Abbiamo scoperto che può funzionare come dato urbano capace di generare differenti geografie urbane sopra e sotto il dato stesso, conferendo un ordine alla nuova città alla scala del paesaggio – un’infrastruttura del paesaggio.

La qualità della sfera pubblica di una città definisce il suo livello di sviluppo

Coesistenza delle funzioni
Lo scopo di un urbanista, di un amministratore locale o di un cittadino è costruire una città integrata e vitale. Per quanto possibile, oggi è importante ridurre, all’interno della città, il bisogno di aree monofunzionali come zone commerciali, quartieri residenziali o grandi strutture autonome per turisti. Funzioni diverse possono essere collocate una accanto all’altra. Un centro abitato formato da zone funzionali integrate offre una maggior adattabilità ai cambiamenti della situazione economica, limitando il fenomeno del pendolarismo.

Una delle principali forme di coesistenza di cui abbiamo fatto esperienza è legata all’idea di una “palude urbana”, un’area naturale a stretto contatto con la città. Abbiamo realizzato questo concetto nel nostro progetto della “palude urbana” di Paju Book City (1998), spingendo il principio molto più in là in quello di Saemangeum Island City (2008). Le aree paludose sono usate per la depurazione dell’acqua e offrono un habitat per uccelli migratori e altri animali. Con una gestione attenta, queste zone possono diventare accessibili ed essere godute al meglio tanto dai residenti quanto dai turisti. In Saemangeum, aree urbane residenziali e produttive coesisteranno con la bellezza di un paesaggio aperto fatto di campi coltivati, laghi e montagne. Gli abitanti avranno l’opportunità di risiedere vicino al luogo di lavoro, condividendo la bellezza delle aree circostanti con i turisti e la fauna locale.

 
Una città fatta di civiltà

Ci piace porre questa domanda: “Che cosa può fare un edificio per la città?”. L’architetto è in grado di fornire una rete di spazi pubblici nel tessuto urbano. Nel caso di Saemangeum, questo significa gradevoli specchi d’acqua all’interno della città. Ciò prevede un’intensa attività di progettazione, schizzi e ricerche sugli spazi tra gli edifici del nuovo centro, e una ricerca su waterfront, spazi portuali, bacini, parchi acquatici e così via. È proprio l’alta qualità degli spazi pubblici a costituire un elemento cruciale nell’attirare nuovi abitanti e visitatori: la qualità della sfera pubblica di una città definisce il suo livello di sviluppo. Spazi pubblici di qualità ed elevati standard, nell’ambito della sfera pubblica, sono destinati a innalzare l’ambizione progettuale dei cittadini. Ci piace pensare a cittadini capaci di regalare alla loro città spazi privati/pubblici, come un giardino in una piazza. Vogliamo trasformare la città in un insieme non suddiviso in zone monofunzionali: una destinazione capace di attrarre nuovi residenti e visitatori.

(1) Theodor W. Adorno, Ästhetische Theorie, Suhrkamp Verlag, Francoforte 1970; (Teoria Estetica, Einaudi, Torino 1975)
(2) Nancy Holt (a cura di), The Writings of Robert Smithson, New York University Press, 1979

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