“I primi passi al di fuori del nostro pianeta, iniziati negli anni Cinquanta del Novecento, sono il simbolo della possibilità di costruire un mondo nuovo e migliore sulle ceneri di quello devastato dalle applicazioni militari della tecnologia nel decennio precedente, e costituiscono un tempestivo monito ad ascoltare le lezioni della storia”, scrive Norman Foster nell’editoriale del numero di luglio-agosto. È profondo il debito che l’architetto inglese ha nei confronti dei temi di questo numero di Domus: dall’immaginario che si ritrova nei suoi edifici, come la Hbsc di Hong Kong (1986), agli aspetti più materiali, come nei progetti per la comunità di Masdar ad Abu Dhabi (2014), in cui è stato adoperato un materiale usato nelle tute spaziali per contrastare le temperature estreme dello spazio.
I tre saggi del critico di architettura, autore e giornalista Jonathan Glancey, del senior manager del design industriale presso Space Exploration Technologies Anthony Sims e del membro del Consiglio di amministrazione di Virgin Unite Us Stephen Attenborough espandono alcuni temi specifici. Glancey si concentra sul futuro dell’aviazione, ridimensionato dalle preoccupazioni ambientali e ridiretto verso la ricerca di soluzioni più sostenibili. Sims fa un excursus sulle tappe salienti del progetto aerospaziale, dal proiettile di Dalla Terra alla Luna di Jules Verne (1865) al lancio del programma Apollo un secolo dopo, toccando l’influenza sul mondo del progetto, dal logo della Nasa fino a Stanley Kubrick. Attenborough ragiona invece sul presente e sulla seconda era spaziale, iniziata con la comparsa delle prime aziende private, come Virgin Galactic, Blue Origin e SpaceX.
La sezione Architettura raccoglie due progetti di terminal di recente completamento. Il primo è quello di Skidmore, Owings & Merrill (Som) in India, a Bangalore. Il Terminal 2 del Kempegowda International Airport è concepito con una particolare attenzione verso l’intreccio fra il costruito, la natura e le strategie di sostenibilità, scrive Shaikh Ayaz. Molto diverso per contesto è il Terminal A dello Zayed International Airport negli Emirati Arabi Uniti, ad Abu Dhabi, di cui scrive Alessandro Benetti. Modulato per rendere efficienti i flussi interni, l’edificio è definito formalmente dall’incontro con la luce del deserto, che produce il drappeggio della copertura sulla facciata.
Per la sezione Design, Maurizio Gunelli tratteggia una panoramica delle innovazioni che riguardano l’aviazione. Oggi si lavora su vecchie fusoliere riconvertite con ali rivoluzionarie per ridurre le emissioni di gas nell’atmosfera con X-66, di Nasa e Boeing; su dirigibili hi-tech per le emergenze umanitarie come Pathfinder di Lta Research; sugli eVtol (velivoli elettrici a decollo e atterraggio verticale) per liberare le metropoli soffocate dal traffico; e sul rilancio della sfida pluridecennale per il ritorno del volo supersonico con X59 di Nasa e Lockheed Martin. Philippe Rahm racconta invece dei paradigmi che si sono succeduti nella storia e che hanno definito il modo in cui abbiamo costruito finora: oggi la termografia è uno dei cardini principali. In questo ambito, HotSat di SatVu è un nuovo strumento che permetterà di produrre immagini a infrarossi mai così definite guidando la pianificazione urbana e la progettazione architettonica. Luca Galofaro racconta del progetto spaziale concepito da Ariel Ekblaw e dal suo Aurelia Institute, i moduli autoassemblabili Tesserae.
Per la sezione Arte, lo scrittore americano di fantascienza Bruce Sterling scrive della prima galleria d’arte sulla Luna, Lunar Codex di Samuel Peralta, cercando di afferrare il motivo per cui l’umanità da 50 anni si ostina a volersi avventurare “lassù”, cercando un modo per viverci.
In Archivio, Norman Foster osserva l’influenza di Eagle e di Dan Dare sull’immaginario del progetto nella Gran Bretagna degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento. E come coinvolse uno dei disegnatori del fumetto, John Batchelor, a collaborare con il suo studio sul Renault Centre (1982) di Swindon.
Per Foster sull’arte, l’architetto britannico sceglie di parlare della scultura L’Oiseau dans l’espace di Constantin Brâncuși, su cui l’artista condusse sperimentazioni dal 1923 al 1941. In Book reviews, Luca Galofaro recensisce tre libri – di Fred Scharmen, Erika Nesvold, Tim Peake – che trattano di storia, etica e politica oltre il pianeta Terra. In Postscript, intitolato L’architettura del cielo, Foster racconta come si è avvicinato all’esperienza del volo, di come è diventato pilota e di come ciò intercetti alcuni cardini del suo lavoro.
Dava Newman, la direttrice del Mit Media Lab intervistata da Foster, sottolinea come l’esplorazione spaziale non sia solo imprescindibile per l’innovazione tecnologia e la scoperta, ma soprattutto in quanto spinge l’umano a espandere i propri confini e a condividere il sapere.
I primi passi al di fuori del nostro pianeta, iniziati negli anni Cinquanta del Novecento, sono il simbolo della possibilità di costruire un mondo nuovo e migliore sulle ceneri di quello devastato dalle applicazioni militari della tecnologia nel decennio precedente.
Norman Foster
In Cover story, il fotografo canadese Edward Burtynsky ci porta all’interno degli stabilimenti di Spirit AeroSystems nel Kansas, a Wichita, dove vengono prodotte le fusoliere del Boeing 737, che vengono invece assemblate nello stabilimento Boeing di Renton, nei pressi di Washington.
Nella sezione Diario, Paul Smith racconta dei cicli produttivi che riguardano le sequoie, mentre Francesco Franchi tratta dell’immagine coordinata del Toledo Museum of Art, in Ohio. Bosco Colto, un progetto di recupero e rigenerazione del territorio di Borgo Santo Pietro (Catania) è oggetto della rubrica Human Design di Paola Carimati, mentre In Talenti, Silvana Annicchiarico racconta del lavoro di Hwachan Lee e Yoomin Maeng, Kuo Duo, designer coreani che uniscono tradizione e tecnologia. In Emerging territories, Javier Arpa Fernández analizza le dinamiche territoriali di Wasatch Front, un’area urbana in rapida crescita nello Utah, vicino a Salt Lake City. Cristina Moro, in Mnemosine, tratteggia la storia della sedia Wassily di Marcel Breuer, oggi rieditata da Knoll. Elena Sommariva scrive di We Design Beirut, manifestazione che si è tenuta dal 23 al 26 maggio nonostante il clima geopolitico turbolento in Libano. Loredana Mascheroni indaga i tratti innovativi della madia Tacito di Alessandro Stabile per Magis. Giulia Ricci, infine, racconta della ricerca sull’abitare minimo di Atomaa, culminata con una microcasa a Milano di 21 m2.