Silenziosa, sicura e immersa nel verde. Doppia esposizione e doppi servizi. E una vista su una camera a gas. La casa in cui Rudolf Höss, comandante del campo di sterminio di Auschwitz, ha vissuto con la sua famiglia, presto sarà visitabile. L’edificio, situato appena fuori dal campo, è divenuto noto dopo il film premio Oscar del 2024 La zona d’interesse, diretto da Jonathan Glazer.
Fino a oggi è stato una dimora privata. Negli ultimi 42 anni, Grazyna Jurczak, oggi 62enne, ci ha vissuto con il marito, prima che morisse, e i due figli: “Era un ottimo posto per crescere i bambini”, grazie alla vicinanza con la natura e il fiume e all'assenza di caos. Ma dopo l’uscita del film di Glazer, la decisione di vendere la casa è stata maturata a causa dei flussi di persone che si aggiravano attorno all’edificio, osservandolo e richiamando alla memoria il suo legame con le tragedie dell’Olocausto.
La costruzione - come spesso accade ma al contrario di quanto siamo abituati a pensare - ha generato la trama del film e non viceversa. Il suo valore di spazio come testimone degli eventi di Auschwitz ha ispirato il regista tanto da portarlo a girare la pellicola in maniera decisamente poco convenzionale: gli attori erano all’interno della casa (in realtà di una fedele ricostruzione, non quella originale) senza nessun membro della troupe, solo con i costumi e gli oggetti che ci avrebbero trovato negli anni ‘40 e le riprese avvenivano mediante delle telecamere nascoste.
Lo scorso ottobre, il Counter Extremism Project - un’organizzazione con sede a New York - ha acquistato la casa costruita per Höss, con l’intento di renderla accessibile al pubblico. In vista dell’apertura, il CEP ha rimosso gli elementi aggiunti nel dopoguerra per restituire l’immagine originale della casa, com’era tra il 1941 e il 1944, quando vi abitava la famiglia del comandante tedesco. L’edificio non sarà solo un luogo di visita, ma anche la sede dell’“Auschwitz Research Center on Hate, Extremism, and Radicalization” e il progetto di trasformazione dell’edificio è stato affidato all’architetto americano Daniel Libeskind, che ha dichiarato di voler “svuotare” gli spazi interni, mantenendo intatto l’aspetto esterno (essendo l’edificio un sito protetto dall’Unesco).
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