Il primo edificio Stirling Prize sarà demolito, 30 anni neanche dopo la costruzione

L’Università di Salford ha annunciato di volere abbattere il Centenary Building, aprendo la strada a una riflessione su una scelta ecologicamente e culturalmente discutibile. 

Hodder and Partners, Centenary Building, Salford, Regno Unito 1996. Foto Skip88 da Wikipedia

Come fa un edificio di neanche trent’anni, applaudito come una “primadonna” al tempo della sua realizzazione, ad essere oggi tanto svalutato da ritenersi impietosamente meritevole di demolizione?

A chiederselo è una diffusa opinione pubblica, che vede con incredulità la dichiarazione dell’Università di Salford, nel nord dell'Inghilterra, di volere demolire il Centenary Building, sede storica dei Dipartimenti di Design Spaziale, Grafico e Industriale.

L’edificio, realizzato su progetto di Hodder and Partners nel 1996, è stato il primo ad ottenere il prestigioso Stirling Prize promosso dal Royal Institute of British Architects (RIBA), introdotto proprio nel 1996 con l’obiettivo di celebrare il progettista che ha dato, nell'ultimo anno, il più grande contributo all'architettura britannica. Nel caso del Centenary Building, la Giuria aveva premiato da un lato il pragmatismo di un’opera costruita in tempi rapidi e a bassi costi (grazie al sistema costruttivo semplice e performante in cemento, vetro e acciaio), e dall’altro la sensibilità per l’ambiente (grazie al sistema di riscaldamento a pavimento e alla ventilazione naturale anziché meccanizzata) e per la qualità degli spazi, flessibili e luminosi.

L’edificio è caratterizzato da un impianto rigoroso articolato attorno ad una “piazza lineare”, spina dorsale su cui convergono gli spazi didattici, amministrativi e i servizi, attraversata in quota da gallerie e ponti di collegamento.

L’Università oggi lamenta il livello di obsolescenza del fabbricato (a partire dagli impianti e dai sistemi tecnologici di isolamento termo-acustico), solo parzialmente inutilizzato e ritenuto inadatto a soddisfare gli standards e requisiti attuali, e intende intraprenderne la demolizione nell’ambito di un processo generale di riqualificazione dell’area.

Una decisione alquanto insolita per un paese Occidentale che, diversamente da altri dove spesso la storia si tramanda per passaggi di testimone tra demolizioni e ricostruzioni, predica la rigenerazione del territorio costruito anziché il consumo di nuovo suolo, la sostenibilità ambientale a colpi di acronimi (Nzeb) e il riuso adattivo per instillare nuova linfa in edifici che sembrano arrivati a fine ciclo di vita utile.

A ottobre, The Twentieth Century Society, ente benefico che si occupa di promuovere la tutela e la valorizzazione dei fabbricati del Regno Unito costruiti dopo il 1914, ha presentato istanza formale all’istituzione pubblica Historic Buildings and Monuments Commission for England per l’apposizione di un vincolo di tutela, correlato ad un eventuale cambio di destinazione d’uso, ma pare senza successo.

Al di là di giudizi di merito sull’opera e di sterili romanticismi, resta il tema della responsabilità dietro alla scelta di demolizione, che comporta necessarie valutazioni in termini di costi-benefici e di impatto ambientale dovuto alla dispersione energetica e alle emissioni di carbonio a seguito dell’operazione.

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