Nato a Genova e laureato a Firenze, Alberto Ponis fin dagli inizi era stato immerso nella storia di un’architettura che stava esprimendo e poi discutendo il Moderno: l’azienda di famiglia è un progetto di Daneri; la sua formazione professionale, poi, avviene a Londra, prima con Ernö Goldfinger e poi con Denis Lasdun. A Londra prende forma in Ponis l’idea di un modernismo critico, come quello che nel dopoguerra formulano James Stirling e gli Smithson, fatto di un’attenzione alla scala umana e alla relazione con il contesto.
Quando poi nel 1963 si trasferirà in Sardegna per un primo lavoro, questa passione si tradurrà in un linguaggio e in una filosofia di progetto: in una Sardegna “altra” rispetto alla Costa Smeralda già in pieno sviluppo coi vari Vietti, Busiri Vici e Couelle, Ponis lavorerà in luoghi allora più discreti, dove è il paesaggio a suggerire le scelte: arrivano case che, come scriveva su Domus Alberto Brandolini, “non vengono collocate nel punto più facile del lotto, ma in quello più speciale”.
Il linguaggio è quello di una fusione tra il sito e l’edificio, tra rocce e pareti, acque di mare e di piscina, con case che prendono l’unica ispirazione “artificiale” dalla tipologia locale dello stazzo gallurese, basso e allungato.
Porto Sardegna e Porto Rafael sono i primi siti, poi inizia con alcune case e poi insediamenti più articolati il rapporto con Costa Paradiso, destinato a diventare il manifesto di un modo di intendere l’architettura come espressione del luogo e del paesaggio; il manifesto di una vita trascorsa, fino a oggi, tra Genova e Palau, raro esempio di architetto che diventa esso stesso parte dei luoghi che trasforma.
Immagine di apertura: Alberto Ponis ritratto durante una mostra a lui dedicata presso la Fondazione di Sardegna, Cagliari, settembre 2020. Foto Giorgio Marturana da Wikipedia.