Quando nel 2011 annunciano il loro scioglimento, i Sonic Youth, una delle band considerate da sempre tra le più influenti e innovative del panorama rock alternativo, avevano all’attivo tre decenni di carriera.
Formatisi nel vibrante crogiolo di punk, post-punk, no wave e approcci avanguardistici offerto dalla New York di inizio Anni Ottanta, i Sonic Youth – Kim Gordon, Thurston Moore, Lee Ranaldo, Steve Shelley – , esplicitano da subito una tendenza alla sperimentazione sonora che si fa sintesi perfetta di conoscenza colta e approfondita della musica e rifiuto delle convenzioni, in favore di una tensione melodica e trascinante, al contempo grezza e sperimentale, fatta di chitarre accordate in modi non convenzionali, spesso suonate con bacchette per batteria, e usi creativi di feedback e distorsioni, che diventano da subito loro marchio di fabbrica.
Questi tre decenni di carriera condensano inoltre una moltitudine di relazioni che la band ha siglato con artisti provenienti da diversi campi – musica certamente, ma anche letteratura, performance, video, arti visive – che gli ha permesso di sviluppare un lessico difficilmente assimilabile a un macro-movimento artistico, rendendoli dunque identificabili ma non strettamente classificabili. A fare il punto su questo aspetto della loro poetica ci ha provato la mostra curata nel 2008 da Roland Groenenboom in dialogo attivo con la band stessa, che ha esordito al LiFE di St. Nazaire per poi approdare al Museion di Bolzano e successivamente alla Kunsthalle/Kit di Düsseldorf e alla Konsthall di Malmö.
L’immagine della candela riflette appieno la combinazione di melodie e caos sonoro tipiche dei Sonic Youth: simbolo di transitorietà e di riflessione interiore, ci connette con la temperatura emotiva dell’album.
Pur rappresentando solo la punta di un iceberg, emblematiche del rapporto dei SY con le arti visive sono certamente le copertine dei loro album, che segnano collaborazioni eccellenti con artisti quali Richard Kern, Raymond Pettibon, Mike Kelley, Richard Prince, Marnie Weber, William S. Burroughs. Il caso più celebre resta quello della candela di Gerhard Richter sulla copertina di Daydream Nation.
Giorni da sogni a occhi aperti in una nazione che sogna a occhi aperti
Daydream Nation esce nel 1988. È il sesto album dei SY, il primo doppio LP, l’ultimo inciso per la Enigma prima di firmare per la Dgc/Geffen. Considerato da pubblico e critica il loro album di svolta, Dn ha dimostrato come le band indie possano godere di un ampio successo commerciale senza compromettere la loro visione artistica. In questi settanta minuti, infatti, i SY mostrano al mondo cosa significhi abbattere le barriere delle possibilità musicali, riscrivendo la cultura alternativa in un ciclo pressoché infinito.
Per la produzione si sono rivolti a Nick Sansano, che aveva lavorato con artisti hip-hop come i Public Enemy, Rob Base e Dj E-Z Rock. Il risultato: un connubio indie rock-rap che avrebbe avuto effetti trascinanti negli anni a venire. L’album si apre con il pezzo-manifesto Teen Age Riot e si chiude con Trilogy, la cui track B, Hyperstation funge da fonte per il titolo: Daydreaming days in a daydream nation.
Pittura e distorsioni sonore
Per la copertina i SY scelgono un dipinto del 1983 di Gerhard Richter – venduto poi nel 2011 per 16,6 milioni di dollari – intitolato Kerze (Candela). Lo stesso vale per il retro, una candela sempre di Richter ma del 1982. Il vinile è apribile e i 12" sono contenuti in semplici custodie bianche. All’interno, una grande fotografia della band scattata da Michael Lavine – il fotografo dell’allora nascente scena musicale grunge – nell’agosto dell’88, insieme alla lista dei brani e ai credits. Sui quattro lati dei vinili, quattro simboli che rappresentano ogni membro della band: l’infinito (Ranaldo), il simbolo di venere (Gordon), l’omega (Moore) e lo schizzo di un demone/angelo che tiene in mano le bacchette della batteria (Shelley). La ristampa in Cd su Geffen del 1993 presenta note di copertina scritte da Jutta Koether.
Artista contemporaneo tra i più influenti, Gerhard Richter nasce a Dresda nel 1932. La sua opera, che spazia dall’astrazione al fotorealismo, è caratterizzata da un’interrogazione costante dei limiti della rappresentazione visiva. Mentre i suoi dipinti fotorealistici sembrano scatti ingranditi, le sue opere astratte sono distinguibili per gli ampi campi di colore distesi a spatola e le texture complesse, superfici vibranti e dinamiche che paiono in continua evoluzione.
La tradizione della Vanitas e il concetto a essa strettamente correlato di Memento Mori hanno costituito un punto di riferimento per Richter nei primi anni Ottanta. Motivi come il teschio, la clessidra, la frutta in decomposizione e i fiori appassiti sono considerati rappresentativi del passare del tempo e dell’inevitabilità della morte. Allo stesso modo la candela ricorda all’essere umano la sua mortalità. La fiamma della candela brucia per un tempo limitato, per spegnersi al consumarsi della cera.
L’immagine della candela, con la sua luce tenue che illumina un buio indistinto, riflette appieno la combinazione di melodie e caos sonoro tipiche dei Sonic Youth: simbolo di transitorietà e di riflessione interiore, ci connette con la temperatura emotiva dell’album, che spazia dall’alienazione urbana all’esplorazione di sogni, disagi e ansie della vita e della cultura contemporanee. La trama della pittura di Richter si riflette nelle distorsioni e nei feedback vibranti dai quali i SY sanno generare pura bellezza nichilistica.
Rolling Stone lo giudica uno dei migliori album del 1988, mentre Pitchfork lo posiziona al settimo posto tra i migliori del decennio.
A più di trentacinque anni dalla sua pubblicazione, Daydream Nation resta il documento sonoro che meglio definisce l’indie rock americano, sintetizzando magnificamente la violenza del noise, l’urgenza del punk, nonché una riflessione anticipatoria sulla parabola discendente di una nazione.
Immagine di apertura: Dettaglio dell'opera Kerze di Gerahard Richter, 1983