C’è ancora spazio per le pietre naturali nella progettazione?

Abbiamo visitato l’headquarter di Antolini, azienda italiana leader nel settore, che punta alla valorizzazione dei materiali lapidei nonostante le sfide economiche ed ecologiche. 

Il dibattito contemporaneo sull’utilizzo dei materiali naturali nella progettazione è sempre più vivo, soprattutto se si tratta di confrontarne benefici e svantaggi. L’estetica e la bassa emissività della pietra contrastano con i costi elevati e la quantità di CO2 emessa per il trasporto, oltre al problema delle risorse limitate. Difficoltà che impongono a chi lavora con i materiali naturali di misurarsi con una ricerca tecnologica costante, che riesca a valorizzarne al massimo il potenziale e allo stesso tempo minimizzare gli impatti negativi del processo.

Siamo stati nella sede di Antolini, storica azienda italiana che da decenni si impegna nella lavorazione di pietre naturali. Le sue origini nascono da una scommessa del fondatore, Luigi Antolini, che quasi 70 anni fa ha affittato un vecchio laboratorio nel veronese, portando avanti una tradizione tipica del luogo.

A poco a poco l’azienda ha esteso i propri confini, espandendosi sul territorio internazionale e accedendo a cave collocate in tutto il mondo, dall’Europa al Sudamerica.
Oggi, l’headquarter a Sega di Cavaion si estende su una superficie di oltre 270.000 mq, con 1300 pietre naturali a catalogo, di cui più di 90 in esclusiva, distribuite nei suoi padiglioni smisurati che Domus ha visitato.

La sede


Percorrendo i 4 km della Stone Gallery, che mette subito in mostra la grande quantità di lastre, dal marmo, al granito, alla quarzite, Elisa Manni, del Marketing Department di Antolini, sottolinea la cura ricercata nella presentazione del prodotto: “le lastre sono volutamente sollevate di 30 cm dal suolo, per permettere al visitatore di osservarle alla giusta altezza, e sono visibili sia frontalmente che nei loro diversi spessori”.

In alto e a caratteri cubitali si vedono indicazioni come “Fifth Avenue” o “Rodeo Drive” a segnalare le corsie, strizzando l’occhio a un mercato internazionale in cui Antolini sta assumendo sempre più visibilità. Manni fa notare che “tutte le lastre sono brandizzate, operazione molto particolare se pensiamo che si tratta di semilavorati”, manifestando la volontà di rendere riconoscibile il brand. 

Gli altri spazi dell’headquarter hanno tutti una connotazione specifica e riconoscibile, dalla Galleria del bianco allo spazio-museo, con una collezione privata di pietre che affascina i visitatori, fino ad arrivare al Luxury Village, con le collezioni di gioielli Lady A, che spinge i confini dell’azienda fino alla moda, e le collezioni Couture e Precioustone, che hanno lo scopo di soddisfare “i clienti più esigenti”.

Ma il fulcro e vero motore dell’azienda è la Wow Factory, dove le pietre vengono trasferite per essere lavorate, dal processo di pulitura a quello di finitura. Completamente rinnovata nel 2019, al suo interno è predisposto anche uno spazio per il controllo qualità, che è una rarità per questo settore. 

Le imperfezioni che danno valore

Patagonia original extra

Uno degli aspetti più emblematici dei materiali lapidei è che nessuno è esattamente uguale all’altro, perciò l’approccio di Antolini è quello di valorizzare le imperfezioni delle cave, lavorando su materiali ibridi e riducendo di gran lunga gli scarti.

Trattando gli elementi di disturbo come caratteristiche peculiari, Antolini ha cominciato a lavorare quello che oggi è uno dei prodotti di punta della sua gamma: Patagonia è un quarzo naturale proveniente da una cava oltreoceano, dove la natura ha combinato più famiglie geologiche dando vita, nel corso di milioni di anni, a un mix di colori e geometrie inaspettati a ogni scavo.

Texture+ collection, flut finish

Ma non si tratta solo di una questione estetica: la vera difficoltà nel lavorare una pietra così eterogenea risiede nella diversa risposta ai carichi, agli agenti esterni e all’opera di finitura, indice di una ricerca tecnologica necessaria, come quella del vacuumprocess, che consente l’impiego nella progettazione di materiali che altrimenti, data la loro delicatezza, sarebbero utilizzati limitatamente e in poche applicazioni.

Finzione o progresso?

Nei settori annessi alla progettazione, che si tratti di interni o outdoor, la ricerca è inevitabilmente legata all’estetica e alle tendenze del momento. “Una delle mode diffuse ultimamente è quella di riempire le fessure del travertino con stucchi colorati” spiega Elisa Manni quando ci mostra i rivestimenti “treated”.

Precioustone Collection, inserti fucsia su richiesta

Addentrandosi nel Luxury Village si possono notare le diverse applicazioni delle superfici lapidee, e il modo in cui la stessa pietra, se trattata in modo differente, è in grado di creare scenari sempre diversi.  Alcune lastre, traslucide in certi punti, sono retro-illuminabili, con un effetto totalmente diverso dall’originale, come nel caso della collezione Allight. Altre sono tenute insieme da resine che vengono appositamente colorate, su richiesta del cliente, per rispondere a esigenze più specifiche e personalizzate. 

Con un approccio che punta all’esaltazione della bellezza intrinseca delle pietre naturali, imperfezioni comprese, ma che non rinuncia a qualche “licenza speciale” in nome della soddisfazione del cliente, Antolini continua a portare avanti la propria missione di lavorare con i materiali lapidei, nonostante oggi si tratti di una sfida particolarmente ambiziosa.

Immagine di apertura: Bianco Lasa Covelano Macchia Vecchia

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