Circolava la voce che la sua hidden agenda fosse, molto semplicemente, fotografare tutte le grandi città del mondo: un'agenda che può sembrare un'utopia (alla maniera di Borges), ma che – ce lo diranno le generazioni future – forse egli è riuscito a portare a compimento. Le sue prime fotografie, quelle delle fabbriche di Milano, si concentravano sugli edifici, ma la loro anonimità è già urbana. Le sue immagini della grande rassegna della DATAR ritraggono invece i porti nel nord della Francia e qui, oltre alle città, vengono ripresi il paesaggio e il confine della costa. Egli era costantemente all'inseguimento dei confini, di linee fisiche, insomma di quei segni primigeni che sono alla base di ogni luogo: per lui, doveva esserci un disegno che sovrintendeva alle cose.
Quasi tutto il suo portfolio è in bianco e nero: solo recentemente Basilico si era lanciato nell'uso del colore, dimostrando, tra l'altro, che il manufatto-città è sostanzialmente incolore.