È ancora tutto lì, fermo. Le gonne appese alle grucce degli armadi spalancati nelle case sventrate, i libri caduti da scaffali in bilico sul vuoto, le canottiere che, stese ad asciugare su fili rimasti miracolosamente tesi, sventolano su montagne di detriti e incartamenti burocratici. Decine e decine di ordinanze, delibere, disposizioni, puntualizzazioni, rettifiche e precisazioni che ammucchiate l'una sull'altra hanno fatto un groviglio più insensato e abnorme di certe spropositate impalcature di tubi innocenti e snodi e raccordi che a volte, più che un'opera di messa in sicurezza, sembrano l'opera cervellotica di un artista d'avanguardia".
A tre anni dal sisma, è questa la 'fotografia' di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sulla situazione dell'Aquila in un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera.
Potrebbero quindi essere questi gli strumenti attraverso i quali ridare voce a una comunità, quella Aquilana, che sembra essere stata ormai del tutto dimenticata tanto dalla politica quanto dal mondo della creatività e del progetto, del tutto "rimossa dalla coscienza stessa dell'Italia", come dicono Stella e Rizzo, e che, stanca di un approccio assistenzialistico degradante e inefficiente, chiede solo che gli sia data la possibilità di elaborare e portare avanti il proprio progetto di rinnovamento e riscatto?
Una proposta che va in una direzione ancora più interessante, almeno secondo il parere di chi scrive, è quella, elaborata per il progetto della sua tesi in Product Service System Design, relatore Fabrizio Pierandrei, da Francesco D'Onghia, studente del Politecnico di Milano, istituzione che in questi anni ha condotto un continuo e importante lavoro di ricerca e progetto sulla città, lavoro che, come molti altri, è forse passato in sordina e non ha ricevuto l'attenzione mediatica e il supporto che meritava.
Più che immaginare una città del futuro bisognerebbe forse mettere i residenti e le comunità dell'Aquila nella condizione di costruire la città che vogliono per il loro futuro. La città 2.0 è la soluzione capace di realizzare, con tutti gli strumenti a disposizione, i desideri e le necessità dei suoi abitanti
Il progetto è stato ispirato dall'esperienza che Francesco ha vissuto in prima persona a L'Aquila dove ha incontrato persone, associazioni e collettivi che, a scale differenti, dall'orto fino al villaggio autocostruito, come nel caso dell'EVA, e con competenze differenti, portavano avanti il loro progetto di ricostruzione e rinnovamento. Quest'esperienza è confluita, prima, in un piccolo progetto di risistemazione di un minuscolo giardino, realizzato sul campo insieme a tutte le realtà incontrate durante la sua permanenza all'Aquila, poi nel progetto, in realtà pensato per qualsiasi situazione di catastrofe, della sua tesi di laurea.
Più che immaginare una città del futuro bisognerebbe forse mettere i residenti e le comunità dell'Aquila nella condizione di costruire la città che vogliono per il loro futuro. La città 2.0 forse non è la semplice applicazione di un modello perfetto e sostenibile, un'utopia tecnologica, ma piuttosto la soluzione capace di realizzare, con tutti gli strumenti a disposizione, i desideri e le necessità dei suoi abitanti.