Come hai approcciato il “tema maniglia”, su quali elementi hai deciso di puntare: questione formale, equilibrio, leggerezza, funzionalità…
Il progetto della maniglia ha per me tanti aspetti molto singolari. Le aziende che fanno maniglie fanno un unico prodotto, quel piccolo oggetto a forma di ‘L’ che sbuca dalle porte. È un oggetto che ha degli aspetti quasi ironici, ma che ci richiama immediatamente all’ordine perché – come tutti gli oggetti – ha bisogno di essere restituito a una contemporaneità. È un lavorio di grande intensità perché in poco più di 13 cm devi generare forme, dimensioni e anche nuove funzionalità, per un oggetto che impugniamo ogni giorno non so quante volte.
Ecco appunto, verrebbe spontaneo chiedersi: cosa c’è ancora da progettare in una maniglia?
Ogni volta che un progettista si sente dire “cosa si può fare di più?” oppure “è già stato fatto tutto”, è il momento di mettersi a fare. Noi non possiamo accettare d’ufficio – né tantomeno per contratto – l’assunto che sia già stato fatto tutto. Questo è proprio uno stimolo potente per andare oltre e sconfessare questa affermazione. È un dubbio che trovo legittimo e me lo pongo sempre all’inizio di un progetto: che sia una maniglia, una sedia o un bottone, è lecito e doveroso chiedersi se ci sia davvero bisogno di riprogettare qualcosa. La risposta non è scontata, ma con la mentalità progettuale tipica della scuola italiana, si dà prima un senso all’azione e poi si agisce.
Hai dei modelli? Pensiamo, per esempio, alla maniglia di Gio Ponti per Olivari… Ci sono progetti che sono stati per te d’ispirazione e modello?
La Lama di Gio Ponti è la maniglia che, penso, guardiamo tutti con grande affetto e attenzione perché ha il raro vantaggio di superare le epoche, mantenendo la sua estrema eleganza e contemporaneità. È una combinazione di fattori inspiegabile: sembra progettata oggi. Resta un grande riferimento. Ma dobbiamo porci sempre la sfida di aggiornare la nostra contemporaneità perché le porte e le modalità di apertura cambiano. C’è anche la tendenza a guardare alla maniglia come la chiave d’ingresso di un’architettura. E non è a caso che per questo lavoro con dnd ho chiamato cinque studi di architettura italiani chiedendo loro di ripensare il concetto della maniglia.
Quali sono gli studi con cui stai lavorando?
Stefano Boeri Architetti, 5+1 AA, Maurizio Varratta Architetto, 967 Architetti Associati e Cino Zucchi Architetti.
Parlaci dei criteri di scelta.
Sono tutti studi coinvolti in lavori importanti, con un oggi e un domani molto intenso. Stanno tutti facendo ottimi progetti. In più, sono molto diversi tra loro: m’interessava un’interpretazione poliedrica dell’oggetto maniglia. Li seguo a distanza e sono curioso di vedere come affrontano il progetto. C’è curiosità anche da parte loro di vedere come si sviluppa un progetto di design. È un percorso che stiamo monitorando e che andremo a raccontare al prossimo Salone del Mobile.
Come concepisci il lavoro di direttore artistico? Quali sono le tue modalità operative?
Vorrei partire dal termine: “direzione”. Per me consiste proprio nel tracciare una direzione. Come si fa? Prima di tutto bisogna assicurarsi di essere seguiti, cioè l’azienda, su una strada spesso non battuta prima. È anche un’azione che non può non prevedere una coralità d’interventi. Per me non vuole dire, per esempio, occupare tutti i ruoli creativi, né imporre o disciplinare ogni aspetto. È invece interpellare intelligenze e qualità specifiche, e coordinare un lavoro di squadra. Un’azienda che si affida a me fa un grande gesto di fiducia. La mia risposta è restituire un lavoro non a immagine e somiglianza del direttore artistico, ma di qualità per la crescita culturale e numerica di un’azienda. Come un regista, il direttore artistico sta dietro la macchina da presa e il risultato è un bellissimo film, non un suo ritratto tridimensionale. Trovo bello vedere all’opera Leonardo Sonnoli: non mi sarebbero bastati 100 anni per fare quel lavoro. Abbiamo un bravissimo fotografo che è Massimo Gardone e una persona che si occupa della comunicazione che è Elisa Testori. Insieme, facciamo una squadra, andiamo in azienda, vediamo i designer all’opera… È un’esperienza molto gratificante.
Cosa vedremo quindi al Salone del Mobile?
Sicuramente i progetti – molto diversi – di questi studi: cinque maniglie o famiglie di maniglie; diverse, ma all’interno di un’unica mappa che è dnd. Come sempre, mi piacerebbe dare una chiave pragmatica al mio lavoro: di ricerca e sperimentazione, ma per arrivare a maniglie vere, molto probabilmente applicate a porte vere.