Michael Anastassiades

Michael Anastassiades racconta la sua collaborazione con Salvatori e il suo “linguaggio della riduzione” tra eleganza, minimalismo e atemporalità. #MDW2017

Michael Anastassiades, classe 1967, cipriota di nascita, ma londinese da sempre (laureato all’Imperial College of Science Technology and Medicine nella capitale inglese), crede che la bellezza debba essere l’obiettivo ultimo del progetto e che possiamo trovare questa bellezza nelle cose che ci circondano. Con una particolare attrazione – o ossessione che dir si voglia – per la luce, Anastassiades sembra non lasciare nulla al caso, neanche il nome che dà alle proprie creazioni, anch’esso parte sostanziale del progetto tutto. Qui torna in gioco l’uomo che, per quanto concentrato a svolgere al meglio il suo mestiere, rimane vigile e guarda al mondo di tutti i giorni come fonte di costante d’ispirazione.

In apertura: Michael Anastassiades. Photo Gabriele Zanon. Qui sopra: Michael Anastassiades, Love Me, Love Me Not collezione di 4 tavoli per Salvatori. Photo Gabriele Zanon

Per esempio, la collezione IC Lights per Flos – probabilmente una delle più suggestive e di successo prodotte degli ultimi anni – deve il suo nome alla sigla che l’ufficio immigrazione della Gran Bretagna utilizza per il riconoscimento e la codifica di chiunque entri nel Regno Unito. Titolo anomalo e stridente per una serie di lampade dall’eleganza rara i cui codici primari consistono in un tubo e in una sfera che sembrano stare insieme per magia. Per la stessa azienda la sua serie String Lights deve la nascita al landscape aereo creato dai fili che collegano tra loro i pali della luce creando un susseguirsi mutante di finestre geometriche nel cielo, quasi una danza – il progettista li notava puntualmente durante i suoi viaggi in treno. Questo rituale è stato tradotto in una serie di oggetti illuminanti dalla semplicità straordinaria, capaci non solo di nascondersi e perdersi nello spazio architettonico di una stanza, ma anche di delinearlo grazie a un segno lieve seppur di grande forza.

Michael Anastassiades, Love Me, Love Me Not collezione di 4 tavoli per Salvatori. Photo Gabriele Zanon

Per Anastassiades la luce è totalizzante. La percezione della luce scaturita dalle sue lampade – o sculture luminose – è protagonista e segna indelebilmente il carattere della maggior parte delle sue creazioni. La sua cifra progettuale, riconoscibile e solenne, lascia intendere che un oggetto per essere energico e dirompente non ha necessariamente bisogno d’inutili orpelli, anzi. Il designer ha un segno netto come la lama di un rasoio ma anche sorprendentemente delicato, comunque sempre efficace. Oggi, come all’inizio del suo percorso professionale, quando si allontana dall’ingegneria per esplorare le possibilità del disegno, Michael Anastassiades ha un diktat in testa, ossia una singolare coerenza progettuale. Ha un atteggiamento compatto e intero nei confronti della disciplina che si traduce in un’indubbia armonia e precisione di gesto, capace di rinnovarsi senza diventare ripetizione.

Michael Anastassiades, Love Me, Love Me Not collezione di 4 tavoli per Salvatori. Photo Gabriele Zanon

Quest’anno il designer celebra 10 anni di attività del suo studio. Come? Dopo il debole per le lampade in ottone satinato, con una recente e netta virata verso il colore. La filiforme collezione dal titolo Fontana Amorosa disegnata per Nilufar e presentata in galleria in occasione del Salone del Mobile 2017 nella forma di duetto con il grande padre del design brasiliano, Joaquim Tenreiro (1906-1992), è sì realizzata in ottone, ma presenta una patina rossa come la passione; Fontana Amorosa (anche un omaggio alla nostra lingua), raccoglie in sé memorie lontane, favole d’infanzia e ricordi della sua terra alludendo a un luogo mistico sull’isola di Cipro (nella penisola di Akamas), una sorgente di acqua pura dove la dea Afrodite si bagnava, sorgente dell’eterna giovinezza e dell’amore.

Michael Anastassiades, Love Me, Love Me Not collezione di 4 tavoli per Salvatori. Photo Gabriele Zanon

Maria Cristina Didero: Il 2017 coincide con il decimo anniversario del marchio che porta il tuo nome: come hai cominciato e come lo vedi oggi? Michael Anastassiades: Ho cominciato per reazione al modello che definiva il ruolo del designer all’epoca in cui mi sono laureato. Prevedeva la progettazione per l’industria ma solo per società, affermate o nuove, che fornissero struttura e competenza per la produzione di oggetti di design. Per un po’ mi sono adeguato a questo ruolo, solo per poi rendermi conto che non si apriva nessuna porta. All’epoca capitava all’improvviso un interesse che portava solo alle solite occasioni mancate per motivi di politica interna o di clima economico. Tutti volevano lavorare con marchi affermati e pareva non ci fosse modo di uscire da quello schema. Era molto frustrante. Ero un creativo cui non era permessa alcuna evoluzione perché le mie idee non trovavano realizzazione materiale. Per andare avanti dovevo escogitare un modello grazie al quale realizzare le mie idee. Nel 2007 decisi di prendere in mano il controllo e costituire una base dove avessi piena libertà riguardo a ciò che volevo produrre. Ero pronto ad accettare il rischio del successo piuttosto che del fallimento di ciascuna idea, per quanto complessa la cosa apparisse. Mi ci è voluto parecchio tempo per arrivare a un risultato, ma a quel punto sono stato anche molto contento di non averlo fatto prima, perché il livello di maturità non sarebbe stato lo stesso.

Michael Anastassiades, Love Me, Love Me Not collezione di 4 tavoli per Salvatori. Photo Gabriele Zanon

Maria Cristina Didero: Mi hai detto di essere in ingegnere in piena regola, e che dopo la laurea hai abbandonato il settore. E allora che cos’è il design? Michael Anastassiades: Un processo di riflessione che conduce alla creazione di un oggetto. Maria Cristina Didero: Perché l’ottone? Michael Anastassiades: Be’, oggi c’è il colore, quando ho cominciato a usare l’ottone nessuno lo faceva perché si pensava che fosse fuori moda. E io ho deciso di continuare a usarlo. Ora mi trovo bene anche con il colore. Mi piace far risaltare il colore quando è la patina naturale a farlo.

Michael Anastassiades, Love Me, Love Me Not collezione di 4 tavoli per Salvatori. Photo Gabriele Zanon

Maria Cristina Didero: Perché dai alle tue collezioni questi titoli a più livelli? Michael Anastassiades: Credo che i nomi degli oggetti siano davvero molto importanti, il loro scopo è provocare una reazione nel pubblico. Maria Cristina Didero: Il tuo design è da sempre in rapporto, tra le altre, con queste parole chiave: eleganza, minimalismo, atemporalità: come definiresti il design di Anastassiades? Michael Anastassiades: È un linguaggio della riduzione. In cui l’informazione viene estratta e il progetto della cosa viene ridotto al puro minimo finché non c’è più nulla da togliere. Solo a quel punto l’idea diventa più forte ed è allora che l’oggetto ha maggiori probabilità di sopravvivere nel tempo.

Michael Anastassiades, Love Me, Love Me Not collezione di 4 tavoli per Salvatori. Photo Gabriele Zanon

Maria Cristina Didero: Dice Dieter Rams che “il buon design dura a lungo. Evita la moda e quindi non appare mai antiquato. A differenza del design alla moda dura per molti anni, perfino nella società dello scarto di oggi”. Ammettendo che il buon design sia senza tempo, dove vedi oggi il buon design? Michael Anastassiades: Il buon design è quello che non richiede attenzione. Quello che al primo sguardo riesce a passare inosservato nello spazio. E a una seconda osservazione si iniziano a notare le sottili qualità che lo rendono efficace. Non solo in quel certo ambiente, ma in molti altri.

Maria Cristina Didero: Che cosa è importante per te, all’inizio di un progetto? Michael Anastassiades: Prima di tutto comprendere l’intenzione nel progettare quel particolare oggetto. Poi, per la maggior parte del tempo, essere pronto ad accettare il fatto che non ci sono da dare grandi contributi e concentrarsi sulle qualità sottili. Non mi interessa progettare qualunque cosa, e soprattutto non mi interessa mettere il mio nome su qualunque oggetto. Maria Cristina Didero: Quali sono le regole – se mai ce ne sono – che tieni presenti prima di accettare o intraprendere un progetto? E quando infrangi queste regole – se mai capita? Michael Anastassiades: Devo avere la sensazione di contribuire al progetto di un oggetto. Solo allora accetto la sfida. Di solito non infrango le regole. Qualche volta è più dignitoso rifiutare.

Michael Anastassiades, The end of the affair, vulcano in basaltina con base in Nero Marquina per Salvatori. Edizione limitata di 13 pezzi. Photo Gabriele Zanon

Maria Cristina Didero: Che suggerimenti daresti a un neolaureato? Michael Anastassiades: Continuare a sforzarsi di realizzare ciò in cui crede. Solo con la perseveranza si diventa convincenti, prima nei confronti di se stessi e poi degli altri. Maria Cristina Didero: Osservando quel che accade nel mondo, che cosa ritieni importante per il mondo di oggi? Michael Anastassiades: Per il design il tempo non dovrebbe contare. Nel corso della storia idee simili riappaiono in epoche diverse. Nel mondo della creatività non c’è nulla di ‘nuovo’, se non per le circostanze in cui le cose sono state create.

Maria Cristina Didero: Hai studiato Ingegneria civile all’Imperial College of Science Technology e Medicina a Londra. Secondo te quale scoperta della tecnoscienza ha rivoluzionato la storia dell’umanità? Michael Anastassiades: La rivoluzione tecnologica è semplicemente la sostituzione di una tecnologia con un’altra in un lasso di tempo relativamente breve. Nel corso della storia ci sono state molte rivoluzioni tecnologiche che sono riuscite a cambiare l’umanità. Solo prendendo le giuste distanze riusciamo a renderci conto dei loro effetti a lungo termine. Io credo solo nelle scoperte della medicina che migliorano la qualità della vita.

Maria Cristina Didero: Come vedi te stesso e il tuo lavoro in futuro? Michael Anastassiades: Il mio atteggiamento sarà lo stesso, ma non so con certezza se i miei oggetti avranno ancora la stessa importanza. Maria Cristina Didero: Chi guida il progresso oggi, e perché? Michael Anastassiades: Le vere guide sono coloro che conducono la ricerca e l’innovazione della medicina, ma solo in rapporto con il miglioramento della vita umana.

Maria Cristina Didero: Il tuo lavoro punta a provocare il dialogo, la partecipazione e l’interazione. Partendo dal fatto che i prodotti di uso quotidiano influiscono sulla persona e sul benessere, come ti piacerebbe che gli utenti vivessero i tuoi oggetti? Michael Anastassiades: Mi piace lasciare le cose aperte all’interpretazione individuale. Sono sempre piacevolmente sorpreso quando qualcuno descrive ciò che vede quando osserva un oggetto che ho progettato o ci vive accanto. Per me continuare a scoprire cose differenti a mano a mano che si trascorre il tempo con un oggetto è una qualità interessante.

Maria Cristina Didero: L’anno scorso hai lavorato con Herman Miller, uno dei maggiori marchi mondiali per valore simbolico: quando un prodotto diventa un’icona? Michael Anastassiades: Quando sopravvive alla prova del tempo. Quando appare datato è un fallimento. Maria Cristina Didero: Un auspicio per il futuro del mondo della creatività? Michael Anastassiades: Avere la forza di restare individui.

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3–9 aprile 2017
Michael Anastassiades

Fontana Amorosa

Nilufar Gallery, via della Spiga 32
Love Me, Love Me Not – Salvatori
via Solferino 11