Domusweb: Architettura, filosofia, cinema… Come s’inserisce il vostro background nelle pellicole a cui lavorate? E come è impostata la collaborazione tra voi?
Ila Bêka, Louise Lemoine: Fare film in due non è facile. L’unica maniera è essere fratelli, per cui separarsi è impossibile, oppure essere innamorati, così nei momenti difficili si può sempre contare su una cena a lume di candela.
Ma il vantaggio di essere in due è che la discussione è costante, ogni scelta viene vagliata e le decisioni sono sempre frutto di una riflessione comune, di uno scambio. Nel nostro caso potremmo dire che uno di noi è l’istinto e l’altro la ragione. Da soli produrrebbero caos o rigore, ma insieme si equilibrano.
È vero, i nostri percorsi di formazione sono diversi ma gli interessi sono comuni. Abbiamo girato il primo film perché volevamo sussurrare al mondo che l’architettura senza le persone è la morte. Volevamo rimettere al centro dello spazio il corpo umano e ridare voce a chi quello spazio lo vive o lo subisce ogni giorno. Siamo stati anche attaccati per questa scelta, ma oggi constatiamo che l’interesse generale converge verso le nostre preoccupazioni.
Domusweb: Siete stati paragonati al Jacques Tati di Mon Oncle, al Wim Wenders di If Buildings Could Talk o di Il Cielo sopra Berlino. Quali sono i vostri modelli, cinematograficamente parlando? Quali le pellicole che hanno segnato una svolta culturale nella vostra formazione?
Ila Bêka, Louise Lemoine: Jacques Tati è sicuramente un riferimento importante per i nostri film: il suo humor, la visione distaccata ma al contempo affettuosa dei meccanismi che regolano i rapporti sociali e l’attenzione agli effetti che l’architettura può creare sulle persone che la vivono. Se abbiamo inserito una breve scena di Mon Oncle di Jacques Tati in Koolhaas Houselife è perché Guadalupe, la nostra protagonista, potrebbe essere paragonata a Monsieur Hulot, in quanto incarna una cultura tradizionale in totale distacco con la radicale modernità della casa in cui lavora. Ma ci sentiamo vicini anche al cinema documentario di Jean Rouch, Chris Marker, Agnes Varda, Johan Van der Keuken, Werner Herzog o ai documentari di Pasolini. Un cinema diretto, spontaneo e molto soggettivo in cui il rapporto con le persone è il più possibile autentico. È un tipo di cinema che ci interessa però in relazione ai nostri film, per il resto amiamo moltissimi altri registi, João César Monteiro, Béla Tarr, Fellini…
Domusweb: Barbicania, Gehry’s vertigo, 25bis, The little Beaubourg, Koolhaas houselife… I protagonisti dei vostri racconti sono gli edifici e chi li vive tutti i giorni. Agli architetti è riservato al massimo un contenuto extra… Ma è davvero l’architettura ad attirare la vostra attenzione, il vostro punto di partenza? O è, piuttosto, il contesto umano che la circonda e, quindi, la possibilità di costruire una narrazione?
Ila Bêka, Louise Lemoine: L’architettura è stata inventata dall’uomo per migliorare la propria vita. Nasce come riparo dalle intemperie o dall’attacco di altri esseri viventi. Poi l’uomo comincia a costruire infrastrutture più complesse come strade, acquedotti o ponti. Con la costruzione di templi, anfiteatri e chiese si rivela però anche uno straordinario strumento per veicolare l’immagine del potere. L’architettura viene allora rappresentata in tutte le sue forme migliori e il più delle volte l’immagine diventa più importante dell’architettura stessa. Questo aspetto è ancora oggi molto presente. Le immagini delle architetture contemporanee vengono preparate con molta cura da chi si occupa della sua promozione.
Indagare cosa si nasconde dietro quelle immagini può aiutarci a capire quanto sia grande la loro responsabilità nella conoscenza che abbiamo di un luogo o di uno spazio. Per questo motivo abbiamo cercato di rappresentare luoghi di grande fascino collettivo con grande onestà, prendendo il più possibile distanza da ogni fine promozionale. Abbiamo realizzato i primi 7 film in completa autonomia, producendoli noi stessi, cercando di eliminare ogni tipo di funzionalità pragmatica: non sono film educativi, storici o tecnici. Né tantomeno promozionali. Sono film-esperienza, dove si cerca semplicemente di vivere uno spazio in un preciso momento.
All’inizio è stata dura ma, dopo quei primi film, siamo stati avvicinati da istituzioni artistiche, musei e architetti che ci chiedevano di intervenire su un particolare edificio garantendoci la più totale libertà. Con grande sorpresa, ci siamo resi conto che queste nuove commissioni artistiche ci permettevano di essere ancora più liberi di prima. Inizialmente, le porte le dovevamo scardinare, ora invece ci vengono aperte…
Domusweb: Un’ideale lista dei desideri? Ci sono architetture che vorreste raccontare, ma non è ancora stato possibile o che, per qualche motivo, non sarà mai possibile?
Ila Bêka, Louise Lemoine: Tempo fa ci era stato chiesto un progetto di film per un edificio molto complesso di Frank Gehry che in quel momento era ancora in costruzione. Visitando il cantiere, avevamo avuto la sensazione che nessuno avesse capito bene come l’edificio sarebbe diventato alla fine della costruzione. Guardando i plastici, ci si confondeva ancora di più. Ogni tecnico o operaio conosceva bene il proprio compito, ma la visione complessiva sfuggiva a tutti.
Un giorno, il responsabile degli impianti riuscì a descriverci nei minimi dettagli tutto il percorso di una goccia d’acqua all’interno del labirinto di tubi che doveva ancora essere installato. Quando poi gli chiedemmo di disegnarci l’intero edificio, sul foglio comparve l’immagine di una strana creatura che assomigliava a un elefante con il corpo ricoperto di ali trasparenti. Guardando quel disegno, capimmo che tutte le persone che lavoravano all’interno del cantiere avevano elaborato una propria immagine molto particolare di quell’edificio e che bisognava assolutamente raccogliere quelle visioni prima che la forma definitiva della costruzione le cancellasse.
L’idea era di lavorare sull’immaginario di uno spazio mentale che, giorno dopo giorno, andava svanendo, per lasciare il posto a uno spazio reale. Era un progetto a cui tenevamo molto, ma forse un po’ difficile da far capire e purtroppo non se ne fece più niente. Un vero peccato, tutto quel mondo fantastico svanito nel nulla…
Domusweb: Quanto tempo richiede in media un film e quale tipo di lavorazione, ricerca, studio vi stanno alla base?
Ila Bêka, Louise Lemoine: La ricerca che facciamo si focalizza più sul nostro metodo, ovvero sulla capacità di creare e gestire al meglio i rapporti con gli esseri umani.
Direi che è una ricerca che si estende alla vita di tutti i giorni. Come fare in modo che la persona che hai di fronte si fidi di te e accetti di parlarti a cuore aperto? Forse aprendo prima il tuo. Nei nostri film non ci sono interviste ma veri incontri ed esperienze in comune. Ci troviamo in un determinato posto e iniziamo a parlare con le persone che si trovano lì casualmente. Parlando del più e del meno alla fine escono sempre delle storie incredibili. Nel film 24 Heures sur Place, girato a Place de la République a Parigi, a un certo punto ci ritroviamo a discutere con una signora che stava passando con il suo cagnolino al guinzaglio. Tutto a un tratto, il cane si mette a leccare i piedi di una ragazza seduta sulla panchina proprio accanto. Chiedendo alla ragazza che effetto le aveva fatto ci accorgiamo che sulla mano ha il tatuaggio di un piccolo asso di picche. “È per ricordarmi del male che mi ha fatto il mio ragazzo”, ci dice tranquillamente. Continuando la conversazione, ci accorgiamo che sulla stessa panchina, accanto a lei, c’è un ragazzo che ascolta. “E tu non hai dei tatuaggi?”, gli chiediamo. “Sì, ne avevo uno con il nome di mia madre, ma quando mi hanno arrestato, sono stato torturato e me l’hanno cancellato con l’acido”. Scopriamo che è un rifugiato politico scappato dall’Iran perché dissidente. In un attimo, dalla signora con il cagnolino fino al rifugiato politico, scaturisce la vera essenza di una delle piazze più simboliche di Parigi. Sono le storie degli uomini che fanno un luogo.
Domusweb: Perché cominciate a girare un nuovo film? A chi, idealmente, vi rivolgete?
Ila Bêka, Louise Lemoine: Giriamo film per osservare e analizzare le relazioni che le persone instaurano con lo spazio che le circonda. Questo ci aiuta a riflettere su come si possa vivere meglio e su come l’architettura ci possa aiutare. L’uomo ha la capacità di adattarsi a spazi terribili, subendoli in silenzio. Ma ha anche la capacità di riconoscere quelli in cui si sente bene, capaci magari di cambiargli anche la vita. Quando il sindaco di Medellin decise di cambiare il volto della sua città, che in quel momento era fra le più pericolose del mondo, pensò a costruire nuove scuole, centri culturali e biblioteche di altissima qualità architettonica. Gli abitanti scoprirono la buona architettura e la città iniziò un processo di trasformazione.
Domusweb: Quello del documentario narrativo è un genere che sta guadagnando terreno. Basta pensare ai documentari tratti da libri, come Cooked di Michael Pollan, vale lo stesso anche per il design e l’architettura?
Ila Bêka, Louise Lemoine: Quello che ci interessa è la visione personale dell’architettura e delle relazioni che essa è capace di creare con le persone. Sapere tutto sulla genesi di un edificio, dal progetto fino alla sua realizzazione, capendo quali siano state le straordinarie idee dell’architetto che lo ha disegnato è qualcosa che interessa più gli studenti di architettura o gli architetti stessi. Ma l’architettura non è un soggetto esclusivo di questi ultimi, l’architettura è una delle rare discipline capace di riunire una grande varietà di problematiche universali: sociali, economiche, politiche, storiche, stilistiche, etc. In ogni progetto proviamo a lavorare su tutti questi aspetti. Non rientriamo quindi nella definizione classica di “film d’architettura” perché i nostri film non permettono di capire tutto di un edificio, ma cercano solo di restituirne un’esperienza vissuta. Spesso, alla fine dei nostri film, molti ci dicono: forse non ne so molto di più di quell’architettura ma ho l’impressione di esserci stato fisicamente…
Domusweb: Siete a Milano, al Salone del Mobile, perché il vostro film The Infinite Happiness inaugura la prima edizione di “Festival on Festival”, il nuovo progetto di “Milano Design Film Festival”. Che cosa rappresenta per voi la Design Week milanese? Avete mai pensato di approcciare il design?
Ila Bêka, Louise Lemoine: L’architettura ci interessa soprattutto nella sua dimensione di sperimentazione sociale a lungo termine, piuttosto che nella sua dimensione estetica e formale legata all’attualità. Il progetto di Bjarke Ingels, pur avendo più di 5 anni, è l’edificio più recente sul quale abbiamo lavorato. Ci interessano le architetture che hanno già passato il periodo di massima attenzione mediatica e che sono ormai entrate nella loro maturità, in modo da capire come funzionano nella banalità del quotidiano. Tempo fa ci era stato chiesto di fare un film sulle poltrone che Pierre Paulin aveva disegnato negli anni Sessanta. Avevamo proposto di cercare in giro per il mondo i pezzi originali che erano stati acquistati all’epoca e sui quali ancora oggi si siede chi li aveva comprati.
Lavorare sul rapporto che un corpo e una poltrona hanno instaurato per più di 50 anni potrebbe essere qualcosa di straordinario. Dobbiamo assolutamente trovare il tempo di fare questo film...
Domusweb: “Festival on Festival” raggruppa 11 festival di tutto il mondo. Quali sono, a vostro avviso, i migliori festival per il cinema di design e architettura oggi? Quale il miglior documentario degli ultimi anni?
Ila Bêka, Louise Lemoine: Quando abbiamo finito il nostro primo film Koolhaas Houselife i festival dove si poteva presentare un film come quello erano davvero pochi. E quei pochi non erano interessati a un film così. L’unico festival francese specializzato in film di architettura in quel momento ce lo rifiutò brutalmente! Poi vennero la copertina di Abitare diretta da Stefano Boeri e, qualche mese dopo, la selezione alla Biennale di Architettura di Venezia del 2008.
Il direttore Aaron Betsky decise di mostrarlo in una sala del padiglione centrale, accanto alle sale di Zaha Hadid e Herzog & de Meuron. Il successo fu straordinario, fece il tutto esaurito durante i tre mesi della mostra. Un incredibile passaparola portava i visitatori in quella sala buia dove la straordinaria Guadalupe aspirava, lavava e grattava, cercando di ripulire l’immagine dell’architettura da quella patina che da anni la ingessava. Questa riconoscenza per un film di architettura cambiò molte cose. Oggi la situazione è diversa, ci sono moltissimi nuovi festival che si occupano di film di architettura; abbiamo scelto per il nostro film “Festival on Festival”, il progetto di MDFF in collaborazione la XXI Triennale di Milano, proprio per il merito di aver riunito 11 festival internazionali, dando per la prima volta al pubblico italiano la possibilità di vedere lavori inediti e di fornire un più preciso quadro generale.
Domusweb: Progetti prossimi futuri? A cosa state lavorando al momento?
Ila Bêka, Louise Lemoine: Stiamo preparando un film che gireremo a breve su una piazza di Roma. Passeremo 24 ore di fila, come abbiamo fatto a Place de la République a Parigi, filmando ciò che accade nell’intero arco del giorno. In questo momento la cosa che più ci interessa è lavorare adottando la stessa metodologia sviluppata con l’architettura ma applicata alla scala della città. Abbiamo appena terminato un film su un grande spazio pubblico, il lungo fiume della città di Bordeaux, e adesso ci piacerebbe orientarci verso città più grandi. Mexico City per esempio…
16 aprile 2016, h. 20
Infinite Happiness
di Ila Beka e Louise Lemoine (Living Architectures)
Festival on Festival
Teatro dell’Arte, Triennale di Milano