The great and secret show

L’artista polacca Katarzyna Krakowiak ha trasformato il più grande degli uffici postali di New York (il James A. Farley Post Office) in una monumentale scultura sonora.

Katarzyna Krakowiak, The great and secret show
L’artista polacca Katarzyna Krakowiak ha trasformato il più grande degli uffici postali di New York (il James A. Farley Post Office) in una monumentale scultura sonora. In un’intervista ad Architecture Snob Katarzyna parla del suo progetto intitolato The great and secret show / The look out gallery, presentato nel quadro del festival Performa 13, e dei suoi metodi di lavoro, che usano come principale strumento la decostruzione dell’architettura.

 

 

Architecture Snob: Sei autrice di numerose installazioni al confine tra architettura e arte. Nel 2012 hai ottenuto una menzione d’onore per la tua mostra al padiglione polacco della Biennale Architettura di Venezia. All’epoca hai trasformato l’intero edificio in una scultura sonora e, cosa più importante, hai usato il sistema di ventilazione del padiglione per ‘origliare’ in altri edifici. Ora lavori su scala molto più grande. Attualmente presenti a New York un progetto che interagisce con la monumentale sede del James Farley Post Office. Come ti è nata l’idea di collocare la tua installazione in questo edificio statale incredibilmente noioso, situato al centro di Manhattan?

Katarzyna Krakowiak, The great and secret show
Katarzyna Krakowiak, The great and secret show, 2013. Fotografia storica del James A. Farley Post Office di New York, Storefront for Art and Architecture

Katarzyna Krakowiak: Sono stata invitata a partecipare al festival Performa, e quindi sono andata a New York. Curatore del mio progetto è lo Storefront for Art and Architecture. Dato che lavoro sempre sulle caratteristiche specifiche del sito sono stata molto scrupolosa nella ricerca del punto perfetto in cui collocare la mia installazione, un punto che mi permettesse di esprimere i miei interessi di oggi, la crisi mondiale, sul terreno dell’economia ma anche in termini più vasti: la crisi dei valori, presente anche nell’arte e nell’architettura.

Mi sono concentrata su quest’ultima, analizzandola e cercando di individuarne le cause attraverso una domanda: perché certe cose non funzionano ma pretendono di funzionare, cancellando la verità sulla mancata funzionalità dell’architettura, sulla svalutazione delle sue idee moderniste? È così che ho incontrato l’ufficio postale della Penn Station (è questo il nome comune, non ufficiale, del James Farley Post Office).

AS: Che cosa c’era di tanto interessante in questo edificio?

KK: Ero affascinata da un rapporto: da un lato c’è l’apparente soggezione che l’edificio ispira, la sua epidermide, la sua facciata con l’ampio colonnato, la pomposa scalinata frontale e il semplice fatto che è circondato da un fossato senz’acqua, che ne enfatizza il carattere per così dire sacrale.

Dall’altro c’è il fatto di cui mi sono accorta solo da pochissimo, passandoci davanti: e cioè che nell’insieme è quasi totalmente vuoto, che non funziona come dovrebbe. L’ho sentito dire da un newyorchese che passava di lì. Sono rimasta sorpresa di venirlo a sapere, dato che fuori non c’è nessun cartello che indichi che l’edificio è disabitato. Tutto quel che si vede sono delle belle facciate restaurate.

Katarzyna Krakowiak, The great and secret show
Katarzyna Krakowiak, The great and secret show, 2013

AS: Era la crisi di cui andavi in cerca?

KK: L’edificio esprime la crisi a molti livelli. Bisognerebbe tener presente che le amministrazioni locali sono particolarmente attente a garantire che gli spazi pubblici non mostrino alcun sintomo di crisi. È nozione comune che quando la Borsa va male le prime vittime sono le società immobiliari, chi investe nell’edilizia, e poi si trovano i palazzi per uffici vuoti.

Il municipio di New York si prende cura di questi edifici, assicurandosi che non disturbino chi ci passa davanti. Hanno un’illuminazione artificiale, certi hanno del personale che accende le luci all’interno anche se non ci lavora e non ci vive nessuno. E non c’è da sorprendersi: Manhattan è il centro dell’universo. Qualunque segno che qualcosa non funzioni a dovere potrebbe diventare un certificato di morte per l’economia americana.

Le autorità perciò mettono in scena un’illusione, da cui il titolo ironico del mio progetto – The Great and Secret Show, “Il grande spettacolo segreto” – anche se l’ho preso da un romanzo di fantascienza che stavo leggendo nel mio precedente soggiorno a New York.

Katarzyna Krakowiak, The great and secret show
Katarzyna Krakowiak, The great and secret show, 2013, modello acustico di Andrzej Klosak, sound design Ralf Meinz

AS: Il che significa che oggi New York si trova di fronte allo stesso problema di Detroit: gli edifici vuoti?

KK: Sì, ma non in una forma radicale come Detroit. Secondo me è affascinante come le città riescano a conservare le apparenze, a non suscitare il panico, pur essendo coscienti del fatto che il sistema non funziona come dovrebbe. Gli edifici forniscono la facciata della gestione della situazione di crisi.

AS: Però l’ufficio postale è ancora funzionante.

KK: Sì, ma una volta ci lavoravano 16.000 persone. Oggi sono solo duecento, e saltuariamente, quando ci sono delle emergenze nei servizi postali. In sé l’edificio è gigantesco: occupa l’area di due isolati newyorchesi tipo. Entrando dalla fronte ci si trova in un bell’atrio d’epoca destinato ad accogliere i clienti, dove sono in funzione tutti i servizi postali. Ma non ci accorgiamo che centinaia di stanze sul retro sono vuote.

È un edificio che ha anche altri significati. Nell’èra della diffusione comune della comunicazione digitale i servizi postali tradizionali non servono più. Quel che è cambiato, inoltre, è il funzionamento dell’ufficio postale: questo edificio, la cui parte più antica ha oltre un secolo, oggi ospita distributori automatici di francobolli e caselle postali self service. Oggi non occorrono più molti dipendenti per svolgere le stesse mansioni, come era normale una volta.

Questo edificio ci ricorda il grande salto di civiltà che abbiamo compiuto e prova che l’architettura, talvolta, non tiene il passo.

Katarzyna Krakowiak, The great and secret show
Katarzyna Krakowiak, The great and secret show, 2013

AS: Parlaci della tua installazione. Il sottotitolo è The look out gallery, “La galleria panoramica”.

KK: È il nome del punto da cui si può ‘entrare’ direttamente nell’installazione. Indirettamente la si sente da lontano grazie agli echi e alle vibrazioni, anche nella parte pienamente funzionante dell’edificio, nell’atrio principale. Quando ho scoperto l’edificio cercavo un interno che fosse tipico dell’edificio e che corrispondesse al meglio a vari aspetti della crisi. È così che ho scoperto dei passaggi misteriosi che attraversano l’intero edificio, che gli impiegati chiamavano “gallerie panoramiche”. Facevano parte del vecchio sistema di controllo dei dipendenti.

Quando l’edificio fu realizzato (è stato costruito in due fasi, prima della prima guerra mondiale e poi negli anni Trenta) la televisione a circuito chiuso non c’era. I supervisori, i capireparto che controllavano il lavoro degli altri dipendenti, li osservavano da questi corridoi, che talvolta erano collocati molto in alto, sotto il soffitto di sale spaziose, sopra la testa degli impiegati.

Questi elementi architettonici sono una testimonianza del passato, di qualcosa che oggi non ha più una ragione funzionale. Contemporaneamente implicano un’oppressione simbolica e il bisogno tipicamente umano di ficcare il naso dappertutto. Percorrendo queste gallerie si può immaginare come queste persone osservassero gli altri pur restando invisibili.

Katarzyna Krakowiak, The great and secret show
Katarzyna Krakowiak, The great and secret show

AS: Hai riportato alla vita delle grandi sale vuote. Percorrendo un corridoio si sentono i suoni preregistrati del lavoro di un tipico ufficio postale: timbratura dei francobolli, porte che cigolano, battitura a macchina. Il tuo progetto ci ricorda che le nostre memorie non sono solo immagini, ma anche odori e suoni.

KK: Credo che i suoni – non la musica o le parole, ma i suoni astratti e le vibrazioni che raccogliamo dall’ambiente – abbiano una grande importanza nel modo in cui percepiamo la realtà. Il motto del mio lavoro è una frase di Frank Gonzalez-Crussi: “Nella percezione tutto il corpo vibra all’unisono con lo stimolo […] Udire, come ogni percezione sensoriale, è un modo di impadronirsi della realtà con il corpo, ossa e visceri compresi”.

AS: Tuttavia nella percezione del reale – la sede dell’ufficio postale – tu vai un passo più in là. Ha installato dei piccoli dispositivi, che chiami “martelletti”, lungo tutto il passaggio. I dispositivi sono prototipi che hai ideato tu: battono sulle pareti dell’edificio a ritmo e volume differenti,

KK: Volevo creare un riferimento alla scala dell’edificio. Gli architetti dello studio McKim, Mead & White, che costruirono in origine l’edificio già sede della Pennsylvania Station, erano seguaci dello stile Beaux-Arts europeo. Entrambi gli edifici, uno di fronte all’altro, erano per loro natura monumentali. Di fronte a essi l’uomo si sentiva minuscolo, come di fronte alle montagne.

Questi piccoli meccanismi sono una forma di tatto, ma non è l’unico metodo di percepire l’esistenza di un edificio. Contemporaneamente i martelletti riportano alla vita gli spazi morti del passaggio, ne rendono attivi i muri, li fanno vibrare. Rendono attive le parti dell’edificio in cui non si può entrare: ne ho sistemati alcuni in spazi nascosti, in locali tecnici. D’altra parte, anche se avessi usato un migliaio di dispositivi, non sarebbe bastato ad abbracciare l’intero edificio, perché questo continua a sopraffare l’elemento umano. Lo sovrasta grazie alla sua scala.

Katarzyna Krakowiak, The great and secret show
Katarzyna Krakowiak, The great and secret show, 2013

AS: Secondo noi la tua installazione rappresenta la sensualità, la suggestione, l’incredibile atmosfera che si crea inserendo suoni opprimenti nel severo spazio dell’edificio. Per un altro verso è una raffinata avventura intellettuale: tu decostruisci l’architettura attraverso l’interferenza.

KK: Come in alcuni dei miei progetti precedenti ho lavorato in grandi edifici spettacolari, usando suoni o forme d’interferenza minime – come murare una porta o abbassare il soffitto – per sovrascrivere l’architettura, cancellarne le funzioni principali. Quel che mi interessa è la critica dell’architettura, il suo significato. I critici d’architettura da un po’ di tempo in qua svalutano il funzionalismo. Attraverso il mio lavoro cerco di rendere consapevole il pubblico del fatto che l’architettura può rivelarsi insufficiente, può funzionare male.

Nel mio progetto di New York colloco me stessa e gli spettatori in un punto in cui ci si rende conto che il problema dell’architettura, la sua crisi, è più profonda di quanto non si pensi. Dimostro che all’architettura si tende a pensare di sfuggita, superficialmente, il che porta ad equivoci. Proprio come nel caso della sede dell’ufficio postale: la percepiamo come pienamente funzionante. Solo dopo averla osservata in profondità si riesce a vedere che è solo una facciata, un racconto. Viviamo in un’epoca di eccesso di racconti, e l’architettura ne è una delle vittime. In questo modo perdiamo di vista i valori autentici, ciò che conta. Quel che ci resta è lo spettacolo!

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