Non assomiglia a nessun altro, Duccio Maria Gambi. Con determinatezza lucida e pacata, persegue da anni uno stile fatto di linee semplici e materiali dal peso specifico importante, in parallelo a una ricerca che va dai Radicali degli anni Settanta all’Atelier Van Lieshout del tempo presente. Una collezione di suoi pezzi realizzati innestando oggetti Richard Ginori con masse di cemento è in mostra al Giardino Corsini di Firenze (dal 16 al 20 maggio), e il ricavato delle vendite sosterrà la riapertura del Museo della Porcellana Richard Ginori. A Milano, la Galleria Giovanni Bonelli e Nero Design Gallery presentano la doppia personale di Gambi insieme all’anarchitetto Gianni Pettena (fino al 19 maggio).
Il design muscolare di Duccio Maria Gambi
Oggetti che emanano una forza ancestrale. Ma anche intuizioni modernissime e una raffinatezza sospesa, delicata. Il designer toscano racconta il suo lavoro, tra minimi sindacali di morbidezza e città di riferimento.
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- Annalisa Rosso
- 17 maggio 2018
Hai lavorato con resina, cemento, pietra, metallo. Materiali duri, assoluti. Negli ultimi tempi è arrivata la schiuma, un primo imbottito con Nero Design Gallery (anche se fedele al tuo rigore geometrico). Vedi un ammorbidimento nel tuo segno o si tratta di una semplice estensione della tua ricerca, senza variazioni sostanziali?
Sicuramente le materie che scelgo mi portano a risultati duri, ma nel mio lavoro c’è anche una tensione al morbido – sebbene rara e saltuaria. Il caso del progetto L’amour, in schiuma e cemento, oppure di Zuperfici, dove ho rivestito la pietra con della moquette. Probabilmente anche il laminato plastico di Zuperfici e il colore di Petrografico possono definirsi soft. Ci sono momenti in cui la morbidezza arriva solo come ipotesi che poi non si realizza, o viene volutamente annientata. Penso alle ciotole o agli ultimi sgabelli, Morbido Brutale, che abbiamo presentato a Milano. Alterno il rigore geometrico, parte del mio linguaggio, a momenti informali in cui sperimento metodi di formatura meno controllati, come negli ultimi lavori dove ho usato stampi in polistirolo e di nuovo schiuma. L’imbottito è comunque rigido, il minimo sindacale di morbidezza per una poltrona. Magari i prossimi pezzi si ammorbidiranno.
Sei stato a lungo a Parigi, ma hai scelto di vivere in Toscana. Mentre una delle tue mostre più importanti si tiene in questi giorni a Milano. Pensi esistano dei luoghi privilegiati dove lavorare e crescere come designer?
Partendo dal presupposto che nel mondo attuale la facilità negli spostamenti e le possibilità di comunicare ampliano il raggio di azione e la quantità di input, è innegabile che grandi città come Milano e Parigi siano al centro di network di curatori, giornalisti, clienti che sono fondamentali per lavorare e avere l’occasione di esprimersi. È innegabile la loro energia e la densità creativa, fondamentali per crescere aggiungendo tasselli, ed esplorare il paesaggio contemporaneo in maniera diretta. In questo senso sono stati per me fondanti, umanamente e professionalmente, i periodi passati a Milano, Rotterdam e Parigi. In generale penso che a Londra, in Olanda e in Francia ci siano più strutture di sostegno al design, più investimento da parte delle istituzioni e delle scuole. E credo ci sia più integrazione e fusione tra la figura dell’artigiano e quella del designer, sia nella scuola che nella professione: una cosa molto importante. Per quanto mi riguarda, dopo aver compiuto un percorso fondamentale, ho deciso di rientrare. Sono convinto che Firenze sia un ottimo compromesso tra le esigenze e opportunità sia lavorative che intellettuali, e la qualità della vita.
In mostra a Milano una selezione di pezzi che ripercorrono gli ultimi anni della tua carriera e la tua collaborazione con Nero Design Gallery, a partire dal 2015. Qual è per te l’obiettivo dell’esposizione?
Abbiamo voluto riassumere in uno spazio unico le varie ricerche che abbiamo portato avanti in questi anni, esponendo pezzi già prodotti, producendo nuovi esemplari di serie passate, e completando il percorso con nuovi progetti presentati per la prima volta. È stata l’occasione per vedere e percepire globalmente l’ottimo lavoro che abbiamo svolto fino ad adesso e che era esistito solo in maniera episodica nelle varie fiere che ho fatto insieme alla galleria.
Un rapporto importante per te. Che ruolo ha avuto il sodalizio con la Nero nella tua ricerca?
Ci confrontiamo continuamente. Negli anni, è stato uno scambio importante, a partire dalla delineazione di una linea di ricerca chiara tra le molte che partono dai miei blocchi schizzi e dal mio laboratorio. Credo che fin da subito siamo riusciti a capire e definire il nostro spazio di condivisione, per riuscire a completarci curando i tanti aspetti che concorrono all’oggetto finale. La sensibilità di Nero Design Gallery su aspetti cromatici, superficie e dettagli è per me fondamentale, avendo più attitudine alla composizione e al volume.
I tuoi pezzi sono presentati alla Galleria Giovanni Bonelli insieme a una selezione di opere dell’artista e anarchitetto Gianni Pettena, che è stato tuo professore ai tempi dell’Università a Firenze e che hai citato spesso, ricordando l’influenza che ha avuto nella tua formazione. Qual è la tua opinione su questa doppia esposizione e sull’eventuale scambio che si è attivato tra i pezzi?
Cito Pettena nella mia biografia perché credo che ne l racconto di chi sono adesso, che è la somma di una miriade di fattori, sia stata fondamentale la scintilla che ha gettato in me ventenne, e di cui gli sono grato. Così come cito altre persone ed esperienze che mi hanno formato. Per me è un onore esporre accanto a un maestro che stimo molto, e una volta allestito lo spazio è stata una soddisfazione vedere come lavori molto lontani tra loro entrassero visivamente e concettualmente in relazione. Credo siamo riusciti a creare un discorso vivo e sensato, che è andato oltre l’accostamento coerente ed equilibrato.