Sostenibile, riciclabile, circolare, naturale, etico e persino vegano. Mai come nell’edizione 2018 della settimana milanese del design questi aggettivi sono stati applicati con tanta intensità – non sempre a proposito – a progetti di ogni tipo: sperimentazioni da galleria, prodotti in piccola serie e anche industriali, oltre al padiglione Living Nature di Carlo Ratti accanto al Duomo. Capire se si tratti di una prova che l’approccio green sta attecchendo nel processo progettuale in modo solido o invece semplicemente che ha una certa presa sul pubblico e viene quindi usato come uno slogan vuoto non è però così facile. O forse non è questo il punto. Quel che è certo è che un numero sempre maggiore di progettisti e imprenditori sta cercando di dare la propria risposta a una sensibilità ecologica che ha accresciuto la propria intensità negli ultimi anni e che sta lavorando per trovare – anche tramite progetti governativi come l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i suoi 17 goals – nuovi strumenti di azione per assicurarci uno sviluppo futuro sostenibile.
I mille volti del progetto green
La bandiera della sostenibilità è stata alzata moltissime volte in questo Salone milanese. Non sempre in modo pretestuoso.
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- Loredana Mascheroni
- 05 maggio 2018
- Milano
Al Salone del mobile 2018, ad aprire le danze di questa sfilata green è stata “De Rerum Natura. Un progetto di simbiosi felice”, una raccolta di mostre, incontri e workshop inaugurata ancora prima dell’inizio ufficiale della Design Week. Gli organizzatori – Cascina Cuccagna e Matteo Ragni Studio – hanno lavorato su scale diverse con proposte eterogenee: dai vasi Trapulin 2.0 di Pietro Corraini per raccogliere fiori, foglie ed erbe trovati lungo la strada ai laboratori con la terra cruda per i ragazzi, dai moduli per la biofiltrazione naturale dell’aria e l’insonorizzazione acustica di Urban Symbiosis Design fino a Eutopia di Francisco Gomez Paz, scelta come bandiera di una “relazione reciprocamente funzionale tra uomo e natura”. La sedia del designer argentino ha un corpo realizzato nella speciale essenza di legno locale Paulownia, pronta per la raccolta dopo soli tre anni di crescita (senza ripiantarla), con un’altissima capacità di assorbimento degli agenti inquinanti, resistente e leggerissima. L’allestimento in Cuccagna mostrava Eutopia – di 1.800 grammi, un solo etto in più della Superleggera di Gio Ponti – appesa a tre palloncini. Assemblata unicamente a incastro o piegatura – le gambe in legno multilaminato si montano con un incastro a croce e all’altezza del sedile si aprono per formare diversi piani –, è frutto di un processo costruttivo raffinato e sostenibile. È anche il simbolo di quella che Francisco definisce “la quarta rivoluzione industriale”: quella che consente al progettista di produrre da solo e ovunque – il suo laboratorio è in un piccolo borgo rurale a 1.400 km da Buenos Aires, ci lavorano quattro persone – per realizzare un oggetto di design industriale di altissima qualità – la sedia è realizzata con tecnologie come taglio laser, controllo numerico e stampa 3D – nel rispetto di principi di sostenibilità ambientale.
Di concretezza progettuale parlano anche i sette progetti della seconda edizione di “Really: Circular by Design”, che hanno esplorato le potenzialità del Solid Textile Board e dell’Acoustic Felt (creati riciclando tessuti di Kvadrat destinati al macero) oltre che le opportunità offerte dal passaggio a un’economia circolare. Benjamin Hubert, Christien Meindertsma. Claesson Koivisto Rune, Front, Jo Nagasaka, Jonathan Olivares e Raw Edges si sono confrontati con questo nuovo materiale – a sua volta completamente riciclabile – creando pezzi d’arredo destinati potenzialmente a negozi di abbigliamento. Poco lontano dallo showroom che ospitava Really a Brera, in Piazza del Cannone Miniwiz – specializzata nello sviluppo di tecnologia e processi sostenibili – offriva ai passanti accaldati di Parco Sempione una dimostrazione pratica del funzionamento di Trashpresso, nome quanto mai trasparente per la prima fabbrica mobile alimentata ad energia solare in grado di riciclare qualsiasi rifiuto plastico o tessile. Tra i prodotti più interessanti, e utili, frutto di questa trasformazione ci sono le piastrelle: serve l’equivalente di otto bottiglie di plastica per produrne una, quaranta minuti per averne 10 mq. Oltre a queste indubbie qualità, il fatto di venire utilizzata per aiutare comunità e popolazioni isolate nella raccolta e smaltimento dei rifiuti, e quindi combattere l’inquinamento, è valso a Trashpresso il titolo di Green Hero da parte del National Geographic.
L’importanza del passaggio da affascinanti teorie a progetti concreti sostenuti dalle aziende è un concetto estremamente chiaro a un’altra realtà, questa volta tutta italiana, che ha proposto in zona Isola la mostra “Lovely Waste”. Motore dell’iniziativa è la fiorentina Source, che da un passato dedicato a sostenere l’autoproduzione ha deviato verso progetti consapevoli e sostenibili. Novo di Sebastiano Tonelli e Maki View di Filippo Protasoni sono quelli che meglio hanno espresso l’offerta di questo network rivolta ad aziende che vogliono indagare o investire sulla possibilità di trasformare, anche in modo creativo, i propri scarti di produzione in profitti. Entrambi sono materiali nati dagli scarti di lavorazione degli occhiali di legno di Woo Class Florence: in Noto gli “occhi”, piccole parti residue della fresatura delle montature, immersi in uno strato di resina generano una nuova materia, ma anche diversi pattern grafici; gli occhiali di Protasoni sono realizzati con un semilavorato ottenuto fresando tra gli interstizi di lavorazione alcuni elementi ad incastro.
Si parla sempre di riciclo, ma applicato a un progetto sociale, nel caso di “Stanze Sospese”, una iniziativa che parte da una ricerca nelle carceri milanesi per ripensare alle condizioni abitative dei reclusi. Nelle cantine del Siam – Società d’Incoraggiamento Arti e Mestieri di via Santa Marta – è stato ricostruito l’arredo di una cella del carcere di Opera con mobili pensili in plastica riciclata – offerta dall’azienda Revet Recycling e ingegnerizzata da Idea Plast – realizzati da falegnamerie sociali, pensati per razionalizzare il (poco) spazio a disposizione e migliorare la vita dei detenuti. Saranno poi testati all’interno delle carceri milanesi e modificati con l'intento di raggiungere l'obiettivo di una produzione seriale.
Sempre in zona 5Vie si sposta l’asticella green verso il veganesimo progettuale con la mostra “Vegan design – or the Art of Reduction” che ha presentato dieci oggetti del designer israeliano Erez Nevi Pana realizzati secondo i precetti di una specifica posizione etica che sostanzialmente vuole trovare una risposta a una sola domanda: È possibile fare design senza utilizzare alcun materiale di provenienza animale? Un progetto rigoroso e affascinante che ha avuto il merito di accendere la sensibilità dei visitatori, così come ha fatto “Mutant Matter” del collettivo olandese Dutch Invertuals. Wendy Plup e Franklin Till hanno proposto una ricognizione sul nostro futuro materico: denunciando gli effetti che il “gioco” degli esseri umani ha provocato su materiali – con Future Remnants di Mandra van der Eijk –, sensibilizzando sulla quantità di radiazioni a cui siamo sottoposti – Tangible Matter di Marlou Rutten – o invitando alla scoperta e al contatto con i materiali in un mondo sempre più digitale e freddo – Touchables di Fleur Hulleman. E sottolineando, in definitiva, come il fattore umano sia l’imprescindibile punto di partenza e di arrivo di qualsiasi progetto al passo con i tempi.