Camminare sotto ai fiori, da Louis Vuitton o Antonio Marras. Ma anche godersi un tè fra corolle variopinte con LaDouble J (poco importa che siano stampate su piatti e divanetti). E poi osservare forme e colori della natura da una prospettiva etnica, inseguendo le proposte di Marni ed Hermès. Sono solo alcune delle più intriganti ispirazioni lanciate dalla moda in questo Salone del Mobile, per collezioni (e collaborazioni) di design.
Proprio da Louis Vuitton – per il secondo anno nella classica cornice di Palazzo Bocconi – ad accogliere i visitatori è stata una cascata di fiori in carta variopinta: perfetta imitazione di quelli in nappa proposti da Atelier Oï per i fiori Origami, i vasi e vassoi Rosace e i cuscini Flower Field, parte della prima collezione Les Petits Nomades: piccoli oggetti firmati da designer del calibro di Patricia Urquiola, i fratelli Campana o Marcel Wanders per esplorare i molteplici usi della pelle non solo per accessori deluxe. Pezzi che si aggiungono alle collezioni di arredo dei già noti Objets Nomades: fra questi, due grandi novità come il Ribbon Dance di André Fu, realizzato per evocare proprio il movimento di ballerini con nastri asiatici; e poi il Diamond Mirror di Marcel Wanders, dove un ottagono centrale e 25 specchi triangolari hanno abbagliato con un gioco di riflessi inarrestabile ogni visitatore (numerosissimi: nel weekend, la coda ha superato le 100 persone).
Nello spazio Nonostante Marras, il sardo eclettico Antonio Marras ha vestito a festa il dehors, con una caffetteria adorna di trionfi di bouquet destinata ai visitatori di “Fabbricare, fare, disfare”, titolo del progetto presentato dalla Premiata Ditta Marras&Co. Accurato il lavoro del designer con Francesco Maggiore – ingegnere e direttore creativo di Kiasmo, gruppo interdisciplinare attivo fra arte, architettura e moda – nell’individuare cinque aziende italiane del settore arredo e complementi della casa: la stessa Kiasmo, La fabbrica del lino, Fantin, Saba e Wall&Deco. All’interno, il temporary restaurant Domus Rana (realizzato con la famiglia Rana) ha permesso ancora una volta di camminare sotto una distesa di candide rose; sui tavoli, un esempio dei piatti disegnati con Vincenzo d’Alba, affiancati da cuscini e tovaglie della Fabbrica del Lino creati con tinture ecocompatibili.
Nello stabile “vecchia Milano” sui Navigli, circondato da glicini dove risiede il quartier generale di La Double J, l’unione fra moda e design è stata ancora più evidente. Merito dell’allestimento a tutta parete dei modelli di J.J. Martin (giornalista americana naturalizzata milanese, che con il sito ed e-commerce LadoubleJ.com è diventata ormai regina di capi d’appeal vintage e coloratissimi), delle cromie di sete comasche Mantero amate dalla designer per le sue creazioni, o della tavola imbandita a festa fra mazzi di fiori variopinti. Palcoscenico per la nuova collezione La DoubleJ Housewives, ancora una volta d’ispirazione vintage: piatti con voli di libellule, boccioli e decori Art Nouveau realizzati con Ancap (questa volta, precisa orgogliosamente la designer, i bordi in oro sono lavabili anche in lavastoviglie). E poi la celebre poltroncina Madame di Kartell, realizzata da J.J. e da Lorenza Luti con stampe vintage d’archivio Mantero, che si aggiunge ai 15 pezzi che spaziano dall’arredamento agli accessori da tavola.
Con Marni, invece, dalle corolle si passa ai cactus: ancora una volta, ipercolorati. È stata infatti la collezione La Vereda, d’ispirazione gioiosamente colombiana, a portare nella sede del brand un allestimento movimentato da maxi-altalena, amache e allegre statuine. Evocando le veredas colombiane, micro-insediamenti urbani sviluppati intorno a poche strade, l’effetto cortile è stato infatti immediato in questo “market” dov’è stato possibile anche acquistare borse coloratissime (come i cesti ottenuti intrecciando fili di plastica colorata, secondo la tradizione secolare nella città di Ibagué dove si lavorano rami di salice). E poi sporte in agave lavorata a mano per ricavarne una fibra 100% organica, statue leggere dal profilo di cactus o galline in cartapesta e perline fatte a mano da una comunità di donne di Villanueva (pezzi unici frutto di quattro giorni di lavoro). E infine le iconiche poltroncine Marni, con schienali a coda di pavone.
Di viaggio si parla anche da Hermès, dove dalla Colombia si approda al Marocco. Negli spazi della Permanente, completamente modificati, sette grandi volumi hanno ospitato le collezioni di Hermès Maison con architetture ricoperte da piastrelle marocchine zellige in terracotta smaltata (tre settimane di lavoro, per oltre 150.000 piastrelle). Colori diversi per ciascuno spazio, destinato a ospitare differenti famiglie di oggetti, dove la ceramica è protagonista: non solo per la scenografia, ma anche per vasi e oggetti preziosi, esposti al fianco di teiere, tazze, piatti, vassoi e persino giochi, come scatole laccate che richiamano il gioco del Tangram. Anche con Hermès (marchio nato nel 1837 per la realizzazione di accessori equestri) il cuoio trova così una nuova forma. Un esempio? Quello strumento che, normalmente utilizzato per regolare i colli dei cavalli, si trasforma qui in busto portacollane.