Il viaggio nelle facoltà di architettura intrapreso dal critico Agnoldomenico Pica (1907-1990), pubblicato in tre puntate su Domus nel 1976 (numeri 561, 563 e 565), è una importante documentazione sullo stato delle principali scuole di architettura italiane, utile oggi per capire quali sono stati gli sviluppi e le degenerazioni dell’insegnamento. Premessa: A.D. Pica non è stato certamente un progressista o un sessantottino, mentre chi scrive ha una visione romantica di un periodo in cui non era ancora nato e che conosce principalmente dai fumetti di Andrea Pazienza, dagli scritti del filosofo Franco Berardi o dalle foto di Tano D’Amico.
Dal 1976 a oggi: un viaggio nelle facoltà di architettura italiane
Dall’Archivio Domus. Le analisi del critico milanese Agnoldomenico Pica, pubblicate in tre puntate sulla rivista, sono uno spunto di riflessione sullo stato dell’educazione istituzionale contemporanea.
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- Salvatore Peluso
- 06 settembre 2018
La più insistente valutazione che il critico fa nei confronti delle facoltà visitate – Roma, Firenze, Venezia, Torino e Milano – è sul numero di iscritti. Nei tre reportage Pica si scaglia più volte contro l’università di massa. Ironicamente attende che “con una decisione veramente ‘storica’, si decreti il conferimento della laurea, automaticamente abbinato con l'iscrizione nell'anagrafe, a ogni nuovo nato”, oppure ipotizza di ritrovarci con “tante facoltà quante sono le materie oggi comprese nell’ordine degli studi di architettura”. Commenta il fenomeno diffuso che dal 1951 a oggi ha portato il numero di iscritti nelle università italiane da 225.000 a 1.750.000 circa. È scettico sui “buoni propositi” della contestazione giovanile, che tra gli anni Sessanta e Settanta ha reclamato per un’università aperta e accessibile a tutti, che potesse essere un’importante infrastruttura per l’economia del paese e strumento di emancipazione soggettiva e collettiva. Se quelli ottenuti dai movimenti studenteschi sono dei diritti fondamentali, è innegabile però che negli anni successivi si è assistito alla degenerazione di questi propositi e della funzione essenziale dell’università. In Italia e in Europa, diverse leggi e decreti hanno lentamente sancito la privatizzazione e l’aziendalizzazione dell’educazione superiore. Oggi sembra che la proposte educative siano diventate beni di consumo che le facoltà/aziende offrono per incanalare l’individuo nel mercato del lavoro.
“Non ci saranno più sciocchi ad attendere come una folla di ciondoloni che esca una parola dalle labbra del maestro” sono le parole che Pica trova scritte con bomboletta rossa nel Chiostro dei Teatini a Venezia. Quaranta e passa anni dopo la folla di ciondoloni è rimasta, solo che ha uno smartphone in mano. Ecco giustificato il romanticismo verso gli insegnamenti sperimentali e utopistici proposti in quegli anni, di cui Pica parla quasi con sdegno: “Talune proposte di rispettabilissimi docenti mi lasciano più che perplesso, allibito. Che il Sacripanti abbia pensato, qualche anno fa, di sollecitare la fantasia degli allievi con esperienze psichedeliche ha il sapore di un progressismo più snobistico che coraggioso. Ma nemmeno più utile sembra il tentativo di Ciro Cicconcelli rivolto alla progettazione utopistica assunta come mezzo per la 'liberazione dai tabù del super-io'…” è chiara la posizione del critico milanese contro l’astrattezza e la politicizzazione dell’insegnamento, che invece oggi sembrano essere spariti, soffocati da un sapere sempre più tecnico e scientifico.
Nel 1976, le pareti delle facoltà sono ”tappezzate di vecchi e nuovi manifesti e di pittoresche scritte allo spray, mostrano cicatrici che nessuno pensa di rimarginare”, trasudano necessità di politica e volontà di connettere (almeno teoricamente) l’architettura con le lotte sociali e le istituzioni democratiche. Sudore e sporco sono stati oggi ripuliti da una filosofia del decoro in cui non conviene più prendere posizione, per non inceppare l’ingranaggio oliato ed efficiente dei raffinati meccanismi di produzione del lavoratore/consumatore. Sembra che le università (o almeno le facoltà di architettura) non possano più essere il luogo di quella che Hannah Arendt definiva “vita activa”, in cui i liberi individui realizzano se stessi e formano un corpo comunitario. Le scuole non sono più luoghi di critica e di dibattito. Ci chiediamo: può tornare l’università a svolgere questa funzione o è meglio cercare nuovi spazi? Le università di design e architettura devono servire solo a indirizzare gli studenti verso il mondo lavorativo o a formare soggetti sensibili al paesaggio? È ancora ammesso uno spazio per l’utopia?
Leggi qui gli articoli integrali:
Primo viaggio di Agnoldomenico Pica nelle facoltà di architettura:
Roma e Firenze – Domus 561, agosto 1976
Secondo viaggio di Agnoldomenico Pica nelle facoltà di architettura:
Venezia e Torino – Domus 563, ottobre 1976
Terzo viaggio di Agnoldomenico Pica nelle facoltà di architettura:
Milano – Domus 565, ottobre 1976