Questo articolo fa parte di una serie di contenuti che anticipano i temi che verranno discussi a domusforum 2019, il 10 ottobre a Milano.
La parola resilienza è diventata quanto mai comune e, mutuata dal suo naturale ambito della fisica, ha fatto irruzione anche nel dibattuto sul cambiamento climatico. Per resilienza climatica si intende la capacità di ridurre i rischi e i danni del global warming, sfruttandone invece i potenziali benefici.
Ma che cosa significa realmente progettare in chiave resiliente? La risposta migliore viene dalle tante città – europee e non – che in anni recenti hanno elaborato strategie concrete con l’intento di adottare e sperimentare misure di risposta locale a questioni di scala globale.
A Parigi si parla di resilienza nei cortili delle scuole. La città ha fatto della lotta alle isole di calore uno dei focus prioritari. Nata nella città che con solo 14,5 m2 di verde per abitante è la più densa d’Europa in termini di costruito, l’iniziativa ha consentito di riappropriarsi di un bene pubblico sottoutilizzato sia da un punto di vista funzionale sia ecosistemico. A Parigi le scuole costituiscono, infatti, l’edificio pubblico più densificato (ogni cittadino abita a meno di 200 m da un edificio scolastico) contribuendo, a causa del loro suolo pavimentato e artificiale, al fenomeno delle isole di calore. Il progetto OASIS Schoolyards– Openness, Adaptation, Sensitisation, Innovation and Social ties – ha quindi avuto l’obiettivo – anche attraverso percorsi di co-design e partecipazione attiva – di riqualificare le corti scolastiche sostituendo l’asfalto con materiali porosi e vegetazione, di migliorare il drenaggio delle acque e installare sistemi di ombreggiamento e raffrescamento al fine di restituirli alla collettività, anche al di fuori dell’orario scolastico. Lanciato nel 2018 con tre aree pilota, il progetto intende affrontare 761 casi.
A Rotterdam, sede del più grande porto internazionale d’Europa, la lotta ai cambiamenti climatici passa invece dai tetti. La città ha intuito come sfruttare questo patrimonio diffuso e capillare (1 km2 solo nel centro urbano, 14,5 km2 in totale) per rendersi resiliente.
La municipalità è da anni all’avanguardia nell’installazione di tetti verdi, ma il Programma tetti di Rotterdam non prevede solo la natura quale risposta alle emergenti questioni climatiche e sociali. Si declina in quattro colori che rappresentano altrettante funzioni: verde, i tetti vegetati; blu, la raccolta dell’acqua e il rallentamento del drenaggio; giallo per la produzione di energia sostenibile; rosso per spazi e funzioni di rilevanza sociale. Con questo programma, Rotterdam sta contribuendo alla mitigazione di tonnellate di CO₂, si sta adattando alle crescenti sfide climatiche e sta migliorando la propria vivibilità e attrattività.
Anche le città del bacino mediterraneo si stanno attivando. Rispetto all’aumento globale delle temperature medie di 1°C dai livelli preindustriali, l’Europa meridionale ha registrato una variazione di 1,4°C. Tale dato si traduce in un incremento in numero e durata delle ondate di calore, le cui ripercussioni sulla salute – complice anche l’inquinamento – sono elevate.
Per migliorare la propria risposta al problema, Atene ha lanciato nel 2016 l’Heatwave Action Plan che protegge le fasce più vulnerabili della popolazione (anziani, bambini e soggetti affetti da problemi cardiovascolari e di obesità), dagli effetti delle ondate di calore. In zone particolarmente a rischio, si sta sperimentando la creazione di nuove aree verdi, l’utilizzo di materiali freddi e soluzioni di ombreggiamento, generando distretti e percorsi freddi. La città si è dotata anche di un sistema di allerta: l’applicazione EXTREMA – lanciata anche a Rotterdam, Parigi, Mallorca e Milano ed elaborata in collaborazione con il NOA (National Observatory of Athens) – in caso di allarme termico fornisce, tramite smartphone o computer, informazioni su come raggiungere i centri di raffreddamento più vicini. Atene sta dimostrando così di saper agire sia strutturalmente sulla propria morfologia urbana sia in termini di servizi tecnologici, mantenendo come fine ultimo quello della protezione della popolazione.
Anche Milano ha definito una propria visione resiliente. Tra le iniziative c’è l’ambizioso Piano di Forestazione Urbana che prevede la piantumazione, entro il 2030, di tre milioni di alberi e arbusti nell’area metropolitana. Oltre ai numerosi vantaggi in termini di servizi ecosistemici – assorbimento di CO2 e PM, riduzione delle isole di calore e del rischio idrogeologico – l’iniziativa consentirà di sperimentare modalità di progettazione, piantumazione e manutenzione condivisa dei luoghi pubblici e privati destinati ad accogliere il nuovo verde urbano.
Progettare resiliente significa superare la tradizionale settorialità con cui si approcciano le trasformazioni urbane, ottimizzare le risorse e volgere l’attenzione alle parti della città dimenticate dalle passate politiche di rigenerazione. Lungo queste linee guida opera Officina Urbana, che si configura come un tavolo di lavoro intersettoriale animato da workshop pubblici il cui obiettivo è, in collaborazione con Arup Italia, l’elaborazione di un metodo di analisi e la definizione di una nuova visione resiliente alla scala di quartiere. Il suo progetto pilota riguarda il quartiere Niguarda a Milano, dove realizzerà in maniera incrementale l’implementazione e connessione del verde esistente, la riattivazione delle attrattività sociali e l’allargamento di aree pedonali e ciclabili, introducendo anche pratiche di riuso temporaneo e urbanistica tattica.
Niguarda è area pilota anche di un’altra iniziativa recente. Con il supporto tecnico di Arup Italia ed ESRI Italia, lo studio dell’inclinazione dei tetti degli edifici pubblici e della loro esposizione solare consentirà di determinare il potenziale resiliente in termini di energia sostenibile e tetti verdi, e quindi le emissioni di CO2 risparmiate. Completerà il progetto una piattaforma online geolocalizzata destinata alla navigazione e all’interrogazione pubblica.
Quelli citati sono solo alcuni esempi che dimostrano concretamente l’interesse – e l’abilità – nel costruire un’inedita capacità di resistere alle sfide imposte dal cambiamento climatico e insieme di re-inventarsi. Il concetto di resilienza diventa un percorso di trasformazione costruttivo che definisce un reale nuovo modo di pensare la realtà in cui viviamo. Troppo a lungo si è pensato alla crescita urbana senza considerare gli aspetti di vivibilità, comfort e qualità inevitabilmente connessi alla capacità di risposta delle città ai traumi ricorrenti. Le progettualità riportate narrano di come la resilienza possa essere il collante tra la complessità delle condizioni attuali e quelle future, la risposta per garantire un benessere urbano e dunque umano. Un traguardo, o solo l’inizio?
Piero Pelizzaro (Vicenza, 1982) è Chief Resilience Officer per il Comune di Milano. In passato ha fondato Climalia e collaborato con IUAV, Commissione Europea, Kyoto Club ed AzzeroCO2. Ha pubblicato per Altraeconomia il saggio Le Città Resilienti e collabora con diverse testate.