Ricerca Domus-ISPI. L’energia urbana
Le città sono organismi viventi e in continua trasformazione. Sono l’esito di progetto e vita quotidiana, natura e costruito, ricchezza e povertà, mobilità e memoria, ingiustizia e innovazione. Secondo l’urbanista Eddy Salzano – recentemente scomparso – in esse convivono tre livelli inestricabili: l’urbs, ovvero lo spazio fisico esistente; la civitas, cioè la cittadinanza composta di abitanti in carne e ossa; e la polis, l’insieme di istituzioni preposte alla gestione. Analogamente, per Richard Sennett occorre distinguere tra la ville, i cui ingredienti sono strade ed edifici, e la cité, animata dalla vita quotidiana dei cittadini e dunque fatta di abitudini, sapori, colori, odori, rumori e ambizioni individuali.
Le città sono attori fondamentali del nostro tempo. Sebbene coprano solo il 2% della superficie terrestre, infatti, le aree metropolitane ospitano il 54% della popolazione mondiale, consumano il 60% dell’energia globale, producono una quota analoga di emissioni inquinanti e lasciano dietro di sé il 70% dei rifiuti. In compenso, valgono il 70% della ricchezza del pianeta, e influenzano costumi e culture molto al di là dei propri confini. Poiché, in tutte queste dimensioni, l’importanza relativa delle città è destinata a crescere nei prossimi decenni, si moltiplicano le riflessioni attorno a questa tematica, nel tentativo di migliorare le performance urbane e definire pratiche virtuose.
In generale, le città hanno acquisito una centralità nel dibattito sullo sviluppo sostenibile e non a caso a loro è stato dedicato l’Obiettivo 11 dell’Agenda ONU sullo sviluppo sostenibile, che recita: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”. Ciò pone alcune domande sostanziali: come si costruisce uno “sviluppo sostenibile” a livello urbano? Possiamo vincere questa sfida decisiva per l’umanità? Superato il concetto di PIL, quali strumenti abbiamo per rappresentare le metropoli?
Oltre il PIL, cinque dimensioni per capire il secolo delle città
Attraverso la City prosperity initiative (CPI), l’agenzia UN Habitat misura la prosperità di 400 centri urbani attraverso sei diverse dimensioni. A partire dalla metodologia della CPI, per la seconda edizione di domusforum ISPI ha elaborato uno studio sull’energia urbana, provando a definire un modello che colga gli elementi dinamici di dieci città. Non sfugge, infatti, la differenza tra la prosperità, un concetto che fotografa la condizione esistente, e l’energia, risultante di forze in movimento e non sempre armoniche.
ISPI ha dunque analizzato Chicago, Londra, Milano, San Paolo, Shangai e poi Buenos Aires, Johannesburg, Lagos, Singapore e Toronto. Le prime cinque erano già state oggetto dell’indagine dell’edizione inaugurale di domusforum, mentre le nuove sono state scelte per importanza e crescita impetuosa. Lo studio definisce cinque diversi tipi di energia, misurando il valore di ciascuna in base a quattro indicatori: energia economica (Pil pro-capite, rapporto occupati-pensionati, tasso di disoccupazione e aspettativa di vita alla nascita); energia cinetica (uso del trasporto pubblico, traffico aeroportuale, accesso a internet e congestionamento urbano); energia sociale (diseguaglianza economica, disoccupazione giovanile, livello di democrazia, partecipazione femminile); energia attrattiva (apertura al business, tasso di omicidi, copertura medica e livello di istruzione); energia ambientale (concentrazione di PM 10, emissioni, riciclo di rifiuti, insediamenti informali).
Il vantaggio è quello di osservare interazioni e interdipendenze tra ambiti che vengono solitamente studiati in modo isolato. Ne emerge un ritratto sfaccettato, la cui interpretazione consente di ipotizzare alcune linee di tendenza future. L’immagine di ogni città è resa da un pentagono, in cui ciascun vertice rappresenta una dimensione di energia: maggiore sarà la superficie del pentagono più alta sarà l’energia totale della città; quanto più regolare sarà la forma del pentagono, maggiore sarà l’equilibrio tra le cinque energie, con livelli di sviluppo simili tra le varie dimensioni.
Tra armonia e disomogeneità, i due volti dello sviluppo
Osservando i pentagoni, Milano, Chicago, Toronto e Londra (le quattro città dei Paesi OCSE) mostrano una distribuzione omogenea tra le cinque energie, il che si spiega con uno stadio di sviluppo maturo, trend demografici stabili e squilibri sociali contenuti. In Sudamerica, Buenos Aires appare più equilibrata di San Paolo, che però è più forte dal punto di vista economico. Per l’Asia, Singapore e Shangai esibiscono due pentagoni dalla forma simile, sebbene la prima sia complessivamente assai più forte della seconda, che si trova invece ancora nel pieno di una fase di catching-up. In Africa, Lagos e Johannesburg, rivelano enormi problemi, dovuti certamente alle diseguaglianze e all’aumento esponenziale della popolazione.
Sembra esistere una correlazione diretta tra demografia ed energia: città troppo popolose assumono tratti più squilibrati, mentre le città al di sotto dei cinque milioni di abitanti mantengono una certa armonia nello sviluppo.
È interessante notare che le città si distanziano tra loro soprattutto per energia attrattiva (dal 90% di Londra al 2% di Lagos) e sociale (dall’88% di Chicago al 17% di Johannesburg): sembrano essere queste le dimensioni che maggiormente determinano la performance relativa. I punteggi tendono invece ad avvicinarsi per quanto riguarda l’energia cinetica e ambientale, dove spicca il primato di Singapore con l’84%: è il segno che ambiente e mobilità rimangono le grandi sfide urbane comuni a tutte le città, indipendentemente dal livello di sviluppo. Milano è prima per energia cinetica (72%) e quinta nella classifica generale (70%), preceduta da Singapore, Londra, Toronto e Chicago, e seguita da Buenos Aires, San Paolo, Shangai, Lagos e Johannesburg (30%). Insieme a Chicago (88%), Toronto è prima per energia sociale, confermando la propria reputazione di città vivibile, inclusiva e aperta, il che peraltro garantisce una performance complessiva assai soddisfacente (74%), pari a Londra.
Nel complesso, le dieci città si divaricano nettamente in due gruppi: un primo molto energetico (le quattro OCSE e Singapore), con cinque città comprese tra 75% e 70% di energia, e un secondo gruppo a livelli energetici molto più bassi e con maggiori distanze. Guardando alla variabilità interna di ciascuna città rispetto alle cinque dimensioni emerge una figura a fisarmonica: è massima nella parte bassa della classifica, si assottiglia al centro e torna ad aumentare in testa: possiamo ipotizzare che le varie energie urbane crescano in modo disordinato e contraddittorio in una prima fase di sviluppo; si stabilizzino poi con assetto economico e trend demografici stabili; infine ricomincino a muoversi in modo asincrono quando una città fa il balzo verso lo stadio globale.
Trattandosi di ranking relativi, città come Johannesburg e Lagos appaiono poco energetiche. È fin troppo chiaro che non è questo il caso: a prescindere dal confronto con realtà del calibro di Londra o Chicago, le due metropoli africane hanno infatti una vitalità notevole, il cui esito futuro è tuttavia incerto.
Dallo studio ISPI, in conclusione, emerge una traiettoria che va “dalla disomogeneità alla somiglianza”. Più si sale nella classifica di energia, infatti, più i pentagoni tendono ad assomigliarsi nella forma e nella dimensione, a indicare che le città globali più sviluppate condividono forze e criticità. I contesti ancora in fase di sviluppo, invece, sono caratterizzati da maggiori disparità, con ciascuna città che si distingue per opportunità e problematiche peculiari: le fasi di crescita, per le città come per qualunque organismo vivente, procedono infatti anche per strappi e contraddizioni.
Tobia Zevi, associate research fellow, responsabile desk Global cities, ISPI. Fabio Parola, research assistant, ISPI
Immagine di apertura: Foto Claudio Morelli