Se noi dovessimo partire dalla sua percezione circa la città oggi, cosa crede stia succedendo? Come vede le città?
Il mondo negli ultimi trent’anni è cambiato profondamente e la velocità e l’intensità delle trasformazioni non hanno conosciuto precedenti. È come se ci fossimo preparati a vivere in un mondo e poi ci fossimo trovati un mondo che cambia in modo irreversibile sotto i nostri occhi.
La città è il tessuto, la pelle di questo mondo che sta cambiando. Perché? Perché le città sentono prima e soprattutto sanno esprimere in modo emblematico le trasformazioni di un’epoca. Studiare la città significa, come suggerisce Karl Schlögel, «leggere il tempo nello spazio», cioè leggere le trasformazioni di un’epoca dentro le trasformazioni che interessano le forme spaziali, le relazioni e le organizzazioni sociali, le culture. La metropoli, per esempio, nella modernità, è stata considerata la forma stessa della modernità: la metropoli è stata la figura più espressiva, la metafora più pregnante della modernità. E, allo stesso modo, la modernità è quell’insieme di processi che ha preso forma dentro la metropoli. Oggi possiamo dire la stessa cosa? Possiamo dire che le trasformazioni dell’epoca globale si esprimono nelle nostre città in modo emblematico? Io credo proprio di sì. Credo che la città sia oggi lo spazio privilegiato per osservare il cambiamento, la metamorfosi in corso, quindi per comprendere quei processi che stanno ridisegnando l’ordine politico, economico, sociale e culturale del mondo. E ciò accade perché dentro la città la globalizzazione accade localmente, cioè prende forma nei luoghi, precipita nei luoghi, e lì si rende visibile, si rende riconoscibile. Dentro la città mobilità, reti, immaginari prendono corpo dentro nuove trame, per certi versi ancora indecifrabili.
Anna Lazzarini
"Le città sono le prime a percepire ed esprimere le trasformazioni di un’epoca"
La filosofa Anna Lazzarini parla di come la globalizzazione sta dando forma alle nostre città.
La città sia oggi lo spazio privilegiato per osservare il cambiamento, la metamorfosi in corso
Oggi, secondo lei, questa trasformazione come sta evolvendo? Se dovessimo ragionare sul piano dei contenuti, cosa questi processi stanno configurando?
Quali sono le linee di tendenza di questo cambiamento? Innanzitutto c’è un tratto che accomuna i processi che stanno accadendo e che deve interessare anche i nostri discorsi su questi processi. Questo tratto è l’ambivalenza. L’attuale contesto globale manifesta, a livelli diversi e per fenomeni diversi, una complessa dialettica fra forze contrapposte, fra incessante differenziazione e diffusa uniformazione; fra eterogeneità e omogeneizzazione tecnica e mercantile, conformismo degli stili di vita e di consumo; fra deterritorializzazione e riterritorializzazione. Di tutti i processi possiamo raccontare un verso e il suo contrario e questi due tratti stanno insieme. Questa è una caratteristica molto significativa. Per questo si dice che il nostro è il tempo della complessità, un tempo che tiene insieme e intreccia tutte le dimensioni di tutti i fenomeni. Quindi, per esempio, guardare alla globalizzazione semplicemente o eminentemente come a un progetto economico-finanziario non solo è sbagliato, ma è addirittura fuorviante. Non ci consente di leggere le trasformazioni in corso con le categorie adeguate. Una delle caratteristiche è proprio questa, l’ambivalenza dei processi. Rispetto, per esempio, alle differenze, da un lato non abbiamo mai conosciuto un mondo in cui la disseminazione delle differenze fosse così esibita, proliferante. E, dall’altro, si diffonde anche una omologazione pervasiva della società, dell’economia globale, che disegnano i tratti contradditori di questa fase, di questa transizione epocale. Quindi l’ambivalenza è una caratteristica di fondo. Per tracciare invece alcune linee di tendenza di questo cambiamento, possiamo approfondire alcuni nodi problematici. Il primo è questo: la città contemporanea sembra estendersi senza limiti. Ingloba e dissolve differenze e specificità territoriali e tende, come ho scritto, a farsi mondo in senso reale e metaforico. Il mondo intero, con tutte le sue contraddizioni, è tutto quanto dentro le nostre città. E, nello stesso tempo, la città ha materialmente invaso il mondo, che è diventato una specie di immensa distesa metropolitana. E oggi è diventato molto difficile sfuggire alla città. E lo è sia dal punto di vista pratico, materiale, territoriale, ma lo è soprattutto dal punto di vista del nostro immaginario. I nostri immaginari sono eminentemente urbani, urbanizzati. Dicevo che è molto difficile farlo sul piano materiale, perché sappiamo che dal 2009 la popolazione che vive nelle aree urbane ha superato quella che vive nelle aree rurali del pianeta; oggi circa 4 miliardi di persone vivono nelle aree urbane (su 7 miliardi); intorno al 2030 si calcola che 5 miliardi di persone (su 8) vivranno nelle aree urbane. Tutto ciò evidentemente ha importantissimi impatti da molteplici punti di vista…
Intorno al 2030 si calcola che 5 miliardi di persone (su 8) vivranno nelle aree urbane
Oltre la crescita urbana, un’altra direzione della trasformazione è lo sradicamento. Assistiamo a un progressivo superamento dei vincoli territoriali, cioè di quelle forme di attaccamento al luogo che hanno caratterizzato le forme sociali e politiche moderne. Le forme tradizionali di vita associata erano profondamente radicate in un luogo: il paese, la città, la regione, lo stato in cui si viveva accoglievano le persone che avevano in comune una cultura, una lingua, delle tradizioni, una storia e spesso quasi tutta la vita si svolgeva in quel luogo. Oggi le relazioni sembrano poter rinunciare alla presenza e alla prossimità spaziale. I vincoli spazio-temporali si indeboliscono e l’indebolirsi dell’attaccamento al luogo, a comunità definite territorialmente, alla comunità dello stato-nazione, si accompagna inevitabilmente alla creazione di nuove forme e combinazioni di prossimità spaziale e identità, alla nascita di nuovi rapporti, certo più fluidi, mobili, fra identità e radicamento, fra territori, saperi e poteri.
Poi se dovessi nominare un’altra tendenza, nella città contemporanea, direi la compresenza (ecco di nuovo l’ambivalenza) di continuità e la discontinuità. La città globale è un’esperienza nuova e allo stesso tempo un’esperienza segnata da profonda continuità con il passato. E questo, per esempio, è chiarissimo nelle città europee. La globalizzazione indubbiamente ha generato una rottura, una dissoluzione incessante di alcuni ordini, di alcune strutture, di alcune configurazioni che fino a pochi anni fa erano considerate salde, ma ha prodotto anche un’incessante ricostruzione di nuove forme, di nuove costellazioni sociali, politiche, culturali. Quindi, per esempio, la globalizzazione è allo steso tempo una continua de-territorializzazione, cioè una continua messa in discussione della stabilità del “contenitore” nazionale dei processi sociali, culturali, politici ed economici, e però anche una continua ri-territorializzazione degli stessi. La ricostruzione, la disgregazione di un mondo, di vincoli spazio-temporali, di appartenenze, di modi di costruire la propria identità, ma anche di ordinamenti politici e di immaginari, si accompagna sempre a un processo di ricostruzione, di riorganizzazione complessiva. Non resta il vuoto. C’è un lavoro incessante di decostruzione e di ricostruzione. Del tutto nuove sono la velocità, l’intensità, la pervasività di queste trasformazioni.
Se noi dovessimo definire, proprio all’interno di questo contesto, il concetto, il senso di cittadinanza, o meglio di che cosa significhi oggi essere cittadino.
La cittadinanza è una delle categorie politiche nate nella modernità e che ha bisogno di una ristrutturazione, perché sono cambiati i suoi presupposti. La cittadinanza nazionale è emersa come il risultato dell’ordinamento politico-territoriale dello stato nazione. È il risultato dell’isomorfismo fra stato e territorio. Quindi il principio territoriale, cui lo stato nazionale nella modernità ha saputo adempiere, comporta proprio che la sua autorità politica si eserciti su un territorio che è unito al suo interno e al contempo separato dal territorio limitrofo attraverso dei confini netti. Precisamente questa esclusività ha finito per plasmare la nozione moderna di cittadinanza, anch’essa segnata da un rapporto necessario con i territori e le autorità politiche territorialmente intese. Proprio l’unità, la compattezza del territorio costituiscono il pieno presupposto per lo sviluppo della cittadinanza.
La necessità di reinventare oggi la cittadinanza e i suoi confini (cittadinanza e confini sono concetti correlativi) emerge entro la cornice di questa transizione globale, segnata dalla trasformazione della forma politica dello stato nazione, che era il presupposto della forma moderna di cittadinanza che noi abbiamo ereditato.
La cittadinanza è una delle categorie politiche nate nella modernità e che ha bisogno di una ristrutturazione
Se prima ci riferivamo alla cittadinanza semplicemente come al possesso di uno status, oggi siamo di fronte a una sua rilettura, tesa a produrre un’estensione teorica e semantica della stessa esperienza della cittadinanza. Quindi il primo presupposto di una reinvenzione della cittadinanza consiste nel riconoscere che proprio quella relazione fra cittadinanza e stato-nazione non è costitutiva, ma storica, dunque contingente. Quello che oggi sta accadendo è l’ampliamento dello spettro e delle esperienze di cittadinanza e dei suoi significati. La cittadinanza nomina ancora una relazione che il soggetto istituisce con l’ordine politico-istituzionale a cui aderisce e, per quanto riguarda il rapporto con la città, questo è molto interessante perché il termine cittadinanza, che noi consideriamo legato allo stato-nazione, in realtà viene da città. Il termine “cittadinanza” in molte lingue europee è legato all’esperienza urbana. Oggi è possibile problematizzare la distinzione fra lo statuto formale della cittadinanza, cioè la sua cornice istituzionale, e le esperienze di cittadinanza, che comprendono anche le lotte dei soggetti che sono esclusi o inclusi parzialmente , in modo differenziale, incompleto, subordinato. Per questo si parla di «atti di cittadinanza» anche da parte di chi non è formalmente riconosciuto come cittadino.
Intervista condotta da Nielsen per conto di Domus nell'ambito di domusforum2018: The Future of Cities.