Caso di eccezionale conflitto fra l’autonomia del linguaggio architettonico e il modello abitativo proposto, Casa Farnsworth di Ludwig Mies van der Rohe è una delle residenze paradigmatiche dell’architettura del Novecento. La trasparenza e il rigore formale miesiano si incontrano in una foresta vicino a Plano, in Illinois, sfondo da cui emerge la struttura bianca ed esile della casa.
Fra le opere più rappresentative del periodo americano di Mies, Casa Farnsworth fu disegnata fra il 1945 e il 1950 come residenza per il fine settimana di Edith Farnsworth, personalità colta e influente di Chicago. L’edificio fu sin da subito acclamato da parte di quegli architetti che si riconoscevano nella modernità della perfezione formale, che lo accolsero come manifesto del rinnovato rigore del linguaggio del maestro tedesco. Allo stesso tempo, quella perfezione venne letta da alcuni, fra cui Frank Lloyd Wright, come il risvolto egotico dell’architettura moderna. Le superfici trasparenti della casa rappresentavano un attacco alla privacy che la casa tradizionale proteggeva, una rottura rispetto a modelli abitativi considerati inossidabili e, per alcuni, addirittura un invito silenzioso al voyeurismo. Questa seconda posizione fu rinfocolata dalle vicende legali che videro cliente e architetto su fronti opposti, da ancor prima della conclusione dei lavori.
Ludwig Mies van der Rohe, Casa Farnsworth, Plano, Illinois, Stati Uniti d'America, 1951: immagini di Darren Bradley, Jack E. Boucher (1971) e disegni di rilievo
Ludwig Mies van der Rohe, Casa Farnsworth, Plano, Illinois, Stati Uniti d'America, 1951: immagini di Darren Bradley, Jack E. Boucher (1971) e disegni di rilievo
Ludwig Mies van der Rohe, Casa Farnsworth, Plano, Illinois, Stati Uniti d'America, 1951: immagini di Darren Bradley, Jack E. Boucher (1971) e disegni di rilievo
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Ludwig Mies van der Rohe, Casa Farnsworth, Plano, Illinois, Stati Uniti d'America, 1951: immagini di Darren Bradley, Jack E. Boucher (1971) e disegni di rilievo
Ludwig Mies van der Rohe si trasferì negli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta. Si stabilì a Chicago, dove rivestì il ruolo di preside dell’Armour Institute of Technology (oggi Illinois Institute of Technology), di cui ridisegnò il campus fra il 1939 e il 1958. Nota Kenneth Frampton in Modern Architecture: A Critical History che, grazie a questa doppia presenza in città come accademico e professionista, l’impatto di Mies negli Stati Uniti ne risultò amplificato. La dimensione monumentale della tecnica portata alle sue estreme conseguenze nel Nuovo Continente “ha ossessionato la scena dell’architettura a Chicago di lì in avanti”, riverberando nell’opera di progettisti di primo piano quali Skidmore, Owings and Merrill e C.F. Murphy.
Il progetto per la Casa Farnsworth comparve pubblicamente per la prima volta già nel 1947, quando il MoMA ne esibì un primo modello all’esposizione monografica su Mies van der Rohe curata da Philip Johnson. L’edificio, di cui Mies fu sia architetto che costruttore, fu completato nel 1951 in una zona soggetta a inondazioni nei pressi del fiume Fox.
A una lettura prettamente e strettamente architettonico-costruttiva, la casa si presenta come un podio, un pavimento e un tetto nella loro forma massimamente astratta: tre lastre rettangolari orizzontali di travertino che paiono fluttuare a 1,5 metri di altezza, di cui le due più grandi raggiungono i 23 x 9 metri. Confinati su due terzi delle lastre più grandi, i 140 metri quadrati di spazio interno sono totalmente aperti, interrotti unicamente dal volume di legno dei servizi, e delimitati da una scatola vetro. Unico elemento schermante, una tenda di seta shantung naturale, bianca. La struttura d’acciaio è formata da pilastri a I snelli e bianchi, disposti a 6,7 l’uno dall’altro.
L’edificio reinterpreta il tipo architettonico del volume monopiano a pianta rettangolare, sgombro all’interno e quindi unitario, come la Crown Hall (1952-56) al campus dell’IIT o la casa Fifty-fifty (1951, non realizzata). A differenza della Crown Hall, nelle due residenze i pilastri si trovano sul filo esterno delle lastre che sorreggono, lasciando il vetro scorrere indisturbato attorno al perimetro dello spazio interno. Questi elementi, prefabbricati secondo gli standard americani, sono un primo indicatore della distanza crescente fra la produzione americana e quella europea di Mies, nota sempre Kenneth Frampton. Nel Vecchio Continente infatti, l’architetto si avvalse spesso dell’uso del pilastro a sezione cruciforme generico, come nei casi del Padiglione di Barcellona (1929) o nella casa Tugendhat a Brno.
Due degli aforismi miesiani (notoriamente ermetici) sono all’opera in questo edificio. Il primo, è l’interpretazione dell’architettura come “volontà di un’epoca tradotta in spazio”, da cui discende ad esempio l’uso del pilastro prefabbricato: una crescente idealizzazione che si identifica con le modalità costruttive precipue dell’epoca storica. Il secondo è, più del “less is more”, il beinache nichts, ovvero il “quasi nulla” coniato da Philip Johnson, che proprio sull’esempio di questa casa disegnò la sua Glass House (1949). Casa Farnsworth è un progetto fatto di pochi ed essenziali elementi combinati attraverso una implacabile logica cristallina, squisitamente costruito.
Se uno vivesse nella casa Farnsworth si sveglierebbe al mattino e raccoglierebbe tutti i suoi vestiti. Starebbe attento a come lascia le cose
Frank Gehry su Domus n.745, gennaio 1993
La storia della residenza sarebbe però incompleta senza la seconda lente, ovvero se non si parlasse della sua committente, la nefrologa Edith Farnsworth (1903-1977) e del rapporto con Mies van der Rohe. I due si incontrarono negli Stati Uniti, in circostanze su cui le fonti discordano. Negli anni, i due intrattennero una relazione di vivo scambio intellettuale: su questa si è ampiamente speculato, ipotizzando un coinvolgimento amoroso non comprovato dai documenti e dai diari di Farnsworth. Su queste congetture romantiche si è costruita la storia di una Farnsworth amareggiata per un amore andato male. Dal canto suo, Mies van der Rohe aveva lasciato moglie e figli in Germania, intraprendendo una relazione con la scultrice Lora Marx una volta arrivato negli Stati Uniti.
Durante la progettazione della casa, i due si fecero vicendevolmente causa, tanto che l’edificio fu finito nei suoi ultimi dettagli da William Dunlap, seguendo i disegni di Mies van der Rohe.
Ciò che invece emerge chiaramente dai diari di Farnsworth – riletti da Nora Wendl nel saggio Uncompromising Reasons for Going West: A Story of Sex and Real Estate, Reconsidered (apparso sulla rivista Thresholds, n.43) – è un disagio nel condurre una vita serena all’interno di una casa trasparente, pagata il doppio di quanto previsto inizialmente, oltre che oggetto delle attenzioni di curiosi e architetti in visita, e stampa.
(…) la maggior parte degli architetti pensa che l’ambiente è determinato in maniera integrale dalla struttura, senza bisogno d’altro. L’esempio estremo e più puro di questa idea è forse la villa Farnsworth di Mies Van der Rohe, dove una struttura viene condotta fino ad un massimo di perfezione e si semplicità costruttiva e dove l’ambiente viene integralmente identificato con quella perfezione, cioè con l’immagine di un’idea chiusa e finita in se stessa.
Ettore Sottsass jr. su Domus n.299, ottobre 1954
La casa fu lodata ma diverse furono anche le voci critiche, fra cui quelle di Frank Lloyd Wright e la rivista House Beautiful. Nel numero di maggio 1953, in un’intervista intitolata Report on the American Battle Between Good and Bad Modern Houses condotta da Joseph A. Barry, Edith Farnsworth dichiara: “Se sento una implacabile calma? La verità è che in questa casa, con le sue quattro pareti di vetro, mi sento come un animale in agguato, sempre all’erta. Sono sempre inquieta. Anche la sera. Mi sento come una sentinella di guardia giorno e notte.” e ancora “Non tengo un cestino della spazzatura sotto il lavandino. Sapete perché? Perché dall’esterno si può vedere tutta la ‘cucina’ arrivando dalla strada che porta qui, e rovinerebbe l’aspetto generale di tutta la casa. (...) Mies parla del suo ‘spazio libero’: ma il suo spazio è molto fisso. (...) Ogni disposizione dei mobili diventa un grosso problema, perché la casa è trasparente, come una radiografia”.
Sorge il dubbio che non sia necessaria una storia leggendaria di fallimento di una relazione romantica – come ad alcuni è piaciuto credere – a giustificare il dissidio fra i due. Quanto piuttosto che il reale fallimento sia stato quello di una relazione molto più banale: quella fra un architetto che costruì un manifesto e un cliente le cui necessità rimasero inascoltate.
Capire perché nella casa Farnsworth si può mettere solo un quadro, una fotografia in cima all’armadio… Capire perché gli architetti come Mies sono costretti a mentire, mentire nei loro progetti, è capire la frase di Nietzsche: Abbiamo l’arte per non dover morire di verità
Eduardo Souto de Moura su Domus n.972, settembre 2013
Nel 1969, Edith Farnsworth vendette la sua casa a Planoa Lord Peter Palumbo, un immobiliarista e collezionista d’arte inglese e nel 1972 si ritirò in Italia, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. La casa fu inondata disastrosamente nel 1996 e successivamente restaurata nel 1999. Da Palumbo, la casa passò nel 2003 nelle mani di gruppo di preservazionisti supportati dal National Trust for Historic Preservation, diventando poi Monumento Storico Nazionale per il Dipartimento dell’interno degli Stati Uniti. Nel maggio 2020, quel metro e mezzo di distacco dalla terra per salvarla dalle inondazioni non è nuovamente bastato: si sta oggi perciò elaborando una strategia per mettere in salvo il capolavoro di Ludwig Mies van der Rohe.